Giovanni Pastrone, l’uomo che inventò il cinema italiano

Giovanni Pastrone è un nome noto a Torino, così come il titolo del suo “Cabiria”: ma quanti sanno davvero chi fosse o hanno visto quel film?
Considerato il padre del cinema italiano e uno dei registi più importanti del cinema a livello mondiale, Pastrone nacque ad Asti ma a Torino, dove morì nel 1959, diventò regista e rese immortale il suo nome.
Un nome che nel 2020 ha ritrovato una modernità inattesa in tv e in sala; infatti “Pastrone e l’alba del cinema con Cabiria” è il titolo dello speciale condotto da Paolo Mieli su Rai Storia a “Passato e presente”. Un approfondimento su un pioniere del cinema ma anche un musicista, un produttore, un inventore e, infine, medico per passione.

Giovanni Pastrone è ricordato come l’artefice del primo grande kolossal che ottenne una fama mondiale. Stiamo parlando di “Cabiria”, il film del 1914 che fece epoca sia per il successo che per le tante innovazioni sull’uso della macchina da presa.

Manfesto originale francese

Nei primi decenni del Novecento Pastrone occupò un posto di primo piano, sia nei panni di regista sia di produttore. Infatti, già nel 1908 fondò la casa di produzione torinese Itala Film, società tra le più affermate e attive del periodo, che arriverà a realizzare, tra il 1908 e il 1923, più di ottocento film.

Il primo successo di Pastrone come regista fu La presa di Troia (1910), film in costume che narrava i momenti conclusivi della guerra tra greci e troiani.

Nella Torino di inizio ’900, negli stessi anni in cui sorgono colossi dell’industria nazionale come la Fiat, con “Cabiria” il regista firmava il capolavoro diventato immortale alla cui sceneggiatura partecipò anche Gabriele d’Annunzio.

Il Cinema e Torino: nel lontano 1896, in una sala di via Po, erano state proiettate le prime pellicole dei Fratelli Lumière. Un crescendo per la settima arte che, dalla fine del ‘800 agli anni Venti del ‘900, farà di Torino la sede delle prime case di produzione italiane.
C’è stato dunque un tempo, tra la fine del XIX° e l’inizio del XX° secolo, in cui l’Italia fu all’avanguardia in campo cinematografico a livello internazionale e ciò motiva anche la presenza del museo del cinematografo a Torino.

Giovanni Pastrone era entusiasta di ciò e fu un uomo di cinema prolificissimo: scrisse soggetti, disegnò costumi e scenografie, lanciò attori, sceglieva le colonne sonore e tentò persino il cinema a pupazzi animati.
Soprattutto si dedicò a ricerche tecniche, perfezionando gli apparecchi di ripresa e di montaggio allora esistenti e creando nuovi brevetti, alcuni dei quali ancor oggi in uso. Grazie a lui il cinema italiano d’allora attraversò un periodo di grande splendore, che culminò con il film Cabiria del 1914, realizzando la più celebre produzione del nostro cinema muto italiano. Pastrone iniziò a plasmare il soggetto dopo aver letto “Cartagine in fiamme” di Emilio Salgari. La trama del film ruota attorno alle avventure della fanciulla Cabiria interpretata da Lydia Quaranta e del gigante buono Maciste, interpretato da Bartolomeo Pagano, un ex scaricatore del porto di Genova. Ambientato nelle antiche Sicilia, Cartagine e Cirta, ai tempi della Seconda guerra punica (218-202 a.C.), seguiva le vicende della protagonista, Cabiria, una donna rapita.
Girato a Torino negli stabilimenti sulla Dora Riparia, fu il più lungo film italiano prodotto dei suoi tempi (3.364 metri di lunghezza circa per tre ore e dieci minuti di spettacolo) e anche, di gran lunga, il più costoso: un milione di lire-oro, a fronte del finanziamento medio per un film dell’epoca di cinquantamila lire. Alcune scene vennero girate anche in Tunisia, in Sicilia, sulle Alpi (nelle Valli di Lanzo, dove si diceva che fosse passato Annibale) e ai laghi di Avigliana.

Lydia Quaranta (Cabiria) e
Bartolomeo Pagano (Maciste)

Pastrone è stato uno dei padri del cinema italiano, ma la sua mente geniale e versatile ha permesso di renderlo un personaggio dalle mille sfaccettature e particolarità.
Nacque ad Asti il 13 settembre 1882, primogenito di Gustavo Ernesto e Luigia Mensio, Il padre era stato titolare di un negozio di tessuti nella centralissima via Aliberti e desiderava per il figlio un futuro nel commercio, sebbene questi fin da piccolo avesse manifestato una grande passione per la musica.
Il violino è il suo strumento preferito, tanto da portarlo a frequentare il Conservatorio di Torino (dopo il diploma in ragioneria nel 1899) e di conseguenza a lasciare la sua città natale, per trasferirsi nella capitale sabauda.

Pur conservando un forte legame con la città natale, Pastrone si trasferì a Torino dove, il 17 settembre 1903, sposò Anna Maria Prat, sua fedele compagna di una vita.  Intraprese un’iniziale carriera nella contabilità presso la ditta Carlo Rossi & C. che si occupava di comunicazioni senza fili. Gli affari però non furono soddisfacenti, così dallo scioglimento della Carlo Rossi & C, venne costituita nel 1908 una nuova azienda, la Itala Film, dove Pastrone assunse il ruolo di direttore artistico.
In anni in cui il principale problema delle proiezioni era un fastidioso sfarfallio dovuto alle perforazioni irregolari della pellicola, Pastrone inventò il “fixité”, un procedimento per stabilizzare le immagini. Il logo dell’Itala divenne l’immagine di una donna che reggeva un cartiglio con la scritta FIXITÉ. Pastrone se ne attribuì l’invenzione e la ricaduta pubblicitaria sull’immagine della casa torinese, come tecnologicamente all’avanguardia, fu assai positiva.

