Luce azzurra, luce sì azzurra!
In quest’azzurro perfino morire
Non duole. Ebbene, che importa
Se ho l’aspetto d’un cinico
Che si è appeso al sedere un fanale!
Vecchio, buon Pegaso spossato,
Ho forse bisogno del tuo morbido trotto?
Son venuto come un servo, e son maestro
A decantare e celebrare i topi.
La mia testa, come in agosto,
Si effonde in vino di chiome ribelli.
Ho voglia d’essere una gialla vela
Gonfia verso il paese dove andremo.
(Confessioni di un teppista)
Amava innammorarsi, amava l’alcol e la vita.
Morì suicida a soli trent’anni, lasciandosi dietro poesie di straordinaria bellezza e una visione tanto profetica quanto scomoda sullo sfacelo dell’utopia rivoluzionaria.
Sergej Aleksandrovic Esenin nacque in una famiglia contadina nel villaggio di Konstantinovo, regione di Rjazan, il 3 ottobre del 1895.
Il padre, Aleksandr Nikitic era un mujik che ben presto abbandonò la moglie Tat’jana Titova per andare a lavorare in una macelleria di Mosca.
Quando Sergej ebbe due anni, Tat’jana si impiegò come domestica a Rjazan’, così il piccolo andò a stare coi nonni materni, dai quali venne cresciuto divenendo un ribelle, un piccolo teppista (in russo si usa il termine huliganj, che, anglicizzato, conosciamo riferito ai tifosi di calcio incontinenti).
In questa sua tendenza fu così precoce che, ancora bambino, dovette ripetere un anno di scuola per cattiva condotta.
Pare che Sergej fosse comunque in grado di scrivere cose di qualche consistenza già a otto anni, ma le sue prime poesie conosciute risalgono al 1910.
“La betulla”, la prima in assoluto, fu pubblicata su un giornaletto locale.
A diciassette anni fuggì da casa e approdò a Mosca, dal padre, presso il quale iniziò a lavorare.
Abbandonò ben presto l’attività in macelleria per entrare nella tipografia Sytin come aiutante del correttore di bozze.
Nel 1915 pubblicò “Radunica”, il suo primo libro di poesie, subito seguito da un altro volume: “Rito per il morto”.
Nel marzo 1915 partì per San Pietroburgo.
Continuava a scrivere poesie, nella convinzione che quella fosse la sua strada.
Approdando a San Pietroburgo intendeva conquistare la capitale letteraria della Russia, e, come si vedrà, riuscì in quell’intento.
Certamente il suo istintivo esibizionismo gli diede una mano, ma il grosso del merito doveva attribuirsi al talento, un talento che aveva in abbondanza.
La cerchia a cui si indirizzò era quella dei “poeti-contadini”, di cui il giovane Sergei Gorodecki era un po’ il teorico, avendo anche una certa influenza in campo culturale.
Gorodecki, infatti, aveva avuto come suo amante e protetto un altro poeta che cantava la Russia rurale: Nikolai Kljuev.
Nelle sue Memorie Gorodecki descrisse il suo incontro con Esenin in termini trasparenti:
” Sergej era incantevole, con quella sua voce melodiosa da monello, con quei suoi riccioli biondo chiarissimo, (…) con quei suoi occhi blu… Esenin venne a stare a casa mia. Alleviai le sofferenze del suo cammino con le mie lettere di presentazione per tutte le relazioni che conoscevo”.
Le lettere di presentazione furono sfruttate al meglio, così, in breve, il nostro poeta divenne partner inseparabile di Kljuev, e assieme a lui mise in piedi veri show folkloristico-poetici (accompagnati dalla fisarmonica suonata da Esenin), spettacoli che fecero discutere la società “bene” e portarono fama al giovane poeta.
La bellezza di Esenin era fuori del comune: bisessuale, nella prima parte della sua vita cercò l’appoggio di uomini influenti, mentre nella seconda la sua preferenza si orientò maggiormente verso il sesso femminile.
Fortemente emotivo, s’innamorava spesso, così frequentemente che arrivò a sposarsi cinque volte.
A San Pietroburgo, nel 1915, conobbe Aleksandr Blok, il celebre poeta simbolista, che lo presentò ai letterati più famosi, così che Esenin arrivò ben presto a far parte dei più prestigiosi ambienti letterari.
