Era il primo Gennaio del 2003 quando ci lasciava Giorgio Gaber, quest’anno ricorre il ventennale della sua scomparsa, eppure questa figura così importante nel panorama della nostra cultura, con la sua poliedrica personalità artistica, non manca di stupire per la grande capacità di percuotere la realtà e riaccendere un barlume di consapevolezza nelle coscienze.
Gaber ci offre ancora una attualissima lettura della nostra società, è in grado di smascherare con sagace ironia ogni ipocrisia, ogni spasmodico rigurgito di luoghi comuni, in cui il pensiero declinato in “ismi” annega e l’omologazione diviene allora la posticcia copertura di tante, troppe, finte partecipazioni e rivoluzioni immaginifiche, alle quali dovremmo tutti smettere di partecipare.
Sono molteplici le finzioni sceniche della nostra epoca, che però non hanno alcunché di teatrale se non la pantomima esasperata e funzionale a riproporre modelli vuoti, falsi miti atti a resuscitare simulacri e null’altro. Perciò l’anelito alla libertà dell’uomo Gaber ci propone una nuova adesione alla semplicità, il ritorno alla coltivazione del dubbio da sostituire alle certezze che abbiamo messo al servizio di una logica di solo tornaconto, in un mondo in cui sta diventando fortemente morale tutto ciò che ci conviene.
Nella politica e nei rapporti interpersonali, nel mercato che cresce a dismisura per inglobare tutto e governare le nostre esistenze, Giorgio Gaber riesce a strappare via la maschera della falsa coscienza individuale…
LATINA CITTÀ APERTA ha pensato di rendere omaggio a un uomo unico, geniale e inimitabile ripubblicando questo bellissimo articolo di Francesca Suale.
GRAZIE DI TUTTO, SIGNOR G!
Ho scoperto il signor G per caso.
L’ho scoperto con il suo teatro canzone, quando non era più il Giorgio Gaber della TV in bianco e nero, quello della ballata del “Cerutti Gino”, ed era già il Gaber più intellettuale, quello che rifiutava l’omologazione.
Si era confinato in volontario esilio dalla televisione “che rende tutti scemi” e irrideva l’ipocrisia del mondo piccolo borghese, smascherandone miserie e vacuità.
Era il Gaber dei testi scritti con Sandro Luporini, quello dei monologhi teatrali sottolineati dalle note musicali, canzoni e musica che si faceva appassionata invettiva, aspra critica e confessione ironica:
la sua lucida presa di coscienza contro la borghesia, i suoi riti e i suoi travestimenti.
Con lui ho scoperto la genialità creativa di un uomo che non ha mai smesso di riflettere e di guardarsi dentro, di usare l’introspezione per sfuggire all’omologazione:
Era dunque un tipo tutt’altro che omologato, il signor G, e qui non vorrei ripercorrere la sua biografia, quella la si può cercare e trovare ovunque. L’idea è invece quella di lasciare un piccolo sentito tributo a un artista che è mancato venti anni fa.
Se fosse ancora qui oggi, troverebbe certamente le parole giuste per raccontare anche l’evoluzione della nostra società, per smascherare le finzioni di un mondo ormai troppo virtuale e posticcio, per non essere in gran parte vuoto. Saprebbe svelare il miracolo del falso che diventa vero, con ausilio di una tecnica e di una tecnologia spersonalizzante, qualcosa che più di sempre ci omologa al ribasso, perché stiamo perdendo progressivamente gli strumenti culturali per arginarne gli effetti dirompenti.
«Il falso è misterioso e assai più oscuro se mescolato insieme a un po’ di vero»,
così:
“La gente si dà un gran da fare, tanti impegni tante storie, con l’inutile idea di colmare la mancanza di una nuova coscienza, di una vera coscienza… è come se dovessimo riempire un vuoto profondo. E allora ci mettiamo dentro rimasugli di cattolicesimo, pezzetti di sociale, brandelli di antichi ideali, un po’ di antirazzismo, e qualche alberello qua e là…”.
E tra questi aggiungo: rimasugli di civismo, simulacri e operazioni di marketing per rifare il lifting a una “maccheronica” idea di democrazia, all’amatriciana, per soddisfare quel certo vorace appetito che contraddistingue il genere umano e lo cataloga come la specie più avida e spietata.
In Gaber ciascuno, se lo volesse, potrebbe riconoscere una parte di sé, quello che meglio o peggio ci calza, la maschera che mostriamo e che ci rimane appiccata addosso.
Possiamo evitare di notare la nostra somiglianza con le sue maschere contemporanee, possiamo rifiutare di riconoscervi i nostri difetti e quelli del mondo che ci permea, possiamo anche arrabbiarci, se vogliamo, con chi – irridente – ci mostra il nostro vero volto, ma dobbiamo infine piegarci all’evidenza di quello che Gaber va svelando: la natura umana spogliata dell’abito di ipocrisia che le abbiamo cucito addosso.
Attraverso Gaber, basterebbe volerlo, noi potremmo esplorare le nostre dissonanze, le discrepanze tra noi e una realtà quasi sempre preconfezionata, divenire consapevoli che la necessità di aderire a un gruppo troppe volte ci fa accettare di prendere posizione in modo acritico, innocente persino e immancabilmente illuso, al punto tale che finiamo poi per sentirci in scadenza, solo altri prodotti da consumare.
Un artista diventa di tutti soprattutto dopo la sua scomparsa, quando non può più replicare.
