L’inizio del poema sinfonico Così parlò Zarathustra di Richard Strauss raggiunse una fama mondiale quando venne utilizzato da Stanley Kubrick nel film 2001: Odissea nello spazio e in seguito come colonna sonora di innumerevoli programmi televisivi.
Also sprach Zarathustra op.30 è uno dei poemi sinfonici più noti di Strauss. Composto nel 1896, è ispirato all’omonima opera poetico-filosofica del pensatore tedesco Friedrich Nietzsche. Richard Strauss si è ispirato alla tesi dell’Übermensch, “l’oltreuomo” cantata dallo stesso Nietzsche.
Su un pedale tenuto dai contrabbassi s’innerva la solennità delle 3 note ascendenti intonate dalle trombe: è il “Tema della Natura” che nell’opera compare più volte. Poi ‘l’alba del mondo: irrompono i 26 richiami, tredici per due volte dei timpani, poi entra tutta l’orchestra; un solo colpo dei piatti introduce l’organo che resta solo, a prolungare all’infinito l’accordo di Do maggiore, sistemando il caos sonoro che si era generato. Il saluto di Zarathustra al sole nascente costituisce l’impulso al memorabile avvio dell’opera: su un suono grave, quasi primordiale, insieme indistinto e indefinito, quattro trombe intonano tre volte il motivo della natura (do-sol-do), mantenendo dapprima l’ambiguità sul modo, poi, dopo una brusca oscillazione tra maggiore e minore, affermano trionfalmente l’accordo maggiore.
L’effetto, senza perdere nulla della sua barbarica gestualità è una sorta di compendio del farsi della musica linguaggio e della natura vita, spalancando tutta una serie di riferimenti incrociati: dalla rappresentazione del caos e della luce della Creazione di Haydn alla contrapposizione-identità dei modi maggiore-minore in Schubert, dal tema della spada simbolo della nascita del mondo umano nell’Oro del Reno di Wagner (e ancor prima della natura che, sorgendo dal nulla, comincia ad esistere) fino alla dissoluzione di quel mondo nei canti e danze della morte nei lavori mahleriani (non solo: proprio Mahler attinse da Zarathustra il testo del quarto movimento della sua Terza Sinfonia: O Mensch! e di Irrlicht nella seconda).
Nel lungo ciclo di poemi sinfonici composti da Richard Strauss tra il 1886 e il 1898, quest’opera si configura tra le più importanti e innovative. Per alcuni musicologi rappresenta il culmine della sua fase creativa ascendente che denota una sostanziale aderenza delle partiture all’assunto programmatico.
Nel sottotitolo, Strauss specifica “frei nach Friedrich Nietzsche – für grosses Orchester” (ovvero “liberamente da Friedrich Nietzsche – per grande orchestra”) per sottolineare, sia le dimensioni dell’organico orchestrale, sia la sua libera trasposizione musicale, considerando che i diversi momenti del poema sinfonico non rispettano la sequenza propria dell’opera letteraria.
La prima esecuzione ha avuto luogo a Francoforte il 27 novembre 1896 con Richard Strauss alla direzione della Museum Städtlisches Orchester.
La composizione è organizzata in quattro episodi principali racchiusi tra una introduzione e una coda:
“L’avvento della nuova era dell’oltreuomo” – Introduzione: celebre per gli effetti sonori, potenti e vivaci; sopra un mormorio dei bassi si sovrappongono i richiami delle trombe. L’idea prende corpo con il crescendo orchestrale; quando tace l’orchestra, rimane ancora per una battuta per l’organo.
“Di coloro che vivono fuori dal mondo” – Primo episodio: Ancora brusio di violoncelli e contrabbassi; ritorno al mondo reale con i fagotti che aprono un nuovo tema. Più avanti i corni intonano sommessamente il Credo gregoriano con riferimento all’incontro di Zarathustra con un religioso; a seguire un intenso corale che rappresenta la risposta di Zarathustra. Il primo sviluppo, cioè “Dell’aspirazione suprema”, ripropone i temi dell’introduzione.
“Delle gioie e delle passioni” – Secondo episodio: Si apre con gli ottoni impegnati in un tema che procede con animata drammaticità.
Il secondo sviluppo, “Il canto dei sepolcri”, rielabora lo stesso tema in una nuova visione lirica ma non troppo armonica.