Nel 1916 venne chiamato alle armi, ma grazie alle sue conoscenze non fu inviato al fronte, ma destinato al treno ospedale n. 143 di Sua Altezza Imperiale, la Zarina Aleksandra Fëdorovna, di stanza a Carskoe Selo, residenza della famiglia dello zar.
A Carskoe Selo il soldato Esenin poté occuparsi di letteratura e di affari editoriali.
Certo fu durante quelle noiose giornate che cominciò a bere.
La noia fu bruscamente interrotta dalla rivoluzione del 1917, che pur tra molti dubbi, Sergej, soprattutto all’inizio, accolse con entusiasmo.
In quella prima fase la rivoluzione per Esenin rappresentò veramente una sferzata creativa, non soltanto sul piano quantitativo.
L’armoniosità dei suoi quadri agresti andava infatti cedendo spazio a quell’audace “inquieta forza” che lo stesso Esenin più maturo indicò come uno dei tratti fondamentali dei suoi versi.
Dopo il trasferimento della capitale da San Pietroburgo a Mosca, agli inizi del 1918, molti intellettuali vi si trasferirono, e con loro Esenin.
Oltre a scrivere, leggeva molto, soprattutto la Bibbia e il Canto della schiera di Igor.
Nel settembre del 1918 fondò una sua casa editrice chiamata “Trudovaja Artel’ Chudožnikov Slova” (Compagnia lavorativa degli artisti della parola).
Credendo che la rivoluzione avrebbe comportato una vita migliore per tutti, Esenin la sostenne, ma ben presto si disilluse arrivando persino a criticare il governo bolscevico.
Appartiene a questo periodo la poesia “L’ottobre severo mi ha ingannato’’.
In seguito fece amicizia anche con i poeti moscoviti, tra i quali Mariengof, con cui divise un appartamento tra feste, ubriacature, ragazze e poesia.
Frequentava i locali kabak con gli amici “immaginisti”, il movimento letterario di cui faceva parte.
Il loro ritrovo preferito era “La stalla di Pegaso”, ed era incredibile la quantità di alcol che potevano trangugiare in una sola serata.
In quel locale, nel 1922, Esenin conobbe Isadora Duncan, la danzatrice americana che ballava scalza.
Avvolta nel drappo rosso, eseguiva sulla scena i moti del proprio animo, abolendo le scarpette a punta e la tecnica della danza classica.
I due andarono a vivere insieme la sera stessa e si sposarono il 2 maggio 1922, nonostante il fatto che la Duncan conoscesse solo una dozzina di parole in russo, e che Esenin, dal canto suo, non parlasse affatto l’inglese.
Negli scritti del poeta si rintraccia l’espressione di una vera passione nei confronti della danzatrice, ma non è da escludere che il loro matrimonio potesse essere un evento finalizzato ad accrescere la notorietà di entrambi.
Esenin seguì Isadora in una lunga tournée all’estero.
Lei ballava e lui recitava le sue poesie in russo, lingua che quasi nessuno fuori dalla sua madrepatria era in grado di capire.
Col tempo si stancò di essere considerato un accessorio della Duncan: quell’esperienza si rivelò eccessiva per lui.
La nostalgia e la solitudine, frattanto, contribuivano ad aumentare la dipendenza dall’alcol, un vizio che sfuggì al suo controllo.
Era spesso ubriaco e le sue crisi di rabbia gli fecero distruggere camere d’hotel o creare scompiglio in ristoranti.
Quella unione impossibile ovviamente terminò: Esenin e la Duncan divorziarono.
Sergej chiuse così la parentesi tornando in Russia.
Non si sa se in due anni di convivenza con Isadora lui avesse imparato qualche parola in inglese, oppure se lei riuscisse a dire qualcosa in più dell’espressione “zolotaja golova” (testa dorata) che usava affettuosamente per chiamarlo.
Sergej capì che il suo destino di artista stava invece nella sua poesia, che doveva spingersi fino a “guardare nell’abisso“.
Per la violenza di certi suoi versi lo chiamavano “Il teppista” ma in realtà è stato uno dei poeti più lirici della letteratura russa: adorava le metropoli ma non dimenticò mai la sua origine rurale.
Negli anni seguenti continuò imperterrito la sua vita di bagordi, amori vari, donne e alcol.
Mantenne per tutta la vita un amore sconfinato per la terra natìa e per il suo villaggio e non mancava mai di fare visita alla sua casa natale ogni volta che tornava nella regione.
