L’icona della Trinità di Rublev

“Il pittore di icone deve essere umile, dolce, pio, non chiacchierone, non ridanciano, non litigioso, non invidioso, non bevitore, non ladro; deve osservare la purezza spirituale e corporale”.

Andrej Rublev la cui reale identità è un mistero, fu un pittore russo oltre che un santo della fede ortodossa. Le informazioni biografiche su di lui sono estremamente scarse.

I ricercatori ipotizzano che Andrej fosse il nome monastico del pittore di icone e che il nome vero avuto alla nascita è sconosciuto; solo molti anni dopo la sua morte furono scoperte diverse icone dell’artista, vicino la città di Zvenigorod, nascoste in un fienile e oggi non è possibile immaginare la Galleria Tretyakov di Mosca senza questi capolavori.

Quello della Trinità è un dogma della Chiesa Cattolica nonché la dottrina di tutte le più diffuse chiese cristiane, secondo la quale Dio è contemporaneamente uno e trino. In altre parole, Dio è uno solo ma si divide in tre persone: il Padre, trascendente e creatore del cielo e della terra; il Figlio, ossia Cristo, generato dal Padre prima di tutti i secoli e fattosi uomo; lo Spirito Santo, donato alla Chiesa e agli Apostoli con la resurrezione di Cristo:

Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi” (Giovanni, 14, 16-17).

Ognuna delle tre Persone della Trinità è totalmente Dio.

Il concetto di Trinità apparve molto presto nei Vangeli, dove leggiamo:

“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Matteo, 28, 19).

Se già è difficile affermare che Dio è “una sustanzia in tre persone”, come scrisse Dante, ossia “uno e trino”, giacché la natura divina non è comprensibile alla mente umana, ancor più arduo è rappresentare tale Mistero. Nella prima arte cristiana si fece ricorso a simboli codificati: la mano che esce dal cielo per il Padre, l’agnello per il Figlio, la colomba per lo Spirito Santo.

Nell’arte cristiana in Russia i tre angeli della Genesi sono esplicitamente usati per raffigurare la Trinità stessa. Essi sono spesso raffigurati attorno a una tavola imbandita, prefigurazione dell’altare su cui si celebra il mistero eucaristico. Dall’immagine dei tre angeli venne ricavata una seconda, particolare, raffigurazione della Trinità, nella quale Cristo viene proposto per tre volte, in tre figure identiche ma distinte e affiancate.

La più comune raffigurazione della Trinità però è quella che risale al XII secolo e si basa su una frase di Gesù che leggiamo nei Vangeli:

“D’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio (“Matteo 26, 64).

La più famosa rappresentazione della Trinità, nella storia dell’arte, è costituita da una icona russa realizzata da Andrej Rublëv, pittore, iconografo e miniaturista. Questo capolavoro venne dipinto (anzi “scritto”, perché correttamente si usa dire che le icone vengono scritte, non dipinte) in occasione della canonizzazione del fondatore del Monastero della Trinità di San Sergio, dove Rublëv viveva. Essa è oggi definita, per la sua grande importanza, ‘l’Icona delle icone’.

Andrej Rublëv, Icona della SS. Trinità, 1420-1430 circa.
Mosca, Galleria statale di Tret’jakov

Le tre Persone della Trinità vengono mostrate in forma angelica, sono dotate di aureola e siedono attorno a un tavolo, su cui è posata una coppa. Hanno tutte espressioni dolcissime e compiono gesti aggraziati. La loro posizione è tale da iscriverle all’interno di una ideale circonferenza, simbolo di perfezione divina. All’interno di tale circonferenza ideale è possibile scorgere anche un ideale triangolo inscritto, altro simbolo trinitario, i cui lati lambiscono la figura centrale.
Le tre persone sono identiche fra loro ma anche distinte, grazie soprattutto alle vesti, che presentano colori differenti e ci consentono di identificarle: infatti, il rosso, simbolo di sacrificio, ci fa riconoscere Gesù al centro, mentre il verde, simbolo del rinnovamento della vita, è il colore dello Spirito Santo, a destra. Il blu, simbolo della vita eterna, identifica Dio Padre coperto da un manto rosa-oro simbolo di regalità. Dio Padre, è l’unico fra i tre che leva la mano come per dare un ordine, giacché tutto procede da Lui, e indica la coppa al centro del tavolo, la quale è il calice eucaristico, simbolo del sacrificio di Cristo ma anche di salvezza per l’umanità. Il fondo oro simboleggia la luce divina in cui le tre Persone sono immerse. L’albero alle spalle di Cristo potrebbe alludere al legno della Croce. L’edificio in alto a sinistra simboleggia il Tempio di Gerusalemme e la Chiesa, Casa del Padre.

