Oliver Reed (Kent Smith), un architetto navale americano, incontra ad uno zoo newyorkese Irina (Simone Simon), una disegnatrice di moda serba; per essere precisi si incontrano davanti ad una pantera nera ingabbiata. I due si innamorano e si sposano nel giro di pochi mesi, ma Irina si rifiuta di consumare il matrimonio perché è convinta di discendere da una antica stirpe di uomini pantera che aveva invaso la sua terra d’origine; nel salotto di casa sua è persino esposta una scultura di venti centimetri raffigurante Re Giovanni di Serbia in sella ad un cavallo e con una pantera trafitta dalla sua spada rivolta verso l’alto.
Pur non credendo a quella leggenda, Oliver tenta di rimanere al suo fianco, e le propone di incontrare uno psichiatra, il dott. Judd (Tom Comway); ma anche lui crede di avere a che fare con un caso di isteria e paranoia. La temuta metamorfosi si verificherà non appena conosce Alice (Jane Randolph), una collega e amica di Oliver, di cui è sempre stata innamorata.
In questo horror cult non assistiamo affatto a quella metamorfosi. Il terrore viene solamente suggerito con la semplice tattica del “vedo, non vedo”.
Pur non avendo un soggetto entusiasmante, Il bacio della pantera (Cat People, in lingua originale) resterà un riferimento per i cultori del genere grazie ad una ricercata e suggestiva fotografia in bianco e nero – quasi tendente all’Espressionismo Tedesco e allo stile di Robert Siodmark, regista de La scala a chiocciola (1946) e contemporaneo di Tourneur. In effetti, quelle proiezioni di luci ed ombre sulle pareti non sono del tutto estranee alle atmosfere di Nosferatu il vampiro (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau.
Comunque sia, Il bacio della pantera è da (ri)scoprire per tre fattori stilistici che hanno decisamente fatto scuola: il primo fra questi sarebbe la scena del sogno di Irina, inquadrata in primo piano mentre si dimena nel sonno. In quell’istante avvengono delle sovrimpressioni: una sfilata di pantere animate, il dott. Judd nei panni di Re Giovanni di Serbia munito di spada e armatura, e la chiave della gabbia della pantera che occupa l’intero spazio del fotogramma.
Il secondo fattore si presenta quando Irina inizia a pedinare la povera Alice. Per strada si sente all’unisono il rumore dei tacchi a spillo di entrambe le donne, ma dopo qualche minuto i passi di Irina si esauriscono. La sua rivale si accorge di essere seguita, ma non vede nessuno. Pare che Irina si sia già trasformata, ma la strada continua a rimanere deserta. Quando si sente un rumore simile ad un ruggito entra in campo un autobus, facendoci capire che quel rumore proviene solamente dal mezzo di trasporto. Oltre ad essere considerato un esempio di jump scare (cioè una di quelle scene d’orrore che ci fanno “alzare dalla sedia” a causa dell’”effetto sorpresa”), tale sequenza è soprattutto un esempio di Lewton Bus (o semplicemente “bus”), che indica un “falso allarme” che smorza la tensione che si è creata in scena.
L’ultimo fattore (ma non il meno importante) si trova nella scena della piscina, in cui Alice, capendo di essere inseguita da un predatore felino, si getta subito in acqua per non essere catturata. Ad ogni ombra sfuggente e ruggito della pantera, la donna si gira in ogni angolo della piscina senza trovarne traccia.
Da questo film hanno girato un sequel (Il giardino delle streghe, 1944) e un omonimo remake “infedele” (1982) diretto dallo sceneggiatore di Taxi Driver (1976) e regista di American Gigolò (1980) Paul Schrader, con protagonisti Nastassja Kinski e Malcom McDowell. Entrambe le opere sono decisamente sconsigliabili!
Qualche parola sul regista: Jacques Tourneur (1904 – 1977), francese naturalizzato statunitense, era figlio del regista Maurice, fondatore della Motion Picture Directors Association, nota ai giorni d’oggi come Directors Guild of America. Dopo Il bacio della pantera, Jacques girò altri due film dell’orrore, noti come Ho camminato con uno zombi (1943) e L’uomo leopardo (1943). L’importanza del primo film è dovuta al fatto che gli zombi di Tourner (ispirati dal folklore haitiano) anticipano quelli di George A. Romero, che fungono esclusivamente come satira e critica feroce nei confronti dello stile di vita americano.
Disponibilità: Su Rai Play e MUBI.
Lorenzo Palombo si definisce come uno studente cinefilo che ama parlare e scrivere di cinema – e recitare a memoria le battute di film e sitcom – a costo di annoiare amici e parenti.
Per Latina Città Aperta propone una rubrica intitolata “Un film da (ri)scoprire” per invitare i lettori a vedere o rivedere alcuni film acclamati dalla critica e dal pubblico che rischiano di dissolversi dalla memoria dello spettatore. La rubrica accoglie persino alcuni film europei o internazionali che non sono stati distribuiti nelle nostre sale cinematografiche.