“Della scienza” – Terzo episodio: Il tema dell’oltreuomo è alla base di una fuga che inizia lentamente nelle tonalità gravi; sono evidenti i richiami metaforici all’intelligenza umana, alla volontà. Il terzo sviluppo, intonato dai violini, riprende il tema iniziale.
“Il convalescente” è un ulteriore sviluppo sul tema della fuga, intonato drammaticamente dagli ottoni; nella complessa elaborazione si inseriscono i richiami delle trombe. Chiude il violino solista tra il librare dei clarinetti.
“Il canto della danza” – Quarto episodio: Una nuova trasformazione del tema dell’”oltreuomo” in forma di valzer viennese, molto articolato ed elegante. Inizio affidato al violino solo; il ritmo di danza diventa impetuoso, per poi acquietarsi. Anche lo sviluppo è basato sul tema del valzer.
“II canto del viandante notturno” – Coda finale: Il chiasso e il rumore della sezione precedente adesso sono smorzati e vengono convertiti in un canto patetico, accorato, nel quale sfumano tutte le tensioni che, tuttavia, restano irrisolte poiché il brano si chiude in un’ardita dissolvenza politonale, si maggiore per flauti, oboi, arpa e violini, do maggiore per i bassi, che raffigura il contrasto fra l’uomo e la natura.
Compositore e Direttore tedesco, Richard Strauss nasce a Monaco nel 1864, fu un maestro nel genere del Poema Sinfonico reso popolare già da Franz Listz; compose poemi sinfonici facendo riferimento a programmi sia descrittivi che filosofici. Introdusse alcune innovazioni nell’armonia e nella strumentazione, ampliando enormemente le potenzialità dell’orchestra moderna.
All’età di 32 anni Strauss era al culmine del successo, personaggio di punta della vita musicale europea, non solo per la brillante attività di direttore d’orchestra ma per la sua immagine di compositore d’avanguardia. Nessun giovane autore si era proposto in modo così convinto come erede della corrente di Wagner e Liszt – ovvero quella corrente che, opponendosi a una finalizzazione fine a sé stessa della musica, insisteva sulla necessità di dare alle composizioni musicali un programma, letterario o comunque preferibilmente narrativo, che chiarisse il contenuto musicale esposto dall’orchestra. Il lungo ciclo di Poemi Sinfonici nato fra il 1886 e il 1898 costituisce dunque un vero monumento di un credo musicale fermamente enunciato. Alle otto composizioni di quegli anni – Aus Italien (1886), Don Juan (1888-9), Macbeth (1886-91), Tod und Verklärung (1888-9), Till Eulenspiegel (1894-5), Also Sprach Zarathustra (1896), Don Quixote (1896-7), Ein Heldenleben (1897-8) – dovevano seguire poi negli anni successivi altri due lavori di simile ispirazione, la Symphonia Domestica (1902-3) e Eine Alpensinfonie (1911-15).
Also sprach Zarathustra è dunque la terzultima delle otto composizioni. Non a caso è anche l’opera giudicata in termini più controversi dai commentatori: come punto d’arrivo di una fase “ascendente” della produzione sinfonica straussiana o invece come prima manifestazione di una fase “discendente” – in cui alla dilatazione delle partiture corrispondono una dispersione del materiale musicale e una involuzione delle tematiche trattate. In effetti Also sprach Zarathustra è il primo dei poemi sinfonici di Strauss ad estendersi per una lunga durata, e a comportare forti connotazioni idealistiche, ma appare nel contempo una delle partiture più importanti e innovative del ciclo. Elemento centrale di tali caratteristiche è ovviamente il rapporto con il testo letterario al quale l’opera si ispira.
Friedrich Nietzsche aveva scritto Also sprach Zarathustra fra il 1883 e il 1885, apponendovi come sottotitolo “un libro per tutti e per nessuno”; espressione con la quale intendeva riferirsi alla scelta di creare uno scritto che operasse una riforma chiarificatrice già nell’esposizione, sottraendo il contenuto filosofìco a un linguaggio tecnico (un libro per tutti); e contemporaneamente alla scelta di un tono mistico che rischiava di chiudere ogni varco di accesso alla comprensione di pensieri solitari ed eletti (un libro per nessuno).
Nel testo il profeta Zarathustra decide di tornare nel mondo, dal quale si era ritirato in meditazione, e scende, “tramonta” fra gli uomini a svelare la sua parola, in circa ottanta discorsi tenuti in tono lirico e visionario sugli argomenti più disparati.
