Angelo Roncalli – papa Giovanni XXIII
Seicento anni fa, il 27 dicembre 1419, moriva a Firenze Baldassarre Cossa, che era stato antipapa col nome di Giovanni XXIII. La sua salma fu collocata nel Battistero di San Giovanni in uno splendido monumento funebre opera di Donatello e Michelozzo. Sono ancora molti i visitatori che sobbalzano dinanzi al sarcofago di Giovanni XXIII nel battistero di Firenze: e bisogna spiegar loro che quello è Baldassarre Cossa; che era un prelato del Quattrocento; che è lì non perché fosse fiorentino, ma amico di Giovanni de’ Medici, il padre di Cosimo il Vecchio; e infine ch’è stato legittimamente papa, per quanto poi escluso, dopo la sua abdicazione, dalla sequenza ordinaria dei pontefici romani, e che infine quel bislacco titolo, ‘antipapa’, non ha di per sé nulla di blasfemo, che molti santi uomini lo portarono, e significa soltanto papa la legittimità del quale per un qualche motivo non aveva retto ai criteri di legittimità formale sulla base dei quali si riconosce legittimo l’uso dell’autorità pontificia indipendentemente da come venne esercitato.
È di fatto noto che vi furono papi formalmente legittimi e nonostante ciò furono riprovevoli nei fatti e altri, legittimi e ineccepibili.
Lo Scisma d’Occidente fu caratterizzato dalla presenza di tre papi, espressioni di tre obbedienze: avignonese, romana e pisana. Una divisione profonda, non solo all’interno della Chiesa, ma anche tra i regni d’Europa; infatti i sovrani avevano pesantemente interferito, per motivi politici, sull’istituzione ecclesiale. E del resto, purtroppo, i predetti motivi erano assai ben presenti all’interno della compagine ecclesiale. Le cause della frattura, infatti, non furono di natura dottrinale, bensì vanno ricercate nel desiderio di un prestigio anche di ordine economico.
Nel 1410 Baldassare Cossa fu eletto papa, col nome appunto di Giovanni XXIII, dall’enclave pisana, e si trovò a contendere il ruolo con l’aragonese Benedetto XIII (Pedro de Luna) e il romano Gregorio XII (Angelo Correr).
In questo assurdo contesto, diversi ecclesiastici, teologi e canonisti, pensarono che per giungere ad una soluzione occorreva indire un Concilio Ecumenico.
Per vari motivi Giovanni XXIII confermò pienamente la decisione di Sigismondo di Lussemburgo, Rex Romanorum, di indire il Concilio Ecumenico a Costanza che si aprì nel 1414. Giovanni XXIII prese parte ai lavori del Concilio ma con scarso senso di ecumenicità, nel Concilio si decise di votare per “nationes” anziché per persone!
Baldassarre Cossa era figlio dell’Ammiraglio Giovanni Cossa, governatore di Ischia e Procida, imparentato con gli Angiò. Nato nell’isola verso il 1370, studiò teologia a Roma e Diritto a Bologna e, ordinato sacerdote, si avviò ad una brillante carriera grazie agli influenti appoggi paterni: fra il 1402 ed il 1403, Bonifacio IX, parente della madre, lo investì della dignità di arcidiacono; della reggenza dell’Università bolognese; della Porpora e del titolo di Legato pontificio. Nel perdurare del suo soggiorno romagnolo, egli amministrò il suo potere con spregiudicata disinvoltura: sospesi, infatti, i lavori di costruzione della basilica di san Petronio, ne vendette a privati i materiali di costruzione.
A quel tempo, la Chiesa era lacerata dallo Scisma d’Occidente le cui radici affondavano in interessi politici: benché il Papato fosse tornato a Roma, l’Episcopato avignonese seguitava ad eleggere il suo Primate e solo il 6 novembre del 1406, a fronte della morte di Innocenzo XII, il Conclave giurò che chiunque fosse stato designato, avrebbe dovuto risolvere la questione deponendo anche la tiara se necessario. Ma l’impegno fu disatteso.
Il 30 novembre, come Gregorio XII, fu eletto l’ottuagenario veneziano Angelo Correr, già Patriarca di Costantinopoli: egli sembrò affrontare seriamente il problema manifestando alla Corte francese, alle Università ed ai Principi ogni disponibilità alla riconciliazione con il rivale Benedetto XIII cui propose la reciproca abdicazione. Scambi di ambascerie e negoziati si risolsero nell’ipotesi di un incontro a Savona, ove i due antagonisti sarebbero stati ospitati da Carlo VI di Francia. Ma proprio Gregorio alla fine, nella convinzione che presentarsi a quel convegno equivalesse ad un implicito riconoscimento della superiorità del rivale, lo disertò suscitando vivo risentimento popolare e procurandosi la definizione di spergiuro.
