PRIMA PARTE
Il 21 gennaio 1921, un decreto del governo bolscevico impose la riduzione delle razioni di pane a Mosca, Pietrogrado e Kronštadt.
Questo provvedimento fu il motivo che diede il la alla rivolta di Kronštadt.
Nel 1921, i marinai di Kronštadt erano di certo meglio informati di quanto accadeva al di fuori dell’isola e furono colpiti dagli scioperi organizzati dai lavoratori, che non potevano certamente essere tutti dei reazionari.
Agli inizi di marzo i marinai decisero di rivoltarsi contro uno stato in cui ormai non credevano più.
A questo punto, occorre però fare un salto indietro, fino all’inizio del secolo, per comprendere la situazione russa e i prodromi della rivolta di cui stiamo parlando.
Occorre ricordare che i menscevichi furono una delle fazioni rivoluzionarie emerse nel 1903 dopo la disputa tra Lenin e Martov, membri del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR).
La spaccatura con i bolscevichi si era formata per la polemica causata dallo scritto ‘Che fare?’ di Lenin del 1902, in cui Lenin proponeva la formazione di un partito che costituisse l’avanguardia delle classi popolari e che fosse composto da rivoluzionari di professione.
Martov era in disaccordo, e pur ritenendo necessario ampliare la base del partito, voleva che questo rimanesse un’organizzazione di massa, cioè non diretta da un gruppo specifico, e gestita dai rappresentanti eletti dai soviet e non imposti dall’alto.
Nella primavera del 1906 si svolse il IV Congresso del POSDR, per trarre le conclusioni della rivoluzione appena fallita.
La polemica fra le due correnti nacque sul tema del rapporto che il partito avrebbe dovuto tenere con i contadini.
I menscevichi proponevano l’assegnazione della terra alle autorità locali, che poi avrebbero assegnato gli appezzamenti alle singole famiglie contadine mentre i socialrivoluzionari auspicavano la distribuzione della terra direttamente dal governo ai contadini, come poi, sempre nel 1906, fece Stolypin.
Alcuni studiosi sostengono che la riforma agraria da lui patrocinata, ebbe il merito di tentare di salvare l’impero zarista per qualche tempo, e che, se fosse stata portata a termine, avrebbe potuto risolvere il problema delle campagne, attenuando i fermenti di agitazione popolare.
In realtà essa acuì le distanze tra proprietari benestanti (la classe dei kulaki, più tardi sterminata da Stalin) e i piccoli contadini, la cui condizione rimase legata a un sistema di lavoro molto simile all’abolita servitù della gleba.
Sia la proposta menscevica che quella socialrivoluzionaria volevano evitare un eccessivo accentramento di potere nelle mani dello stato, pochi però si rendevano conto di come la linea di Lenin per la nazionalizzazione della terra, fosse collegata al progetto bolscevico di conquista del potere e che infine lo stato avrebbe coinciso con il partito.
Un altro punto di scontro era quello circa il ruolo dei partiti nella rivoluzione: i menscevichi ritenevano che la futura rivoluzione in Russia non potesse che essere quella borghese, secondo lo schema marxista che distingueva la fase borghese da quella socialista.
Gli operai dunque avrebbero dovuto sostenere prima la rivoluzione borghese ed allearsi con i liberali per abbattere lo zar poi, a tempo debito, ci sarebbe stata la rivoluzione socialista.
I menscevichi ritenevano questa loro costruzione l’unica ad essere davvero marxista ed accusavano i bolscevichi di essere populisti. Alla luce di questa valorizzazione della classe più che del partito, si comprende perché l’esperienza del Soviet fosse nata proprio in ambito menscevico.
La rottura fra menscevichi e bolscevichi, iniziata nel 1907, al V° Congresso del POSDR a Londra, fu poi consumata del tutto quando Lenin, nel 1912, aveva condotto i bolscevichi a formare un loro partito.
Allo scoppio della rivoluzione nel febbraio 1917, venne formato il governo provvisorio del principe L’vov.
