Oggi più di ieri, complici la ricerca in continua evoluzione ed i ritrovamenti archeologici, la figura di Nerone, ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia, è al centro di una riconsiderazione.
Già dai secoli scorsi gli storici hanno evidenziato alcuni aspetti poco conosciuti del suo impero che rivelano un profilo inedito, che spesso sovverte quanto è stato tramandato su di lui da fonti storiche coeve ed a lui ostili, specialmente quelle di provenienza senatoria.
Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, nato come Lucio Domizio Enobarbo, vide la luce ad Anzio nel 37 d.C..
Tacito, Svetonio e Dione Cassio, fonti biografiche a lui ostili, appartenenti all’ordine senatorio, sebbene abbiano esaltato le caratteristiche negative della sua personalità, non hanno neanche mai tentato di nascondere la popolarità e la fama di cui Nerone godeva, una fama tale che a Roma, anche parecchio tempo dopo la sua morte, molti increduli pensavano possibile un suo ritorno.Ma su quali basi poggiava questa considerazione del popolo romano e la fedeltà delle legioni imperiali nei suoi confronti? Sembra che questa fiducia derivasse dai fatti, essendo riconducibile ad una sua intuizione una serie di riforme in ambito economico ed edilizio che attese da tempo dal popolo, avrebbero cambiato il volto dell’Impero.
Ancor giovane, appena divenuto Princeps, Nerone iniziò un periodo di sapiente gestione della res publica animato da sentimenti liberali e da una profonda avversione nei riguardi della crudeltà negli spettacoli pubblici, indetti dagli aristocratici e dai governatori a spese dei sudditi.
400 sesterzi dati ad ogni cittadino, la riduzione delle tasse più gravose, un sostegno economico ai meno abbienti, il divieto di organizzare giochi con animali o gladiatori per evitare di estorcere denaro ai sudditi e la pubblicità dei processi giudiziari: questi furono gli atti di maggior rilievo compiuti da Nerone nei suoi primi anni di potere, mantenuti in vigore per tutta la durata del regno.
Ma è tra il 58 e il 64 d.C. che si possono individuare i due provvedimenti più importanti nella storia del suo principato: il tentativo di riforma fiscale e la riforma monetaria.
Datava infatti 58 d.C. la proposta presentata da Nerone al Senato relativa a un riordino del sistema impositivo, in particolare nel settore dei dazi doganali, la cui articolazione stava penalizzando la circolazione delle merci tra le varie parti dell’impero, danneggiando i meno abbienti ed i soldati. Erano i pubblicani a occuparsi della riscossione di questi tributi e i metodi poco ortodossi da essi utilizzati fino ad allora avevano finito per suscitare la disapprovazione del popolo vessato.
Il Senato però fu contrario e pare certo che sulla scelta dei senatori abbia influito anche la presa di posizione intransigente delle classi più abbienti, timorose di inimicarsi il favore dei pubblicani. Va ricordato anche che questi ultimi erano spesso solo dei prestanome per conto dei senatori, cui tale attività era vietata per legge.
Per Nerone la decisione negativa del Senato fu un duro colpo da accettare e contribuì da quel momento in poi ad accentuare un atteggiamento reciproco di ostilità e diffidenza tra lui e l’ordine senatorio.
Di analogo tenore era la seconda delle grandi riforme proposte da Nerone, quella monetaria, attuata tra il 63 e il 64 d.C. Era una riforma che come ricordano alcune fonti storiografiche, non aveva avuto eguali nella storia di Roma. Consistette in pratica in una svalutazione della moneta a vantaggio del popolo, tendente ad aumentare l’occupazione, a ridurre l’inflazione che pesava sui consumi dei più poveri e a ricostruire Roma.
I senatori furono nuovamente molto critici, opponendosi in ogni modo al provvedimento, ma stavolta l’imperatore tenne duro. La storia successiva gli dette ragione: nessun successore ebbe mai il coraggio di abrogare la sua riforma.
Secondo uno schema frequente nel mondo antico, la conflittualità tra princeps e aristocrazia era spesso controbilanciata da un’alleanza del primo con le classi povere, in ragione di un reciproco interesse.
Il monarca si avvaleva così di un potente fattore di pressione politica nella sua contesa con le classi elevate, garantendo dal canto suo protezione al popolo di fronte ai soprusi e all’arbitrio cui questo era succube da parte degli oligarchi.
Simpatizzante dei più deboli, Nerone godette sempre di ottima fama tra la plebe urbana, spesso gratificata con donativi ed elargizioni di grano, oltre che principale destinataria dei tanti intrattenimenti non cruenti organizzati gratuitamente durante il suo principato.
I primi anni di reggenza del giovane Cesare furono comunque ricordati come i più felici e floridi del suo impero. L’insofferenza di Nerone verso le pesanti interferenze della madre non si era ancora manifestata ed un ulteriore beneficio derivava al princeps dalla presenza di due esperti tutori, che Agrippina aveva scelto per affiancarlo: il senatore filosofo Lucio Anneo Seneca e il prefetto del pretorio Sesto Afranio Burro.