Parallelamente, il 15 giugno del 1408, Benedetto abbandonava Avignone e riparava in Aragona ove fissò un Concilio da tenersi a Pérpignan nel novembre successivo.
Proponendosi mediatore di quell’aggrovigliato contesto, d’intesa col re francese, il Cossa propose di riunire gli Episcopati delle rispettive fazioni a Pisa, in un sinodo fissato al marzo del 1409: se i due Papi non si fossero dimessi, sarebbero stati deposti e si sarebbe proceduto alla scelta del nuovo.
In quel periodo egli risiedeva a Firenze ove, legatosi a Giovanni di Bicci de’ Medici, aveva introdotto la prestigiosa famiglia nelle attività della Camera Apostolica e consentito al Banco mediceo di riscuotere le decime e così incassare una percentuale tale da aumentarne le già considerevoli fortune finanziarie. Non a caso, oltre che da Luigi II d’Angiò, l’assise conciliare pisana fu finanziata da Firenze.
Sette Cardinali della Chiesa di Avignone e sette della Chiesa di Roma, indifferenti al Concilio di Pérpignan presieduto da Benedetto XIII, accusato di nepotismo Gregorio che si rifugiò sotto la protezione dei riminesi Malatesta, il 25 marzo del 1409 aprirono i lavori del Sinodo pisano e cinque giorni più tardi, i due Papi furono dichiarati contumaci.
Nella IX sessione l’Assemblea si raccolse in un unico Collegio e il 5 di giugno il Patriarca di Alessandria dette lettura della sentenza di condanna:
“…Pietro de Luna e Angelo Correr, eretici e scismatici, sono spogliati di tutte le loro dignità, esclusi dalla comunione della Chiesa e i fedeli sono prosciolti dall’obbedienza verso i medesimi… tutti gli atti erogati dai due deposti, sono da ritenersi nulli…”
Nel giugno dello stesso anno, la tiara fu offerta al Cardinale settantenne Pietro Filargi di Candia, già Vescovo di Milano, consacrato il 7 luglio come di Alessandro V.
Lo scisma era tutt’altro che concluso: la Cristianità ora disponeva di tre Papi in lotta fra loro, ciascuno avvantaggiato da aree di influenza diverse: Benedetto contava sulla solidarietà franco/spagnola; Gregorio sull’appoggio italo/tedesco; il neoeletto sul sostegno di alcuni Stati cristiani. Presto intervenne un colpo di scena: il 10 maggio del 1410 Alessandro V morì e Cossa gli successe col nome di Giovanni XXIII. Di fatto, forte del sostegno di Luigi II d’Angiò, nella Pasqua del 1411, egli entrò trionfalmente in Roma scacciandone le truppe di Ladislao Durazzo col quale il 14 giugno, concluse una tregua versandogli centomila fiorini e nominandolo Gonfaloniere della Chiesa in cambio del riconoscimento della sua autorità di Papa.
Ma, il tentativo di accreditarsi attraverso l’invio di due Legati presso tutte le varie Monarchie europee, non gli accattivò la simpatia dell’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo che esigeva la soluzione dell’irrisolto nodo scismatico. Dopo varie esitazioni e dopo l’ultima fuga a Bologna, Cossa fissò un nuovo concilio nella città di Costanza, sottoposta a giurisdizione imperiale: il 30 ottobre del 1413 informò il Corpo episcopale che avrebbe aperto ufficialmente i lavori il 1° novembre del 1414.
Centomila unità, fra Vescovi, Abati, Ambasciatori, Principi e Teologi parteciparono all’assise: l’Assemblea fu insediata il 15 novembre del 1414 e già nel giorno di Ognissanti, sontuosamente abbigliato, Cossa celebrò la Messa: era persuaso che il voto per appello riconfermasse il suo mandato pastorale e che i convenuti, nel rispetto delle deliberazioni pisane, ratificassero la deposizione dei due antagonisti.
Alla vigilia di Natale, giunse anche l’Imperatore col suo folto seguito: gli stava a cuore non solo far finire il caos ecclesiale, ma anche procedere a riforme contro le diffuse eresie. L’atmosfera si surriscaldò nella seduta del 7 febbraio del 1415 quando, a sorpresa e con parere unanime, emerse una larga maggioranza che richiedeva la tripla rinuncia dei papi, Baldassare non era contrario, ma voleva che ciò accadesse contemporaneamente, poiché questo non avveniva, Cossa, temendo per la propria vita fuggì da Costanza, ma fu arrestato, processato e deposto.
