POSTINTELLIGENTE – Racconti di Piermario De Dominicis #12 “Parabola”

Parabola

Giorgio nacque giovanissimo e per uno di quei guazzabugli misteriosi che gli scienziati si affannano a spiegare con ricerche e statistiche nacque imbecille.
Fu imbecille precoce: a tre anni sapeva nuotare meglio di un socialdemocratico; a cinque anni pronunciava la parola “deregulation” meglio di Ronchey, a sette intratteneva rapporti prematrimoniali con un computer sensibilissimo.
La gioia che provocava fra genitori e parenti, una cerchia agiata di persone, faceva sì che non avesse particolari problemi di liquidità e così Giorgio a tredici anni, avendo avuto il buon senso di investire i suoi risparmi in titoli che viaggiavano alla velocità di uno Shuttle, si trovava in possesso di una piccola ma sicura fortuna.
E, al contrario di ciò che ostinati sentimentali potrebbero presumere, non era affatto arido di carattere. Anzi, la sua imbecillità forniva ispirazione a quell’estro che tutti i suoi coetanei, ricchi o poveri che siano, sembrano possedere.
Non perdeva un solo telefilm di importazione, sghignazzava rumorosamente alle battute dei comici nei programmi di varietà e rendeva omaggio alle pellicole di avventura con i pensieri e con le opere.
Godeva di un certo seguito quale inventore del verbo “rambizzare” del cui significato forniva occasionalmente alcune esplicitazioni operative picchiando vecchi ubriaconi, molestando mature prostitute e torturando cabine telefoniche.
In società, tra gli amici dei genitori, la sua stella brillava sicura: giacche impeccabili, ossequiosità, gran parlare di Borsa e di marketing ed aperitivi ad oceani.
Banchieri, imprenditori, professionisti assortiti e vecchi maneggioni della politica: tutti proni dinanzi all’emergente figura del giovane oracolo della conservazione tecnologica.
A vent’anni di età cessò ufficialmente la rambizzazione operativa, cose giovanili delle quali mai rinnegò il valore morale.
Da quel momento in poi costosi corsi all’estero lo resero manager di corpo e d’anima.
Venne conteso dalle aziende degli amici di suo padre.
Già, suo padre…
Il dialogo con lui si era frattempo interrotto.
L’uomo, col procedere dell’età, aveva subìto imprevedibili e preoccupanti mutamenti che allarmavano Giorgio a proposito delle sue condizioni di salute mentale e che nello stesso tempo non consentivano al figlio dannosi atteggiamenti di debolezza o comprensione.
Suo padre, un industriale, che parlava di campagna, che farfugliava di quiete e di silenzio e che al minimo pretesto raccontava senza pudore una sua storia d’amore giovanile, sempre la stessa!
A trent’anni Giorgio vantava più presidenze che peli superflui, sponsorizzava quiz televisivi e dichiarava di essere un self made man.
Prese in segreto la tessera di un partito di governo e riempì le sue auto di telefoni, televisori, saune, bar e segretarie con i capelli rossi. Nel primo pomeriggio, durante l’intervallo di lavoro, praticava il tennis con feroce intensità.
L’unico problema era costituito dai compagni di gioco, generalmente imprenditori in età avanzata cui i lifting donavano un ingannevole aspetto giovanile.
Giorgio si rassegnò a non avere un avversario fisso dopo che un impressionante numero di infarti sul campo lo avevano costretto, almeno in questo, alla volubilità.
So bene che molti a questo punto potrebbero sbottare: “Perché ci hai presentato Giorgio come un imbecille? Fa la vita che vorremmo fare tutti, vive nel lusso, incarna un modello di perfezione che ci viene additato da più parti. Su tipi come lui si fanno inchieste e tavole rotonde, perché imbecille allora?”
Aspettate, ritirate temporaneamente le obiezioni e sentite il resto.
Giorgio prese moglie.
Proprio così, alla lettera: “prese moglie”.
Prese per la precisione una bionda con le meches, di famiglia brizzolata e benestante che, appena sposata, subito si organizzò per decorare il proprio sconfinato tempo libero.
Feste, carnevali di Stato, grandi firme e carità con recensioni di stampa.
Nulla di particolare insomma.
Produssero insieme due figli, uno per sesso, e li infilarono nelle celle con uso di computer dei Gesuiti.
Sbrigata l’incombenza genetica, Giorgio e sua moglie tornarono alle rispettive attività.
In casa della signora, poeti, artisti ed intelletti fini si esibivano dentro enormi acquari illuminati e la loro stravaganza divertiva gli amici convenuti.
Di tanto in tanto si aveva la notizia del suicidio di qualcuno di essi ed i superstiti dissertavano deliziosamente o motteggiavano sulla Vita e sulla Morte, dedicavano versi all’estinto ed alle sue orribili abitudini igieniche.
Giorgio di solito rincasava tardi, quando la festa volgeva al termine e quando l’ebrezza di potenti invitati favoriva il compimento di qualche buon affare.
Trascorsero gli anni.
Giorgio vedeva di rado i figli e quasi mai la moglie che del resto era diventata giovane da vecchia provocando silenziosi disastri.
Lui invece non si sentiva cambiato, non aveva mai smesso di chiedersi se fosse arrivato o no.
Certo, i politici lo consultavano ed egli era in grado di fare favori, ma non era tuttavia il caso di adagiarsi.
Conosceva esattamente l’entità del proprio patrimonio fino all’ultima lira, ma scioccamente gli capitava di domandarsi se sua figlia prendesse la pillola.
Suggestioni presto rimosse dall’ex rambizzatore che si fece sempre più attivo ed astuto.
L’infarto lo uccise in diretta mentre reclamizzava di persona in uno spot pubblicitario, il prodotto antistress fabbricato dalla più importante azienda chimica della quale era presidente.
In seguito a questa fine miserabile, indegna della sua imponenza sociale, si generò un diffuso scetticismo sulle qualità del prodotto e le vendite crollarono portandosi appresso le quotazioni delle aziende che erano state l’orgoglio di Giorgio.
Ci fu un istante di apprensione e la vedova decise di risposarsi con un barone della medicina, ricco a miliardi e maniaco di antiche stampe cinesi.
I poeti, i letterati, gli stravaganti e gli intellettuali tutti, che avevano allietato la sua prima vita coniugale, la seguirono sciamando ed anch’essi convolarono a giuste seconde nozze coll’eminente clinico.

Piermario De Dominicis

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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