Naturalmente va detto che Agrippina attraverso l’opera di Seneca e Burro voleva controllare l’operato del figlio, in modo tale da avere comunque l’ultima parola. Va ricordato che la madre di Nerone aveva già fatto eliminare Claudio ed il pretendente Britannico e non a caso il fratello Caligola l’aveva confinata sull’isola di Ventotene dopo che la donna aveva congiurato anche contro di lui.
Invaghitosi prima della liberta Atte e poi di Poppea, Nerone, nonostante l’appoggio di Seneca, si scontrò immediatamente con la madre che si oppose fermamente al suo divorzio ed al ripudio di Ottavia, la figlia di Claudio, che aveva fatto sposare a Nerone quando era giovanissimo.
In ragione di ciò Agrippina iniziò a tramare contro il figlio perché la sua decisione si configurava come una vera e propria scelta dinastica che escludeva dalla discendenza il ramo giulio-claudio della dinastia, con conseguenze tanto più gravi quanto più estese erano le clientele e le alleanze familiari di cui era garante il casato di Ottavia.
L’eliminazione di Agrippina fu necessaria a Nerone per salvarsi la vita, ma il ripudio di Ottavia e il matrimonio con Poppea allargarono all’interno della corte il dissenso nei suoi confronti e resero più verosimile e concreto il rischio di congiure e complotti.
A partire dal 62 d.C. si susseguirono processi e condanne a carico di molti tra i personaggi più in vista della gerarchia politica imperiale.
Tra quelli che caddero vittime della rappresaglia del princeps ci furono anche membri del Senato.
Parallelamente si ispirava ad un importante disegno di respiro sociale la riforma dell’assetto urbanistico della capitale, pensata in seguito al devastante incendio del 64 d.C. che rase al suolo più della metà degli edifici della città, compreso lo stesso palazzo dell’imperatore che era anche il cuore amministrativo del potere.
Per quel rogo da tempo gli storici hanno ormai scagionato Nerone che tra l’altro in quei giorni era ad Anzio, sottraendogli ogni responsabilità e chiarendo che l’incendio fu assolutamente casuale.
Al contrario della narrazione che si impose successivamente, è ormai assodato che Nerone non solo si prodigò moltissimo per soccorrere i feriti e i senzatetto, accogliendoli nei suoi giardini, ma che giunse addirittura ad attirarsi l’odio delle classi elevate facendo sequestrare imponenti quantitativi di derrate alimentari per sfamarli, calmierando anche il prezzo del grano.
Quanto poi all’accusa di aver fatto ricadere la colpa sui cristiani si intuisce dalle parole di Tacito che non si trattò di una persecuzione e va inoltre ricordato che non fu emanato nessun atto contro i cristiani.
Solo alcuni di loro vennero condannati e dichiarati colpevoli in seguito a un regolare processo.
Si trattò con ogni probabilità di isolati casi di fanatici che vedevano nelle fiamme una purificatrice opera divina. L’imperatore processandoli non aveva forse fatto altro che farsi interprete delle pulsioni del popolo romano, desideroso di trovare un capro espiatorio in una setta invisa ai più per le sue profezie apocalittiche.
Tali stringenti regole resero ancor più impopolare il princeps tra le classi agiate dalle quali provenivano con tutta probabilità gli speculatori edilizi che erano stati i veri responsabili della rapidissima propagazione dell’incendio.
Nel 65 d.C. venne scoperto un’articolato complotto contro l’Imperatore, facente capo a Gaio Calpurnio Pisone. Questi era un personaggio singolare: frivolo quanto affabile ed eloquente, eccelleva nelle arti della cortigianeria e queste caratteristiche lo avevano reso molto popolare.
Alla cospirazione, insieme a personaggi molto vicini all’imperatore, aderirono però anche esponenti legati alle coorti pretorie che propugnavano un principato più rigoroso e meno teatrale.
Anche altri restarono coinvolti, più o meno compromessi, come lo stesso Seneca, il poeta Lucano e Petronio Arbitro: a tutti costoro venne trasmesso l’implacabile invito a suicidarsi.
Il clima cupo delle congiure di palazzo accelerò la crisi istituzionale che avrebbe travolto Nerone.
Di ritorno dal suo viaggio in Grecia nel 67 d.C, durante il quale l’imperatore si era dedicato alle gare poetiche e sportive delle Olimpiadi e ad altri Giochi, che gli avevano definitivamente alienato le simpatie dell’élites a Roma, Nerone si dimostrò del tutto impreparato ad affrontare la catastrofe incombente.
La sollevazione del governatore della Gallia Lugdunense Giulio Vindice, nel 68 d.C., innescò la mobilitazione dei contingenti legionari.
Mentre le truppe di stanza in Germania si mantennero fedeli a Nerone e guidate da Verginio Rufo repressero la rivolta in Gallia, l’invito alla sollevazione fu accolto invece dal governatore della Spagna Tarraconense Galba, che accettò l’acclamazione da parte dell’unica legione ai suoi ordini.