Il processo imbastito al concilio di Costanza contro Giovanni XXIII fu dunque la più violenta campagna di fake news messa in atto contro un pontefice, ma alla fine, per l’intermediazione di Giovanni di Bicci de’ Medici fu poi liberato. Ma l’attenzione generale fu attratta dalla messa in circolazione di un libello anonimo riferito alla immorale condotta del Vicario di Roma: a margine di un elenco di ben settantadue capi d’accusa, gli si imputava anche l’avvelenamento del predecessore e lo spregio gli uffici divini. Forse un’altra fake news!
Egli però seguitava a sentirsi in una posizione di forza e, ignorando che Sigismondo mirasse a liquidarlo, accettò di giurare la rinuncia al mandato pastorale previo analogo impegno degli altri due rivali.
Solo l’insistenza con la quale fu pretesa la sua abdicazione lo allarmò ed indusse alla fuga, nella notte fra il 20 e 21 marzo del 1415. Postosi sotto la protezione del Duca Federico d’Austria, prima nel castello di Sciaffusa; poi a Laufenburg ed infine a Friburgo e a Breïsac, fu arrestato e deportato a Radolfzell; il 29 maggio del 1415 fu processato; deposto; consegnato al Conte palatino del Reno Ludovico di Baviera e rinchiuso prima nel maniero di Hauesen e, dopo ad Heidelberg.
In forza del carattere di ecumenicità conciliare attestato dal Cancelliere della Università di Parigi Giovanni Berson, finalmente si procedette alla liquidazione di Gregorio XII che il 14 luglio, nella XIV sessione, avendo egli espresso rinuncia al mandato attraverso Carlo Malatesta, fu però confermato nella dignità cardinalizia e designato Legato delle Marche.
Resistette ad oltranza, invece, Benedetto XIII che, ritenendosi unico legittimo Vicario di Cristo, ripropose la propria candidatura finché, abbandonato anche dai Re di Aragona, Castiglia, Navarra e Scozia, si ritirò a Peniscola ove apprese che il 26 luglio del 1417 la XXXVII sessione conciliare lo aveva espulso dai ranghi ecclesiali.
Finalmente il Conclave l’11 novembre del 1417 elesse il romano Oddone Colonna col nome di Martino V.
Martino V avviò ben presto negoziati per far liberare Cossa, ma fu l’intervento di Giovanni di Bicci de’ Medici a determinarne il rilascio nell’aprile del 1419, previo il pagamento dell’ingente cifra di trentamila fiorini.
Libero, egli tornò in Italia il 23 giugno del 1419 e, riconosciuta la legittimità del nuovo Papa, fu reintegrato nel Sacro Collegio come Vescovo di Tuscolo. Ma la sua esistenza si avviava ormai alla conclusione, forse per le sofferenze patite in prigionia.
Osservava conclusivamente Mario Prignano: “Convocando il concilio e recandovisi nonostante tutto, Cossa ha dimostrato, pur in modo contraddittorio e incerto, un qualche senso di responsabilità che però non ha retto alla prova dei fatti, perché nel giro di qualche settimana si è tramutato in terrore panico per la propria incolumità e lo ha spinto ad abbandonare Costanza…”.
Così rinnovata la vicenda di papa Giovanni si presenta come quella di un protagonista del suo tempo, il complesso primo Quattrocento: e l’autore si guarda costantemente dall’addolcire le tinte d’un’età dura e spietata. Certo il Cossa era stato uomo d’arme e governatore militare prima di divenire uomo di Chiesa; e certo non era disinteressato al potere né incline a lasciarselo strappare. Illuminanti poi per tutto quel che riguarda la storia dell’umanesimo da una parte, della corte pontificia dall’altra, del rapporto tra religione, potere, finanza e politica da un’altra ancora, le ampie e articolate notizie sui rapporti tra papa Cossa e il banchiere Giovanni de’ Medici: colui che convinse papa Cossa, per il bene della Chiesa, a farsi da parte (restò comunque cardinale) in modo da sciogliere il nodo creato dallo scisma e poter accedere al concilio di Costanza che avrebbe rinnovato la Chiesa.
In quelle intricate vicende di prestiti, di svalutazione, di artifici ma anche di rapporti umani risiede la chiave per intendere anche le vicende dei secoli successivi: la fortuna dei Medici come banchieri pontifici, il rapporto triangolare fra Roma, Firenze e Venezia, perfino i presupposti di una delle più cupe tragedie del Quattrocento, la congiura dei Pazzi.
Bibliografia:
- L. Silvani: Storia degli antipapi, De Vecchi 1971
- C. Rendina: I Papi, newton-compton editore, 2015
- Mario Prignano, Giovanni XXIII, l’antipapa che salvò la Chiesa, Morcelliana 2019
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.