Così visse Esenin, senza risparmiarsi e senza illudersi più sull’avvento di un nuovo mondo, amando la vita, disperatamente, fino alla ‘tristezza che, come un verme blu le foglie, mi mangia gli occhi’.
Negli ultimi due anni della vita Esenin conobbe il suo periodo più buio: la dipendenza dall’alcol si fece sempre più grave, tanto che fu spesso vittima di allucinazioni, ed i suoi comportamenti diventarono sempre più imprevedibili.
Nonostante tutto, questo periodo disperato fu uno dei più fecondi a livello creativo e risalgono a questi anni alcune delle sue opere più intense.
Dopo aver una sera incontrato Sergej, il poeta Majakovskij annotò nel diario:
“…Con la più grande difficoltà ho riconosciuto Esenin. Con difficoltà, pure, ho rigettato le sue richieste persistenti di bere insieme qualcosa, richieste accompagnate dallo sventolio di un pingue mazzo di banconote. Tutto il giorno ho avuto quest’immagine deprimente di fronte ai miei occhi, e la sera, ovviamente, ho discusso con i miei colleghi su cosa si può fare per Sergej. Purtroppo, in una situazione del genere, si limitano tutti a parlare”.
Su di sé Esenin annotava precisamente: “Gira su di me una brutta fama, che sono un volgare e un amante degli scandali”.
Questa affermazione di fatto corrispondeva alla realtà, poiché il poeta nel delirio dell’alcol amava divertire il pubblico con componimenti dal contenuto scabroso e, secondo i ricordi di testimoni oculari, Esenin praticamente non scriveva mai versi osceni: essi nascevano in lui spontaneamente, ma subito li dimenticava a causa dell’ebbrezza etilica.
Il 28 dicembre 1925 Esenin fu trovato impiccato con la cinghia della valigia legata a un tubo del riscaldamento nella stanza n.5 dell’hotel Angleterre, a San Pietroburgo, da pochi mesi diventata Leningrado.
Quella stanza era la stessa che il poeta occupò durante il suo viaggio di nozze con Isadora Duncan.
Insieme al corpo, in un biglietto di addio indirizzato ad un amico, furono rinvenuti dei versi scritti col sangue.
Qualcuno ha sempre dubitato del suo suicidio, ma nessuna delle teorie confutatorie di quella tesi ha però resistito alla prova dei fatti.
Cionondimeno la morte di Esenin pareva presentare alcune ambiguità.
Il suo corpo presentava alcuni graffi sul braccio sinistro, un taglio sul braccio destro al di sopra del gomito e un’ecchimosi sotto l’occhio sinistro.
All’ipotesi del suicidio si affiancò l’opinione che la morte autoinflitta fosse una montatura, e che Esenin fosse stato in realtà ucciso da agenti della GPU.
Va ricordato però che durante gli “scatti” susseguenti alle sbronze, al poeta più volte accadde di ferirsi non intenzionalmente e oltretutto dai documenti e dai verbali di indagine, non è mai venuta fuori nessuna prova che avvalorasse la tesi dell’omicidio, nemmeno dopo l’implosione dell’impero sovietico e l’avvento della glasnost.
Alla fine del 1925 Esenin, soprattutto a causa degli abusi alcolici, versava in una condizione psicologica estremamente grave.
Rimase per circa un mese ricoverato presso una clinica psichiatrica di Mosca, luogo da cui fuggì per tornare a Leningrado.
Prima di partire visitò tutti i suoi parenti e disse loro addio ma nessuno pensò minimamente che volesse uccidersi.
La poesia di Esenin invece testimoniava anche il suo desiderio di morire: nei suoi versi degli ultimi due anni si trovavano centinaia di riferimenti alla morte, e per la maggior parte delle volte a quella per suicidio.
Amato incondizionatamente dal popolo, non cantava e non glorificava la Rivoluzione.
Aveva anzi previsto lo sfacelo dell’utopia rivoluzionaria.
Profetica fu la sua poetica e visse il suo ribellismo innato fino all’ultimo, con drammatica coerenza.
“Arrivederci, amico mio, arrivederci.
Mio caro, sei nel mio cuore.
Questa partenza predestinata
Promette che ci incontreremo ancora.
Arrivederci, amico mio, senza mano, senza parola
Nessun dolore e nessuna tristezza dei sopraccigli.
In questa vita, morire non è una novità,
ma, di certo, non lo è nemmeno vivere.”
(Ultima poesia di Esenin, i cui versi furono scritti col sangue)
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.