Isolato, senza più appoggi neppure a corte e abbandonato anche dalla Guardia Pretoriana, Nerone fu dichiarato hostis publicus dal Senato.
Non restava altro che la spada: il 9 giugno del 68 d.C. il princeps si pugnalò alla gola nella casa di un suo liberto di fiducia Faone: aveva appena 30 anni.
Nella traballante verità storica che per tantissimi anni è stata associata alla sua figura, resta ancora interessante la domanda: chi era davvero Nerone?
Non fu monarca peggiore di molti imperatori di cui si onora ancor oggi la memoria.
Fu vittima semmai dell’esser capitato, con le sue idee e aspirazioni artistiche, in momento poco adatto per attuarle, anche se va ricordato che nessuna delle sue riforme, alle quali abbiamo accennato, fu revocata dagli imperatori successivi.
Nerone poi aveva una notevole cultura di stampo ellenistico e pare fosse abile nel verseggiare e nel suonare la cetra e l’organo ad acqua. La sua passione per la recitazione e per il teatro venne considerata tuttavia disdicevole per i patrizi romani: non si ammetteva che fosse un senatore a muoversi e declamasse come un attore o mimo, figurarsi l’imperatore!
L’amore di Nerone per le arti fu sincero, tanto è vero che i suoi giochi, ricalcati sul modello organizzativo delle Olimpiadi, i Neronia, erano più che altro gare artistiche, con propaggini sportive con qualche corsa dei carri con cavalli, passatempo del quale l’imperatore era appassionato.
Nerone non solo vi partecipava personalmente ma incitava a volte alcuni dei senatori a fare altrettanto, creando così situazioni esilaranti e imbarazzanti per i severi patrizi, ma nello stesso tempo esaltanti per il popolo quando vedeva quei potenti superati in bravura in molte discipline. Erano i casi in cui il tifo esplodeva, andava alle stelle facendo crescere il mito dell’imperatore.
Quel che era nelle intenzioni di Nerone era di favorire una vera e propria rivoluzione culturale che dirozzasse la mentalità romana, spogliandola dai miti di bellicismo e autoritarismo che nella sua epoca erano ancora imperanti, soprattutto nel Senato.
Ciò che disturbava maggiormente il patriziato senatoriale era la paura che il princeps a poco a poco trasformasse la figura dell’imperatore romano in un sovrano assoluto sul modello orientale, non rendendosi conto che già l’abile politica di basso profilo di Augusto aveva ormai portato l’istituzione senatoria ad essere organo meramente consultivo, quasi decorativo.
In realtà i poteri del princeps era già assoluti.
Sotto Nerone, con l’eccezione di qualche rivolta soffocata in Giudea e in Britannia, non furono svolte grandi campagne militari e l’Impero godette più di un decennio di pace e prosperità, anche perché si preferì sempre il trattato alla guerra.
Traiano, che di conflitti se ne intendeva, disse che gli ultimi anni neroniani erano stati il periodo aureo nella storia dell’Impero prima che lui salisse al potere.
È incontestabile che Nerone si sia macchiato di delitti, imperdonabile soprattutto quello di Ottavia, ma va anche rammentato che nella Corte di Roma spesso si uccideva per non essere uccisi.
Esemplare il caso della madre Agrippina che tramò contro di lui come aveva fatto con Caligola e con Claudio, che avvelenò, come pure quello del filosofo senatore Seneca, voltagabbana con Nerone come lo era stato con Claudio che lo confinò in Corsica.
Oltre a essere un usuraio, uno speculatore edilizio e uno specialista nel volgere a suo favore testamenti che beneficavano altri, Seneca è oggi ricordato per le auliche parole, intrise di ipocrita stoicismo, con cui adornava i suoi scritti e per i suoi insegnamenti, ma questo raffinato intellettuale fu in grado in pochi anni di accumulare l’enorme patrimonio di 300 milioni di sesterzi.
Dopo il suicidio, dunque, la salma di Nerone venne deposta in un’urna di porfido, sormontata da un altare di marmo e collocata nel Sepolcro dei Domizi.
Fu la liberta Atte, forse l’unico vero amore della sua vita, a pagare le spese per le esequie.
La sua tomba fu onorata per decenni dal popolo che tanto lo aveva amato e per decenni con la bella stagione la si vedeva adorna di fiori.
L’immagine di tiranno sanguinario e folle che per secoli ha perseguitato la sua persona appare oggi immeritata.
Fu un principe clemente con molti, un romano particolare che non amava gli spettacoli gladiatori e che promosse opere sociali e pubbliche di grande valore. Sicuramente negli ultimi anni egli si rinchiuse in sé dedicandosi all’arte e alla musica.
Lasciare il governo nelle mani del prefetto del pretorio Tigellino fu forse il più decisivo dei suoi errori.
Riporta il “De Clementia” di Seneca che una volta Nerone, quando fu costretto dal senato a firmare una condanna a morte che avrebbe preferito commutare in esilio, cosa che del resto aveva spesso fatto, aveva esclamato:
“Come vorrei non saper scrivere!”
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.