Nei miei giovani anni di mattina avevo allegrezza,
Di sera lagrime, ora che ho più età,
Comincio dubbioso il mio giorno,
Ma sacra e serena è per me la sua fine.
Friedrich Hölderlin
Un professore di Scienze americano di sessant’anni, da quando si è accorto che la scienza, impiegata ogni giorno in funzione della tecnologia più alienante, coopera alla distruzione totale, vive in solitudine circondato da libri e opere d’arte nella sua dimora, situata in un antico edificio romano ereditato dalla madre italiana. Un giorno, la tranquillità della sua routine viene disturbata dall’insistenza della marchesa Bianca Brumonti, separata dal marito, che alla fine riesce a persuadere il professore, un po’ con l’inganno e un po’ con la prepotenza, a affittare l’appartamento del piano di sopra al suo giovane amante e mantenuto, Konrad.
La presenza di Konrad, della marchesa, della figlia Lietta e del suo compagno Stefano crea una strana dinamica familiare, alla quale l’anziano signore viene coinvolto contro la sua volontà, ma con il tempo si rende conto che questa intrusione ha portato un ritorno alla vitalità e alle relazioni umane.
Il tragico suicidio di Konrad riporta l’equilibrio nella vita del professore, ma allo stesso tempo lo rende più consapevole della sua imminente fine.
Luchino Visconti, nel 1974, anno di uscita di Gruppo di famiglia in un interno, aveva 68 anni e solo due anni dopo sarebbe scomparso e questo sarebbe stato il suo penultimo film, ma forse è l’ultimo pienamente compiuto, prima del discontinuo e non troppo sentito L’innocente.
Visconti sembra abbia riversato in questo film tutte le paure, i disagi, il distacco dalle cose della vita, le memorie, i rimpianti e i piaceri residui di una senilità anticipata, nonostante le sue affermazioni dell’epoca contengano dichiarazioni contrarie e manifestino una invincibile voglia di mettere in piedi altre regie.
Un professore insomma vive nella sua bella casa romana piena di arte. La sua quiete, accompagnata alla contemplazione delle opere d’arte che la casa conserva è turbata dalla marchesa Bianca Brumonti che gli chiede in affitto l’appartamento del piano superiore da destinare al suo amante. Il gruppo familiare che si insedia presto nell’appartamento sconvolge la vita dell’anziano professore.
Così Visconti riprende il filo di questo discorso esistenziale e lo trasferisce nel muto dialogo, anche acceso di passioni al limite dell’incomprensibile, facendone ulteriore manifestazione di solitudine.
Gruppo di famiglia in un interno appare come un racconto chiuso dentro le mura dell’appartamento nel quale, il professore (Burt Lancaster), decide di rifugiarsi chiudendosi al mondo. Ed è il giusto contrappasso a questa accentuata solitudine vedere il panorama della città, dall’ampio balcone, circondato da cupole, palazzi gentilizi, ma tutti di cartone.
Questo resta il film più notturno di Visconti: la notte, smette di essere pura ambientazione, per diventare dimensione silenziosa connaturata al personaggio, trasformandosi in stato d’animo, in atteggiamento dello spirito, secondo una interpretazione protoromantica che appartiene alla letteratura tedesca, verso la quale Visconti ha sempre nutrito grande ammirazione diventando fonte di esplicita ispirazione per una parte delle sue opere.
Il personaggio del professore di scienze alle prese con la irregolare famiglia riporta alla memoria quello del Principe di Salina de Il gattopardo.
C’è sempre nel cinema di Visconti la costante poetica crepuscolare del tramonto di un’epoca storica o della vita umana e ogni suo film riconduce alla riflessione su questi temi nelle sue varie declinazioni.
Gruppo di famiglia costituisce il suggello ultimo a questi temi, essendo pienamente pervaso da una malinconia per il distacco dalle cose terrene e per l’incompiutezza della propria vita che si manifesta in quella specie di anomalo senso di paternità mancata che sente di nutrire per il dissoluto Konrad (Helmut Berger).
