Poesie a margine: “Preghiera della neve e dell’attesa” di Paola Mastrocola

Preghiera della neve e dell’attesa

Sfrigola la carta crespa,
incanta come sempre il pastore inginocchiato,
la pecora che resta
indietro, inciampa, increspa
la finzione del prato;
le case di cartone, l’acqua
che non scorre – è un velo
di stagnola,
e il muschio…
ah, il muschio! unica nostra astuzia
quest’aggiunta patetica del vero,
quest’attenzione un po’ pignola
alla minuzia… –

Portami ancora doni, dio bambino.

Entra dalle finestre chiuse, assali il sonno,
fammi sorpresa quando l’ora
scocca ed è – miracolo – mattino.

Portami l’attesa per esempio, il dono
che lungheggia il tempo, lo rinnova
al fuoco sempre acceso, all’eco
d’un mio desiderare
timido quieto.
Torna a essere l’Atteso,
colui che senza una ragione arriva,
senza peso
(eravamo bambini bravi, capaci
di sperare, anche
di bivaccare all’ombra di un divieto;
perché ci hai reso vecchi così rapaci,
e schiavi?)
Ritorna l’attimo che riempie
d’un qualche baluginare il mondo:
fai che vediamo al buio i lampi
latenti,
la tenda che si scosta, il frullo
delle ali, il soffio
d’un alito che sia divino…

Noi,

ciechi veggenti.
Fai che passiamo l’anno ad aspettare
(quest’arte oggi così desueta, incolta…).
Fai che così aspettando non passiamo.
Non così veloci, e senza posa…
La pena di passare sia una neve
che s’incunea a filtrare
e gocciola dai travi, appena sciolta…
Qualcosa che alla fine ci distrare
e riposa.

Paola Mastrocola

Paola Mastrocola è nata nel 1956 a Torino dove tuttora risiede. Insegna nel Liceo Scientifico di Chieri. Dopo la Laurea ha insegnato Letteratura Italiana all’Università di Uppsala, in Svezia. Fino al 1992 ha scritto commedie per ragazzi per la Compagnia del Teatro dell’Angolo; ha inoltre pubblicato due raccolte di poesie, “La fucina di quale Dio” (Genesi 1991), e “Stupefatti”  (Caramanica 1999), nonché due raccolte di poesie e saggi sulla letteratura italiana del Trecento e del Cinquecento.

Fresia Erésia, eteronimo di una poeta la cui identità è sconosciuta. Vive in subaffitto nella di lei soffitta, si ciba di versi sciolti, di tramonti e nuvole di panna. Nasconde le briciole dei tetti sotto la tovaglia e i trucioli di limature di strofe sotto il tappeto. Compone e scompone, mescola le carte, si cimenta e sperimenta.

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