Nella seconda metà dell’Ottocento, viaggiare in battello sul Mississipi in direzione di New Orleans era una cosa così bella, romantica ed intrigante che avrebbe affascinato chiunque.
Il richiamo del grande fiume si rifletteva su tutto ciò che sorgeva lungo le sue infinite sponde, dandogli una tinta particolare che in ogni tempo aveva sedotto coloro che, attraverso le sue acque, muovevano montagne di merci e frotte di uomini, dominandone e sfruttandone il corso.
A questo particolare tipo di attrazione non sfuggiva Samuel Langhorne Clemens, un giovane dalla forte personalità che poco dopo la metà del secolo si trovava in viaggio su uno dei battelli fluviali che navigavano verso la Louisiana.
Clemens era nato in Florida, nel 1835, due settimane dopo che la Cometa di Halley aveva sfiorato di poco la terra, ma aveva vissuto per lo più nel Missouri, ad Hannibal. Il padre John, avvocato, era morto quando Samuel aveva solo 11 anni, così il ragazzo, pur così giovane, aveva cercato lavoro divenendo apprendista in una stamperia.
Stare a contatto con le parole attraverso la carta stampata, parve piacergli, tanto che per un po’ pensò di farne il suo mestiere, divenendo tipografo e scrivendo poi articoli umoristici per l’Hannibal Journal, un periodico fondato da suo fratello Orion.
A 18 anni però, l’inquieto Samuel abbandonò Hannibal e negli anni successivì si trovò a lavorare in varie città americane: New York, St, Louis, Filadelfia e Cincinnati.
Subito dopo tali peregrinazioni tra questi grandi centri eccolo, come sappiamo, imbarcato verso New Orleans sul Mississipi, la grande vena d’America. Trascorse molto del tempo di quella navigazione parlando con un tale Horace E. Bixby, un pilota di battello.
Le loro conversazioni stuzzicarono Samuel, al punto che il giovanotto sentì nascere e crescere la vocazione di diventare egli stesso battelliere.
C’è da osservare che quella professione a quei tempi rappresentava una occupazione invidiabile: i piloti dei battelli godevano di un prestigio superiore a quello degli stessi comandanti delle imbarcazioni e ricevevano uno stipendio che poteva arrivare fino ai 250 dollari al mese, molto per quell’epoca.
Samuel studiò per due anni e riuscì in effetti ad ottenere la licenza di pilota.
Cominciò quindi a condurre battelli sul fiume, convincendo anche suo fratello Henry a lavorare con lui, ma un incidente, l’esplosione di una caldaia, ne causò la morte, segnando un destino di cui Samuel si sentì sempre responsabile.
Esercitò il mestiere di pilota sul grande fiume per qualche anno, fino a quando non scoppiò la Guerra Civile Americana, la cui progressiva asprezza ridusse di molto il flusso della navigazione.
A quel punto il nostro protagonista rammentò i suoi brevi trascorsi di giornalista e decise quindi di tornare a scrivere, producendo subito alcune novelle.
L’esperienza fatta negli anni di lavoro sul Mississipi si riflesse su molte delle sue opere successive e da essa, in particolare da una tipica frase da battellieri, trasse anche lo pseudonimo col quale era destinato ad essere universalmente conosciuto: Mark Twain.
“By the mark twain”, “Segna due tese”, era la rilevazione di profondità del fiume, che veniva segnalata per verificarne la navigabilità in certi tratti.
Le due tese, circa 3,7 metri, costituivano dunque la profondità minima di sicurezza.
Nel 1861, pur essendo cresciuto in uno stato schiavista come il Missouri e avendo maturato posizioni antirazziste, si arruolò incongruamente con l’esercito confederato, disertando dopo pochissimo tempo.
Al termine della guerra, viaggiò in lungo e in largo per il paese, svolgendo vari lavori, stando a contatto con gente diversa e apprendendone gli usi.
Tutto questo gli tornò poi utile, influendo sulla sua riconosciuta capacità di riprodurre nei suoi scritti il linguaggio parlato.
Twain infatti aveva ripreso infatti a scrivere, incoraggiato dall’apprezzamento dell’umorista Artemius Ward.