In questo clima crepuscolare vanno lette le illuminazioni della memoria, che in due luminosi flashback riportano il ricordo del protagonista alla madre (Dominique Sanda) e alla moglie (Claudia Cardinale).
Nel colorarsi di agganci col presente si rende evidente il rifiuto del regista per certe espressioni della contemporaneità che diventano rifiuto dello stato delle cose.
Il cinema di Visconti è stato sempre diretto nel mostrare la parte più malata dell’animo umano che scivola verso la decadenza di ogni principio. La morte, in Visconti diventa la soluzione possibile per pacificare l’afflizione, per placare la coscienza o per purificare da ogni errore la vita interiore. Dall’altra parte c’è solo l’arte come governo della propria vita (come in Ludwig).
Concetti che restano temi dominanti con riferimenti a Mann, Proust e gli scrittori che attraverso la contemplazione dell’arte e della bellezza hanno inteso reagire al positivismo che aveva caratterizzato le epoche precedenti.
A Gruppo di famiglia in un interno è attribuito il compito di tirare le fila di un lungo e ininterrotto dialogo con l’arte consolatrice dimostrando anche l’impossibilità di conciliare la propria esistenza con quella degli altri.
Il pessimismo è appena stemperato da quell’incipiente, ma irrisolto, rapporto quasi paterno tra il professore e Konrad, rappresentante della decadenza morale fatta di invadenza e irriguardosi atteggiamenti. Ma nonostante questo i componenti della famiglia Brumonti sembrano attrarre il professore, così distante culturalmente e anagraficamente da loro. Tutto sarà chiaro nel monologo finale del film…
In fondo per il protagonista l’incontro con quella famiglia rappresenta il ritorno alla vita, ai rapporti umani, ad una specie di vitalità perduta.
Tra la marchesa, sua figlia Lietta e il suo compagno Stefano e Konrad, si viene a formare un singolare gruppo di famiglia, nel quale l’anziano gentiluomo viene forzato ad entrare, salvo poi accorgersi alla fine che questa intrusione ha il significato per lui di un ritorno alle relazioni umane. Ma si tratta solo di una impressione.
Un fatto tragico riporterà l’ordine iniziale nella vita del professore, allontanandolo da quella problematica famiglia, per lasciarlo consapevole della morte che si avvicina. Visconti chiude il film con la morte del personaggio, immerso nella bellezza della sua casa, che non può più dargli alcuna consolazione, mentre ascolta i passi provenienti dal piano superiore ormai vuoto: è la Grande Consolatrice che ormai è lì per lui.
Quando un uomo solitario finisce per circondarsi di tante persone, quando la vecchia concezione di amore vorrebbe inglobare la più recente moda erotica, quando le comunicazioni velate cominciano a vivere di fatti incomunicabili inizia allora quella tragedia umana destinata ad avere un epilogo mitico, una tragedia che nel film Gruppo di famiglia in un interno vede la sua miglior riuscita.
Le parole come suoni potentissimi mettono in risalto la metamorfosi della società borghese che contrapposta ad una decaduta nobiltà pone come gesti rivoluzionari solo la volgarità dei propri jeans con buchi e toppe. Solo gli occhi e le parole di un uomo capace di guardare tutto, senza mai smettere di imparare, restituiscono una sintesi suggestiva caratteristica della vita umana.
Visconti, al suo penultimo lavoro, non lascia spazio alle parole ma mette in scena l’equilibrio su cui si reggono i pochi versi di una poesia, raccontando, tra le rughe del professore, i silenzi di un grande poeta. Con quanta tenerezza porta allora la poesia al suo punto più alto, quando le parole, ormai già scontratesi tra loro, si annullano in favore delle lunghe pause piene di significato.