La scena non è prospetticamente concepita, giacché non racconta un episodio avvenuto sulla terra ma rimanda a una dimensione puramente spirituale. Anzi, la prospettiva utilizzata è deliberatamente sbagliata (si parla di prospettiva inversa) giacché nel mondo artistico delle icone non è lo spettatore a entrare idealmente nel quadro ma al contrario è l’immagine sacra a invadere il mondo materiale. Le icone sono infatti ideali finestre che mettono in comunicazione la realtà materiale in cui viviamo con la dimensione puramente spirituale del divino.                                                              
L’Icona della Trinità di Rublëv è stata adottata come indiscusso modello dalle generazioni successive di iconografi. Riprodotta in migliaia di esemplari, è ancora oggi proposta alla venerazione dei fedeli.

Non dobbiamo mai dimenticare che nel mondo delle icone ha poco senso parlare di originali e copie: solo l’immagine in sé conta, giacché essa ‘è espressione di Bellezza e la Bellezza è Dio’. Gli iconografi considerano le icone sacre come il genere più alto dell’arte, così come la Bibbia costituisce il massimo genere letterario. Ecco perché la tradizione vuole che gli iconografi non mettano mai la propria firma sulle proprie opere, in quanto le icone non appartengono ad essi ma solamente a Dio. Ciò valeva in età bizantina, continuò a valere nei secoli successivi, vale ancora oggi. Dipingere le icone (anzi, “scrivere” le icone) non è solo un mestiere, non è solo un’arte, è prima di tutto un atto di fede, una forma di inesauribile preghiera.

Rublev visse durante il Principato di Mosca, che attraversava un periodo di crisi nella seconda metà del XV secolo. L’arte si era trasformata e il nostro pittore di icone ha portato una nuova luce nella pittura di questo periodo. Le sue opere sono tutte caratterizzate da una colorazione brillante. Nelle sue opere d’arte trasmette una straordinaria purezza spirituale e una fede profonda. La sua tavolozza di colori perfettamente selezionata rafforzò questa sensazione e conferì una nuova armonia all’iconografia russa. La radiosità interiore e il carattere speciale delle sue creazioni hanno influenzato la sua conoscenza nel campo dei simboli e delle immagini.

Icona di San Giovanni Battista – Andrej Rublev

Il volto di Andrej Rublev non è mai stato catturato da nessuna immagine per il Il fatto che egli non dipingeva icone religiose per fama, profitto o gloria, predicava piuttosto il Vangelo con i colori.
Nacque vicino a Mosca intorno al 1360. Si presume che abbia vissuto come monaco nella Lavra (monastero) della Santissima Trinità fondata nel 1345 da Sergii Radonezhsky. È qui che Andrej Rublev cominciò a dipingere, cercando di compiere la sua vocazione cioè lasciare che Dio parlasse alla gente attraverso le icone.
A quel tempo, insieme agli stimati artisti Prokhor il Vecchio di Gorodets e Teofane il Greco, Andrej creò icone e affreschi per la Cattedrale dell’Annunciazione, una delle più grandi chiese medievali del Cremlino di Mosca. Lavorare in coppia con Teofane, il cui stile di scrittura è chiamato corsivo pittorico per tratti precisi e chiari, deve essere stato un onore per il giovane maestro. Le icone di Teofane stupiscono per la loro grandezza, i volti dei santi da lui raffigurati sono severi e brillanti in ogni tratto. Ma Rublev sviluppò un suo stile di pittura di icone, in cui non c’è il dramma e la severità di Teofane il greco. Le icone di Rublev sono piene di tranquillità e armonia. I critici d’arte indicano la tavolozza dell’artista, come ispirata da una soleggiata giornata estiva: qui ci sono campi dorati con intercalazioni blu fiordaliso, un’alba scarlatta e un fiume turchese.

Gesù – Andrej Rublev

Le cronache ci dicono che tre anni dopo, nel 1408, Andrei Rublev e Daniil Chyorny dipinsero la magnifica Cattedrale della Dormizione a Vladimir. L’opera congiunta di questi grandi pittori di icone russi si svolse pure nel 1425-1427, epoca in cui dipinsero nella Lavra (monastero) della Santissima Trinità di San Sergio.
Si ritiene inoltre che Rublev abbia dipinto più miniature per i Vangeli di Khitrovo, un Vangelo miniato russo della fine del XV secolo.
Gli ultimi anni della sua vita, Andrej Rublev trascorse nel monastero Andronikov del Salvatore a Mosca dove realizzò il suo ultimo capolavoro dell’iconografia ortodossa, gli affreschi della Cattedrale del Salvatore.

Gli affreschi di Andrej Rubljov nella Cattedrale del Salvatore nel Monastero del Salvatore e di Andronico di Mosca

Sebbene non abbia mai aspirato a diventare celebre, Andrej Rublev ottenne il più alto riconoscimento della Chiesa ortodossa russa, quando era ancora tra i vivi; per le sue icone uniche nel loro genere, il che è confermato da diverse cronache dell’epoca. Dopo la sua morte non venne dimenticato, poiché la sua fama di pittore di icone è sopravvissuta nei secoli. Anche nel XIX secolo e durante il periodo sovietico, quando l’arte iconografica sembrava essere dimenticata, il nome di Rublev era considerato lo standard massimo dell’arte visiva.
Non c’è da stupirsi che le famose icone religiose di Rublev, che rappresentano l’incarnazione dell’iconografia canonica ortodossa orientale, siano sempre state molto apprezzate in tutto il mondo.