Sul versante del prodotto commerciale, Pastrone arricchì il catalogo con la realizzazione di pellicole popolari come “Tigris” del 1913, un eccentrico poliziesco anticipatore delle serie francesi.

Grazie alla sua inventiva, vennero prodotti tantissimi film e i primi documentari, tra i quali soltanto alcuni portarono la firma di Pastrone. Ma l’ascesa di Pastrone proseguì soprattutto grazie all’intuizione delle potenzialità del film storico, che culminò con la realizzazione di Cabiria, la produzione più spettacolare mai concepita sino ad allora.   

Giovanni Pastrone nel 1925

Cabiria venne presentato ufficialmente il 18 aprile 1914 al Teatro Vittorio Emanuele II, la pellicola però uscì non col nome di Pastrone ma sotto il nome del regista Piero Fosco, pseudonimo assegnatogli da Gabriele d’Annunzio. L’orchestra in sala era composta da 80 musicisti e 70 coristi del Teatro Regio e la musica era di Ildebrando Pizzetti. Il film fu proiettato in simultanea in una grande sala milanese piena di pubblico.
La sceneggiatura fu attribuita a Gabriele D’Annunzio che, in realtà, si limitò a inventare i nomi dei personaggi e a scrivere le didascalie in francese, inglese e tedesco (per 50.000 lire in oro!).

E’ stato il più famoso film storico italiano del muto, ed ebbe grande influenza anche su Hollywood (De Mille, Griffith) per le innovazioni tecniche e stilistiche come l’uso sistematico della carrellata. Il personaggio di Maciste divenne mitico, ispirando una lunga serie di film della serie peplum negli anni cinquanta e sessanta con questo personaggio.
Il film piacque a tutta Italia, ma anche all’estero: si pensi che Cabiria rimase nella programmazione delle sale cinematografiche per sei mesi a Parigi, ma addirittura per un anno a New York, proprio a Broadway.

Con lo pseudonimo, coniato da D’Annunzio, di Piero Fosco, Pastrone diresse anche alcuni drammi passionali d’ispirazione letteraria, tra i quali si segnalano ‘Il fuoco’ (1916), dello stesso D’Annunzio, e ‘Tigre reale’ (1916), tratto da Verga.

Nel 1919, dopo aver realizzato “Hedda Gabler”, Pastrone decise di ritirarsi. Realizzò l’ultimo film nel 1922 ‘Povere bimbe’ e lasciò l’attività cinematografica, a cui tornerà soltanto nel 1931 per curare l’edizione sonora di Cabiria.

Da allora, decise di occuparsi esclusivamente di medicina, volendo a tutti i costi trovare la cura per le malattie che affliggevano gli esseri umani, prima fra tutti il cancro. Assunse perciò due medici che lo aiutarono ad effettuare i suoi esperimenti di medicina nel suo studio di Corso Moncalieri.
Pastrone concepì la teoria che tutte le malattie fossero collegate ad un ceppo comune, che divenne quindi il vero nemico da debellare. Mise a punto un principio attivo e realizzò una macchina, brevettata nel 1930, in grado di favorirne la penetrazione attraverso un procedimento induttivo elettrico.
Questo ultimo passaggio della vita di Pastrone è ciò che più ha incuriosito numerosi storici e intellettuali, come il regista Lorenzo De Nicola, che nel 2019 ha presentato il suo documentario “Pastrone!”, la cui voce narrante è Fabrizio Bentivoglio.

Nel 1936 dichiarò debellato un caso di tubercolosi polmonare e nel 1942 un caso di cancro. Alcuni medici delle Molinette di Torino gli inviarono quei malati che la medicina ufficiale non riusciva a curare e, sebbene la cura non fosse infallibile, con il passare degli anni i successi aumentarono, al punto che secondo le testimonianze le ‘fucilate tempestive’ praticate da Pastrone nel suo studio di corso Moncalieri guarirono le patologie più diverse, dall’appendicite al tumore, passando per le infezioni o i traumi che i giocatori della Juventus si procuravano durante allenamenti e partite.
Forte di questi risultati, nel 1946 volle rendere pubblica la sua invenzione e si rivolse allo stesso ospedale Le Molinette da cui gli erano mandati tanti pazienti, ma questa volta suscitò diffidenza. Amareggiato, si rivolse al console americano, che fece da tramite con diverse case di produzione di apparecchiature scientifiche, senza però ottenere risultati concreti.

Giovanni Pastrone

Nel 1955 propose invano di cedere gratuitamente il suo brevetto a un’industria che finanziasse il progetto. In preda allo sconforto, decise allora di ritirarsi e chiese al figlio Luigi di distruggere la macchina dopo la sua morte.

Visse gli ultimi anni con una salute cagionevole, con il conforto degli affetti familiari.
Si aggravò in seguito a una caduta; morì a Torino il 27 giugno 1959.

Targa commemorativa presso la casa natale in via Aliberti ad Asti

BIBLIOGRAFIA:

  • Paolo Cherchi Usai, Giovanni Pastrone, La nuova Italia, 1985;
  • Silvio Alovisio, Cabiria: lo spettacolo della storia, Mimesis, 2014;
  • Silvio Alovisio, Giovanni Pastrone. I sogni della ragione, Fondazione Ente dello Spettacolo 2015.
  • treccani.it/enciclopedia

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
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Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
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Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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