Nel 1865 uscì il suo primo libro di racconti, “Il ranocchio saltatore”.
Questa scelta professionale non gli impedì di buttarsi anche in altre e diversissime esperienze di vita, in apparenza dissonanti con la sua attività intellettuale e creativa.
Trasferitosi in quegli anni in California, l’inquieto scrittore fece infatti anche il cercatore d’oro prima, e il minatore poi.
Abbracciata definitivamente la carriera di giornalista free lance e quella di narratore, si stabilì a San Francisco.
Scrivere articoli e racconti non placò tuttavia la sua spiccata curiosità, la sua inestinguibile voglia di avventura.
Intraprese per alcuni anni lunghi viaggi che lo condussero in ogni angolo d’America, ma che lo videro anche varcare l’Atlantico e raggiungere l’Europa e la Palestina. Era stato Twain stesso, del resto, a scriver.e:
“Tra vent’anni sarai più infastidito dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto. Perciò molla gli ormeggi, esci dal porto sicuro e lascia che il vento gonfi le tue vele. Esplora. Sogna. Scopri”.
In quei tardi anni Sessanta dell’Ottocento, fu strettissimo anche il suo rapporto col nostro paese.
Twain visitò infatti Pompei, Firenze, Roma, Napoli,Venezia, Milano, Como e altri luoghi ancora.
Nei suoi commenti relativi all’Italia, da un lato criticò lo stato d’abbandono e di decadenza in cui versava molto dell’immenso patrimonio storico e artistico italiano ed ebbe parole severe nei confronti della Chiesa cattolica e della religiosità popolare, accostata alla semplice superstizione, dall’altro si disse affascinato dall’operosità della borghesia italiana.
Più tardi, oltre vent’anni dopo, tornerà in Italia, stabilendosi a Settignano, poi all’inizio del Novecento vivrà a Firenze per un anno, studiando anche un po’ di italiano, ammirando i capolavori artistici, lamentando la sua incompetenza in materia e biasimando l’assenza dell’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole degli Stati Uniti.
Rientrato in patria, si stabilì ad Hartford nel Connecticut, confortato dal successo riscosso dai suoi primi lavori, e sposò Olivia Langdon.
Parallela alla sua carriera di scrittore portò avanti quella, molto intensa, di conferenziere che, iniziata in quei primi anni Settanta, lo condusse spesso a parlare nelle università americane e inglesi.
Furono tuttavia gli anni Ottanta del diciannovesimo secolo, a dare a Twain la massima fama, fama che coincise con la pubblicazione delle opere che restano la parte migliore della sua produzione letteraria.
Furono quelli infatti gli anni in cui videro la luce i suoi romanzi capolavoro: “Le avventure di Huckleberry Finn”; “Le avventure di Tom Sawyer”; “Il principe e il povero”; “Wilson lo svitato” e il curioso romanzo umoristico di fantascienza storica “Un americano alla corte di Re Artù”.
Più tardi Hemingway osservò che tutta la letteratura americana derivava dagli scritti di Twain, e da “Huck Finn” in particolare.
L’osservazione era più che pertinente perché in effetti lo scrittore con quei romanzi, raccontando le sue storie, riuscì a tradurre in alta narrativa la lingua parlata, il gergo colloquiale, costruendo su temi peculiari un modello narrativo esclusivamente americano.
Il suo abbondante ricorso ad un sottile senso dell’umorismo, rendeva poi ancora più espressiva la sua cifra stilistica.
E’ singolare il fatto che proprio la sua aderenza alla lingua parlata gli abbia procurato più di un tentativo di censura, motivato dal fatto che in Huck Finn, ad esempio, venisse usato il termine popolare nigger per indicare un uomo di colore.
In realtà Twain non faceva che riprodurre parole effettivamente in uso e assurdi paiono oggi alcuni giudizi di allora sulla sua opera, pareri che oltretutto mistificavano il lavoro di una figura di fervente antirazzista, quale lo scrittore si dimostrò sempre.
Dopo anni di continui successi, la sorte di Twain si fece improvvisamente più incerta nell’ultimo decennio del diciannovesimo secolo. Fu un destino particolarmente duro quello che si accanì soprattutto sul suo orizzonte affettivo: tre suoi figli su quattro morirono e nel 1904 perse anche Olivia, l’amatissima moglie.