L’opera che assicurò ad Andrej Rublev fama mondiale imperitura è dunque la celebrata icona della Trinità del Monastero di San Sergio, che è l’apoteosi della sua ispirazione creativa. La luminosa Trinità ha avuto unanime riconoscimento ai nostri giorni, come anche molti secoli or sono nell’antica Russia, ed è considerata come l’opera più alta che il grande maestro ha dato al mondo grazie alla sua mente geniale e al suo cuore pieno di profondo amore per l’umanità.

Andrej Rublev è stato proclamato solennemente santo nel corso dei festeggiamenti del Millenario dell’avvento della Russia cristiana (1988). Sono purtroppo assai scarse le notizie sulla vita di questo santo, rintracciabili nelle cronache e nelle biografie dei santi Sergio e Nicone di Radonez, nonché negli scritti di San Giuseppe Volockij.
Andrej nacque in Russia verso il 1360, dunque contemporaneo del Beato Angelico. Sin dalla più giovane età nutrì il desiderio di farsi monaco ed a tal scopo raggiunse la Lavra della Santissima Trinità-San Sergio di Radonez, dove fu indirizzato al monastero di Serpuchov. Qui scelse la professione religiosa e maggiorenne, ricevette l’ordinazione presbiterale per fare poi ritorno nella Lavra di Radonez. Qui tra gli anni ’70 e ’90 del XIV secolo apprese l’arte dell’iconografia e conobbe il suo migliore amico, il bulgaro Daniele il Nero (Chyorny). I due furono inseparabili nel lavoro sino alla morte, che sopraggiunse per entrambi nello stesso anno.
Uomo di preghiera, Andrej non trascorreva tuttavia tutto il suo tempo rinchiuso in cella, ma eseguiva fedelmente anche tutti quei compiti che gli venivano affidati.
Le prime notizie su Rublëv risalgono al 1405, quando decorò con icone e affreschi la cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino di Mosca, lavorando insieme a Teofane il Greco e a Prochor di Gorodec. Il suo nome era in coda alla lista dei pittori, segno che allora era il minore sia per fama sia per età.
Alcuni studiosi riportarono alla luce, nel XX secolo, due serie di icone ancora in buone condizioni dopo l’incendio di una cattedrale nel cinquecento. La scoperta ha fatto migliorare le conoscenze sulla prima fase della produzione di Rublëv.

In queste opere, come nei precedenti affreschi della cattedrale di Zvenigorod, affiorò, all’interno della tradizione bizantina, la tendenza ad un’espressione più fresca e naturalistica. Gli affreschi nella cattedrale della Dormizione di Vladimir, alcune tavole dell’iconostasi della stessa chiesa e la famosa icona della “Trinità angelica” per l’omonima chiesa moscovita segnarono l’apice nello stile dell’artista.   

Nella sua arte si combinano due tradizioni: l’alto ascetismo e l’armonia classica di derivazione bizantina. Le sue pitture trasmettono sempre una sensazione di pace, tanto che dopo alcuni anni la sua arte arrivò a essere percepita come l’ideale della pittura religiosa e dell’arte iconografica.

Il pittore morì nel tardo autunno del 1428 forse a causa dell’epidemia di peste che infuriava a Mosca.
La morte raggiunse Andrei Rublev nel monastero di Andronikov, dove in primavera aveva lavorato insieme a Daniil Chyorny alla quarta opera: gli affreschi della Cattedrale del Salvatore che purtroppo non sono sopravvissuti.
Presto il suo fedele compagno e amico seguì nella sorte Andrej. Secondo la leggenda, prima della sua morte, Andrej Rublev apparve a Daniil Chyorny, “con gioia per chiamarlo in paradiso“.

Il simbolismo spirituale e la padronanza del colore di Rublëv hanno ispirato tanti pittori, russi e no, coevi e posteriori, tra cui il grande Vassily Kandinsky, il cui interesse per l’iconografia è spesso presente nelle sue opere più tarde.

Ognissanti giorno 1. – Wassily Kandinsky

Bibliografia:

  • Irina Ivanova, Natalija Demina, Rublev, Fratelli Fabbri Editori, 1966,
  • Victor N. Lazarev, Rublev, Edizioni per il Club del libro, Milano, 1970,
  • AA.VV., Andrej Rublev e l’icona russa, Ed. Qiqajon, 2006,
  • Irina Yazykova, Hidden and Triumphant: The Underground Struggle to Save Russian Iconography , Paraclete Press, 2010,
  • Ilarion Alfeev, L’icona. Arte, bellezza, mistero, EDB 2018.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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