In esso vengono proposti tre temi fondamentali: la morte di Dio, ovvero il progressivo distacco dell’occidente da Dio che equivale alla sua uccisione, e ciò comporta il crollo dell’impalcatura di credenze e certezze che hanno accompagnato l’umanità per 2000 anni; quindi l’idea dell’oltreuomo (l’Übermensch) ovvero l’uomo nuovo che supera questo vuoto di valori perché ha reciso i legami col trascendente e ha scoperto il valore della propria natura terrena, grazie a una forza creatrice che gli permette di sostituire ai vecchi doveri la propria volontà; infine l’eterno ritorno, per cui il crollo delle certezze della metafisica riguarda anche la concezione giudaico-cristiana della finalità dell’universo, che invece non ha un inizio e una fine, non ha un senso intrinseco, ma è essenzialmente un eterno ritorno all’identico. Ovvio che quest’opera avesse provocato immediatamente una immensa ripercussione sulla cultura tedesca. Non stupisce che anche Strauss, uomo che non faceva mistero dei suoi orientamenti agnostici, venisse affascinato dal profeta Zarathustra e dall’oltreuomo che controlla il suo destino attraverso il suo volere individuale.
Più delicato è stabilire fino a che punto e in che modo il contenuto del testo di Nietzsche venisse assimilato ed esposto nel poema sinfonico.
Lo Zarathustra, eloquente ed enigmatico com’era, diventò presto il libro più celebre di Nietzsche in tutta Europa, il più citato ma non il più compreso certamente il più frainteso, più o meno in buona fede.
Lo Zarathustra, nel rifinito stile lirico e ardente di Nietzsche, oracolare e a tratti oscuro, contribuì a nutrire come pochi, ambizioni forti e anche mediocri in artisti alla ricerca di ebbrezze intellettuali.
A questo stile iniziatico e all’illusione che qui fosse il linguaggio nuovo di ogni arte moderna si dovette l’enorme successo del libro tra Otto e Novecento e l’inizio di tanti fraintendimenti.
Ma è bene aver chiaro che Strauss non ha avuto alcuna intenzione di trasformare in suono il fantasmagorico contenuto delle quattro parti del libro di Nietzsche.
Il rapporto con il testo ormai famoso è stato del tutto libero, a differenza poi delle composizioni di Altri ispirate allo Zarathustra qui non c’è la voce umana e quindi non si odono parole, e il musicista ha scelto i diversi capitoli non rispettando affatto l’ordine proprio dell’opera letteraria.
Noi conosciamo le convinzioni di Strauss fondate sul vitalismo pagano, sulla forza primaria della natura, sul sensualismo estetizzante e sulla supremazia dell’arte.
Nello Zarathustra musicale c’è tutto questo, espresso con ammirevole ricchezza di invenzioni e di mezzi, con energia di relazioni tra concetto e disegno sonoro, con una poderosa carica retorica. Qual è allora il piano dei significati, lo svolgimento del contenuto ideale nella musica?
Il solitario eremita, Zarathustra, scende nel mondo degli uomini per annunziar loro la profezia dello spirito non ascetico e dell’uomo oltre l’uomo. Zarathustra attraversa tutte le esperienze in mezzo agli uomini sprezzanti e pii (quelli che sperano in un mondo di là dal mondo), forti e malati, orgogliosi e deboli; egli conosce, esalta e disprezza le illusioni religiose, i deliri delle passioni, la morte, la paziente costruzione della scienza e della sapienza analitica, la lenta guarigione dai lacci del mondo, la liberazione nell’ebbrezza dionisiaca e nell’immensità della notte.
L’esaltazione della verità non contemplata ma vissuta si oscura e si estingue nella enigmatica domanda finale: natura (do maggiore) o spirito (il remoto si maggiore)? La verità è nella loro identità…
E’ da composizioni come questa, che si ritiene appartenere ancora al genere tardo-romantico, che poi prenderanno le mosse le rivoluzioni di Stravinskij, Hindemith, Schönberg del XX secolo fino a Stockhausen.
Bibliografia:
- Quirino Principe, Strauss, Rusconi 1989;
- Giangiorgio Satragni, Richard Strauss dietro la maschera. EDT 2015;
- Giorgio Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi Editore, Milano 1974;
- Massimo Fini, Nietzsche. L’apolide dell’esistenza, Marsilio, 2002;
- Joachim Kohler, Nietzsche: Il segreto di Zarathustra, Rusconi, Milano, 1994.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.