Non andò molto meglio per quanto riguardava lo stato del suo patrimonio: la sua casa editrice infatti fallì e Twain spese un mucchio di dollari per acquistare una macchina tipografica la cui costruzione rimase incompleta e inutile.
Molte cause legali, da lui intentate contro altri scrittori per i numerosi plagi subiti, furono perse in gran parte per non aver pubblicato in tempo le opere copiate, ma anche a causa di altri adempimenti burocratici mancati.
In questi e in altri dissesti economici, la quasi totalità delle sue sostanze, che erano state notevoli per le alte vendite dei suoi romanzi e per l’eredità giuntagli dalla moglie, andarono in fumo.
Per pagare i debiti, che pure erano stati nel frattempo onorati da un suo amico, il ricco industriale Henry H. Rogers, Twain si sottopose a lunghi e faticosi giri di conferenze che toccarono moltissimi paesi diversi: Haway, Australia, Nuova Zelanda, Sri Lanka, India, Mauritius, Sudafrica ed Inghilterra, dove soggiornò per un po’ di tempo nel nord di Londra, a Dollis Hill House, ospite di Hugh Gilzean Reid.
Tornato negli Stati Uniti, proseguì la sua carriera di giornalista e scrittore, spesso chiamato a tenere conferenze o discorsi dal contenuto umoristico. Erano spettacoli veri e propri, che anticipavano i contenuti di quel genere di intrattenimento che venne chiamato poi “stand–up comedy”.
L’età incalzante non frenò mai il suo temperamento avventuroso, né limitò una curiosità spiccata, rivolta in ogni direzione. Non fu casuale infatti la sua frequentazione con un personaggio geniale come l’inventore Nikola Tesla.
Gli ultimi anni della sua vita furono caratterizzati dalla grande amicizia col facoltoso industriale Henry H. Rogers, potente azionista della Standard Oil, qui già citato per aver risollevato le pericolanti sorti finanziarie di Twain.
I due furono assidui compagni di poker e di bevute: lo scrittore divenne ospite fisso nelle dimore del suo ricco amico, e la frequentazione con la sua famiglia lo confortò in parte della quasi totale dissoluzione della propria.
Nei suoi ultimi anni Twain, che scorrazzò molto con Rogers, prese la civetteria di vestirsi sempre di bianco e non avendo nipotini, istituì un club per ragazze dai 10 ai 16 anni, chiamate affettuosamente “angelfish”, luogo nel quale insegnava personalmente o organizzava giochi.
La morte di Rogers, avvenuta improvvisamente nel 1909, fu per lo scrittore, già malato, un colpo durissimo.
Quell’anno Twain scriveva:
“Sono arrivato con la Cometa di Halley nel 1835. Tornerà l’anno prossimo e io me ne andrò con lei”.
Fu una lucida premonizione perché in effetti lo scrittore sopravvisse al suo amico Rogers meno di un anno: il 21 Aprile del 1910, Mark Twain morì a 74 anni, per un attacco cardiaco, il giorno successivo al passaggio della cometa di Halley.
Oltre alla pubblicazione degli articoli che scrisse fino alla fine, ultime tra le sue opere, furono: “Il diario di Eva”; “Lettere dalla terra” e “Lo straniero misterioso”, libri che vennero in gran parte pubblicati postumi.
Straordinario e versatile narratore, grande sia come romanziere che come autore di racconti e acuto polemista, Twain fu uno dei maggiori artefici della costruzione della letteratura americana, restituendo nelle sue opere uno straordinario gusto per il parlato, gusto che riusciva a vivificare i modelli orali originali dai quali traeva ispirazione.
Umorista iperbolico, esplosivo e raffinato ad un tempo, non si sottrasse ad una sottile vena moraleggiante, che espresse anche nelle sue prese di posizione più politiche, quelle cioè antimperialiste e antireligiose.
Piegata ad un uso più giocoso, quella vena umoristico moraleggiante la si ritrova anche nella sua strepitosa veste di creatore di brillanti aforismi:
“Se tuo nonno non ha avuto figli e tuo padre neppure, è abbastanza improbabile che tu possa averne”.
Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.