Si scatena allora una guerra emotiva che raggiunge il suo culmine nel momento in cui, seduti intorno ad un tavolo, le tradizioni si mostrano nel loro fallimento. Ecco che i desideri dei giovani si sommano gli uni agli altri per annullarsi a vicenda. Eccoli recriminare qualcosa, ecco inveire sull’esperienza dei vecchi finalmente messa a tacere, ecco riassumere quella lotta che ha la sua forza nell’incomprensione.
Si esalta allora per contrasto la lingua, passaggio di ogni conflitto sociale, di ogni fondamento etico destinato proprio all’arte. Le due generazioni parlano ormai lingue diverse, vivono emozioni diverse; ognuno convinto di abitare nel proprio migliore tra i mondi possibili.
Si intuisce come la diversità di linguaggi abbia introdotto una lontananza di pensieri, e si conclude che proprio la diversità, espressa attraverso l’uso della comunicazione diversa, derivi da un diverso modo di ragionare, da una mancanza di precetti, dove ognuno è libero di essere giudice, dove il mondo è subordinato alla società e questa, al singolo.
Visconti è un visionario che contrappone tre generazioni attraverso l’utilizzo di una lingua non raffinata e a volte volgare, che sostituisce termini a passati silenzi, che si impone violenta nel suono, pur rimanendo debole nel concetto.
Da una parte una società che si nasconde dietro la cornetta di un telefono, dall’altra una classe che si chiude in sé stessa, che non prova neppure a mediare un futuro in comune. È forse proprio da questa liberalizzazione che nascono i problemi della società contemporanea, una società che non ha memoria e per questo risulta essere tanto pericolosa. Dove il prezzo del progresso è la distruzione, la distruzione che non raccoglie dati sul presente e si allontana da ognuno. Una leggerezza nei confronti del progresso che i giovani si concedono perché i padri, incapaci di coglierne le problematiche, si sono limitati ad affermarne solo le difficoltà.
In questo quadro dove la bellezza nasce dai ricordi, ci si allontana dai giudizi estetici perché non si ha la memoria per rappresentarli. La musica e la pittura finiscono per mostrarci due mondi diversi. Mozart, la Zanicchi e la Caselli, le citate conversation pieces a cui si oppone l’espressionismo astratto di Mark Rothko strutturano il film su tutte le possibili differenze di linguaggio.
I giovani provano a conoscere il passato da cui si sono estromessi e si sorprendono di vedere intorno a loro fatti che sono abituati a vedere lontani.
Chi ha fatto in modo che quelle due generazioni, potenzialmente simili, fossero impossibilitate a comprendersi, pure sfiorandosi continuamente? Ecco la critica alle regole assurde di un gioco senza regole che Visconti muove.
La vita del Professore, parte di un mondo che lottava come faceva l’amore, diviene silenziosa davanti ad una generazione che esibisce un’effimera rivoluzione sessuale, che accetta orgogliosa lo scandalo, che si compromette giorno dopo giorno nelle droghe e in un divenire che porta inevitabilmente alla distruzione.
E quando, sul letto di morte, il Professore rilegge la sua storia, il Caos ha già preso il sopravvento e tutto ritornerà nella sua forma di puro silenzio.
In quel silenzio i quadri paiono non parlare più e attraverso una citazione sottile la bellezza del passato rimane viva nel giallo della prima edizione del Gattopardo, poggiata con cura vicino al letto. Come se in fondo la letteratura, l’arte e dunque la memoria fossero le uniche possibilità di salvezza.
BIBLIOGRAFIA:
- Gaia Servadio: “Luchino Visconti”, Arnoldo Mondadori Editore, 1980;
- Alessandro Bencivenni: Luchino Visconti, Il Castoro, 1994;
- Mauro Giori, Scandalo e banalità. Rappresentazioni dell’Eros in Luchino Visconti, Milano, LED Edizioni Universitarie, 2012.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.