Finisce per appartenere ai detrattori come agli ammiratori, anche a quelli dell’ultima ora: ci si appropria di lui, ci si scopre riflessi nelle sue parole o si rinnega quel riflesso per vergogna, liquidando ciò che lo provoca come l’eccentricità del giullare in cerca di una risata, e magari solo per questo lo si assolve, sempre che lo si assolva.
Ma l’artista è anche quello che ci fa sentire meno soli perché parla di sé mentre parla di noi, ci coinvolge con inaspettata leggerezza nonostante la gravità di ciò che ci viene svelato.
Così io, in quella sua unica moltitudine, per caso, tra tutti ho scoperto il mio Gaber quale piccolo antidoto alla mia stessa solitudine.
Ho trovato quello adatto a me, col sorriso dolce, la simulazione d’allegria dalla piega amara delle labbra, sottolineata da una gestualità ampia e coinvolgente. E quando ti ci confronti ti pare di aver spazzato via tutti i tuoi dubbi, restando contemporaneamente col dubbio di non averlo capito bene sino in fondo. L’effetto sorpresa ogni volta ha questo retrogusto e non è certo un caso che Gaber amasse Pessoa e di Pessoa si contaminasse:
«Molti hanno aperto le ali senza essere capaci di volare, come gabbiani ipotetici».
Cosa rimane a vent’anni dalla scomparsa di Giorgio Gaber?
Resta l’artista che non si può etichettare né contenere, come accade ai liberi pensatori; resta l’uomo che, accusato di fare filosofia spicciola dai piccolo borghesi salottieri, intellettuali e non, ossequiosi o meno che si sentissero, sintetizzava perentoriamente il rapporto col potere più discutibile:
«Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”.
che metaforicamente esprime il timore verso un sentimento del potere, quel pericoloso e insano senso di onnipotenza e infallibile ascesa, che fa sentire molti alla stregua di novelli “Napoleone”.
Probabilmente è per questo che Gaber ha concluso da disilluso la sua esperienza di militante (chi può biasimarlo per questo), il fideismo delle adesioni acritiche non gli apparteneva, e sempre in seguito, nonostante tanti tentativi, sono risultate vane le forzature di chi avrebbe voluto ricondurlo ad una parte.
Lui sempre fuori moda, dissidente della cultura presunta tale, diceva:
«Ci sono due tipi di artisti: quelli che vogliono passare alla storia e quelli che si accontentano di passare alla cassa».
Lui sicuramente diverso, scomodo e isolato, non è mai passato all’incasso, pagando invece e fino in fondo il prezzo dovuto alla sua unicità geniale, volendosi mantenere sempre
“libero come un uomo”.
Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale
Circa 40 anni fa ero in viaggio di nozze e mi trovavo a L’Aquila e andai, insieme a mia moglie, a vedere uno spettacolo di Giorgio Gaber al teatro più importante della città.Gaber cantò tutte le canzoni del suo repertorio, che sono le stesse che continua a cantare oggi. Lo spettacolo fu così entusiasmante che applaudii almeno per cinque minuti di seguito.La canzone che mi piacque di più fu “La libertà” ma mi piacque molto tutto lo spettacolo che era intitolato :”Dialogo tra un impegnato ed un non so”.Gaber era già molto famoso ed applaudito nei maggiori teatri italiani. Anche mia moglie fu favorevolmente impressionata, come tutto il pubblico.Comprai il disco che conteneva il dialogo e da allora l’ho ascoltato un’infinità di volte.
Grazie Maurizio per la tua testimonianza. Gaber è stato un grande artista, nonostante sia venuto a mancare da 15 anni, ancora oggi ha molto da dire. Basta riascoltare le sue canzoni, guardare i filmati dei suoi spettacoli teatrali, leggere i suoi monologhi per accorgersi del suo valore e della forza dirompente di questa sua introspezione, nel trattare i temi più diversi.
….Gaber e’ risorto e se la Sx vuole risorgere dovrebbe prenderlo come inno..ed ho detto tutto!
Giorgio Gaber, pseudonimo di Giorgio Gaberščik (Milano, 25 gennaio 1939 – Montemagno di Camaiore, 1º gennaio 2003)…mie stesse origini slovene, anarchico, antisistema come forma di controllo, controcorrente, ispirato dalla conoscenza del genere umano facile preda dei pifferai magici. Purtroppo, alla mia eta’, sono pessimista in merito alla deriva demagogicopopulista. 🙁
Grazie Walt per aver lasciato un tuo commento 🙂
Le persone anticonformiste, che non seguono le mode, che non sono opportuniste, che non salgono sul carro dei vincitori, potrebbero sembrare o essere “poco simpatiche”. Di certo non cercano il successo facile, il consenso ad ogni costo e sono al giorno d’oggi dei follower falsi, dei like con fake news, con dichiarazioni incoerenti, improbabili, della falsa informazione del commentatore unico, al di fuori del sistema. Le persone che non sono serve o in vendita sono anche libere. Forse una definizione che manca ne “La libertà”. Le televisioni private del sistema berlusconizzato hanno prodotto milioni (o decine di milioni) di persone che non hanno o non esprimono un proprio pensiero, idea, parere e nemmeno un sogno o un desiderio. Ognuno di noi vive le proprie contraddizioni, come quella di avere una moglie “berlusconizzata”. L’ipocrisia, come l’ignoranza sono il sistema attuale. Gli artisti, i pensatori, come Gaber vengono spesso apprezzati (o analizzati o studiati) dopo che sono morti forse perché non fanno più paura al sistema ipocrita dei diritti acquisiti. O forse perché gli potremmo far dire quello che vogliamo. Gaber è stato uno dei tanti che ha detto che il re è nudo.