ALBORI DEL CINEMA
Nella sala giochi quella sera, solo tre persone.
Due giovani idioti si trastullavano, senza neanche divertirsi, col Mammouth Elettronico; un vecchio ridicolo e trasandato stava al centro dell’ambiente rimuginando qualcosa. Dopo alcuni minuti di immobilità assoluta, egli trasse dalla tasca del cappotto liso una foto ingiallita. Tenendola in mano si accostò ai due tizi che avevano appena concluso una partita. Senza curarsi delle loro reazioni, mostrò la foto ed attaccò a parlare.
“Sono quel che fu il più celebre attore del cinema muto, sordo e cieco. Legioni di spettatori non mi osannarono giacché era impossibile scorgermi, data l’estrema specificità del mezzo col quale raccontavo. Donne di tutti i paesi non mi hanno idolatrato, famosissimi registi non si contesero le mie prestazioni, importanti produttori non mi imposero nei loro cast…”.
I due giovani ribaldi si guardarono in faccia con un ghigno cattivo, lo stupore si era presto volto in una ottusa malizia. Il vecchio non parve notarlo e riprese: “Erano tempi memorabili! Con tutti quei soldi che non guadagnavo potevo permettermi di non permettermi lussi inauditi! Questa vecchia foto del mio amico Zollemborg, attore di teatro, la porto sempre con me e la considero la mia stessa immagine di quell’epoca: così infatti potrebbe essere per lo sterminato pubblico dei film muti, ciechi e sordi”.
I due stupidi oramai si annoiavano. Percorsero la sala per l’intera sua lunghezza e, lugubremente tinteggiati di rosso dal neon, si fermarono presso un altro cassone computerizzato. Ma il vecchio li seguì declamando: “chiedetelo ai vostri nonni se rammentano di non aver mai veduto assieme qualcuno dei miei lavori. Ricorderanno, riandranno con la memoria ai tempi dolci della giovinezza quando ancora fidanzati si recavano al cinema tenendosi per mano e, stretti stretti, si godevano il film di qualcun altro… Poi, lo scorrere degli anni. I film muti, ciechi e sordi passarono di moda, anche se, ovviamente, nessuno se ne accorse. In tal modo io, seguendone la sorte, dalla mia fulgida non-fama mi ridussi all’attuale anonimato. Eh sì, così gira la vita…”.
Impennando fiero la voce, forte e deciso, disse ancora:
“Io si che non sono stato Qualcuno!”.
Quando subito dopo uscì, dallo squallido locale vennero fuori le note fredde dei giochetti elettronici. Mentre un’altra partita iniziava, cadde la neve.
Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.