Pelham Grenville Woodehouse: due secoli di sorrisi

                                   

“Se dal cervello potesse ricavarsi stoffa, col suo non sarebbe venuto fuori un paio di calzoncini corti per un canarino”. 

Chi mai potrebbe dare una tale definizione di un tizio poco intelligente?

E chi direbbe di  una zia che è “così terribile da indossare biancheria intima di filo spinato” o da essere in grado “di aprire un’ostrica con lo sguardo a sessanta piedi di distanza”? 

Pelham Grenville Woodehouse

Un solo scrittore, che io sappia, è stato in grado di arrivare alla produzione di simili, sublimi  metafore: l’umorista inglese P.G. Woodehouse.

I suoi romanzi, moltissimi, perchè scrisse tanto e fino a tarda età, erano e sono così gradevoli e divertenti da poter essere usati come calmante o ricostituente dell’umore nei periodi in cui quest’ultimo si mantiene basso.
Avendone personalmente letti un’infinità lascio a voi dedurre se l’ho fatto per risollevarmi da uno stato psicologico spesso depresso o semplicemente per godere più che si potesse delle delizie delle sue trame impossibili e spassose con l’immancabile lieto fine, o del suo linguaggio alto e complesso, ricchissimo di sfumature, messo a disposizione di un umorismo eccelso e immediatamente riconoscibile.

Quale sia stato il movente che mi ha portato a leggere moltissimi dei suoi romanzi, ritengo utile per me e forse per altri, ripercorrere brevemente la vicenda biografica e autoriale di questa voce letteraria così fresca ed originale.

Pelham Grenville Woodehouse nacque a Guilford, capoluogo del Surrey, nel 1881.

Pelham Grenville Woodehouse, il primo a destra, all’età di sei anni con i suoi fratelli maggiori (1887)

Portava il nome di suo nonno calciatore, Pelham von Donop, ma per via della testa pelata e prugniforme con la quale era venuto al mondo, da subito e definitivamente, venne soprannominato “Plum”, prugna.
L’ambiente in cui crebbe, popolato da figure austere e del tutto incapaci di cogliere i lati buffi della vita, ebbe come effetto paradossale quello di sviluppare in lui un istintivo e incoercibile senso dell’umorismo.
Svolse la maggior parte dei suoi studi al Dulwich College, posto che ricordò sempre con nostalgia, ma quando si trattò di proseguirli all’università, ne venne impedito dalla scarsità di mezzi finanziari della sua famiglia. 

Cercò allora altre strade, rassegnandosi in un primo momento ad entrare come impiegato in una banca, nonostante non avesse nessun interesse ad intraprendere davvero quell’attività né tanto meno a cercare di farvi carriera.
Finì per lavorarci per circa due anni, ma nel frattempo aveva già individuato nella scrittura il suo vero polo d’attrazione, decidendo di dedicarvicisi, dapprima parallelamente al suo impegno di bancario, puntando poi decisamente su quella vocazione per farne il suo mestiere esclusivo. 

Cominciò quindi a collaborare con il londinese “Globe”, curando una fortunata rubrica umoristica, poi, nel 1909, pubblicò il suo romanzo “L’amore tra i polli”, nel quale fece debuttare uno dei suoi indimenticabili personaggi, l’attivissimo ed eloquentissimo pasticcione Ukridge. 
Il successo fu fulmineo e da quel momento in poi, ininterrotto. 
A quel punto era libero di scegliere ogni tipo di percorso e di scenario per il suo avvenire. 
Giocò la carta americana: Woodehouse si trasferì negli Stati Uniti, e precisamente ad Hollywood, mecca del cinema, dove riuscì in breve ad affermarsi come sceneggiatore. 

Nel 1914 sposò Ethel Newton, che gli fu compagna per tutta la vita.

Sir Pelham Grenville Woodehouse con Ethel Newton

Dagli anni Venti fino al 1940 visse tra gli Stati Uniti e la Francia, luogo in cui dal 1934 decise di risiedere, continuando a pubblicare romanzi di grande successo.
Quei libri erano caratterizzati dalla appartenenza a cicli narrativi indimenticabili, come quello del geniale maggiordomo Jeeves, del suo poco acuto padroncino Bertie Wooster e delle sue superenergiche zie, o quello delle storie legate al Castello di Blandings, maniero affollato di tipi umani imbambolati ed eccentrici, e da una folla di impostori.

Erano opere nelle quali, accanto alle figure principali, ricorrevano con puntualità molti altri personaggi “ di contorno”, che tuttavia apparivano altrettanto ben caratterizzati, un coro indispensabile alla efficacia delle trame.
Un linguaggio curatissimo, alto e frizzante, nel quale confluivano molte espressioni gergali, diventando anch’esse protagoniste, e denso di formidabili metafore, garantiva un divertimento sottile ed acuto, diletto che ha tuttora il potere di rinnovarsi ad ogni rilettura, fosse pure l’ennesima. 

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Woodehouse, apparentemente immerso nel suo mondo letterario eccentrico, disinteressato a ciò che succedeva tra le nazioni ed impreparato alle sue conseguenze, rimase a vivere in Francia, a Le Touquet, invece di tornare in Inghilterra, come sarebbe stato consigliabile fare.
Nella Francia occupata venne infatti preso prigioniero dai tedeschi e internato per un anno, prima in Belgio, poi in Polonia.
Qui intrattenne gli altri prigionieri con dei racconti umoristici.
Erano dei dialoghi che dopo il suo rilascio divennero trasmissioni radio mandate in onda da Berlino e che poco accortamente si lasciò convincere a fare dai tedeschi.

Nell’Inghilterra impegnata in una guerra accanita, quella leggerezza un po’ incosciente fu accolta malissimo e gli costò un’ondata di critiche, condite con accuse di collaborazionismo e addirittura di tradimento. Alcune biblioteche arrivarono a disfarsi dei suoi libri o a rifiutarli. 

Uno dei suoi maggiori accusatori, A. A. Milne, l’autore di “Winnie the Pooh”, fu poi ricambiato da Woodehouse con la creazione del ridicolissimo “Timothy Bobbin”, personaggio che parodiava i poeti per l’infanzia.
Tra i suoi difensori si schierarono invece Evelyn Waugh e George Orwell. L’amarezza per il trattamento ricevuto persuase lo scrittore a trasferirsi per sempre negli Stati Uniti di cui prese la cittadinanza nel 1955.
Non volle più tornare in Inghilterra, nemmeno quando la madrepatria, nel 1975, poco prima dela sua scomparsa, avvenuta nel febbraio di quell’anno, lo nominò Cavaliere dell’Impero Britannico (KBE).

Considerato secondo solo al grande Charles Dickens nella capacità di inventare personaggi e tipi umani impareggiabili ed emblematici di certi ambienti britannici, Plum, i cui romanzi, moltissimi data la sua prolificità, sono tuttora ristampati ovunque, col suo umorismo solo in apparenza datato, rimane in realtà un autore molto letto, e più che compreso.
Un umorista che si è dimostrato capace di costruire  un ponte fatto di divertimento e di sorrisi tra i lettori di due secoli.

“Il fascino del tiro al bersaglio come sport dipende quasi completamente dal fatto che tu sia dalla parte giusta o sbagliata del fucile”
(P.G. Woodehouse). 

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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