Kerenskij era uno dei maggiori leader politici e venne eletto vice rettore del Soviet di Pietrogrado.
Durante la rivoluzione di febbraio si era reso molto popolare presso le masse, aveva guidato le truppe insorte alla Duma e ordinato l’arresto dei ministri del governo zarista.
Il 12 marzo 1917 Kerenskij entrò a far parte del Comitato Provvisorio della Duma come membro del Partito Socialrivoluzionario.
La maggioranza che controllava il Soviet, tuttavia non si fidava di Kerenskij. Questi era convinto invece che, una volta che fosse divenuto capo del governo, liberali e socialisti si sarebbero riconciliati, riconoscendo in lui il leader “necessario” per liberare il paese dai suoi problemi.
Nella primavera del 1917 la maggioranza dei Soviet decise di dare un appoggio condizionato al nuovo Governo provvisorio, appena ricostituitosi dopo una crisi in aprile: in tal modo avvenne la formazione del primo gabinetto di coalizione liberal-socialista, nel quale Kerenskij fu nominato ministro della giustizia, divenendo successivamente ministro della guerra.
Kerenskij era uno dei pochi in grado di gestire gli affari di governo in quel momento ed era convinto della necessità di collaborazione tra socialisti e liberali ai fini di una rivoluzione morbida.
Presto però la resistenza di alcuni ministri della sinistra portò il governo allo scioglimento, così Kerenskij ebbe buon gioco a farsi attribuire l’incarico di Primo Ministro con ampi poteri.
La repressione delle azioni contadine e le misure per riportare all’obbedienza le truppe, ma soprattutto la volontà di continuare la guerra contro i tedeschi a fianco degli Alleati, gli fecero rapidamente perdere il consenso che aveva avuto presso il popolo.
Dal 3 al 5 luglio si ebbe per questo una sollevazione popolare che venne repressa e, a seguito di essa, i bolscevichi, responsabili di aver fomentato le masse, furono messi fuorilegge e Lenin dovette continuare l’attività politica in modo clandestino, rifugiandosi in un villaggio al confine con la Finlandia.
Nello stesso tempo però le forze più reazionarie incominciarono a pensare che fosse giunto il momento per dare una spallata a Kerenskij e il 12 agosto, nel Teatro Bolshoj di Mosca, si riunì un’assemblea di circa 2000 persone e più della metà erano grandi proprietari terrieri, industriali e banchieri.
Nel suo intervento il generale Kornilov chiese apertamente poteri dittatoriali allo scopo di salvare la Russia dai rivoluzionari, rinfacciando al governo di non essere capace di riportare la calma nel paese.
Era una vera e propria controrivoluzione.
In agosto Kornilov iniziò a raccogliere truppe ritenute fedeli allo zar per farle marciare sulla capitale.
Kerenskij resosi conto delle intenzioni del generale lo destituì, ma Kornilov comandò al generale Krymov di far marciare un corpo di cavalleria cosacca su Pietrogrado.
La città cadde nel caos più assoluto: il governo provvisorio non aveva truppe con cui difendersi e a quel punto furono proprio i rivoluzionari a organizzare la difesa.
In breve tempo venne creato un “Consiglio di guerra per la difesa di Pietrogrado” che organizzò venticinquemila operai.
I lavoratori delle officine Putilov prolungarono di loro volontà l’orario lavorativo a sedici ore ed in due giorni costruirono duecento cannoni, in modo che le unità dell’esercito che erano fedeli alla rivoluzione tornassero operative.
Ad esse si unirono migliaia di marinai di Kronštadt e così Kornilov venne battuto.
Kerenskij riuscì così a mantenersi al governo, ma senza più credibilità presso le classi popolari.
Stabilì allora la data (il 28 novembre) e le regole con cui si sarebbero tenute le elezioni per l’Assemblea Costituente.
Dopo il tentativo di golpe reazionario, Kerenskij si schierò coi partiti rivoluzionari e con i bolscevichi, ai quali aveva permesso di rientrare, e con la classe operaia.
Più tardi, nel mese di ottobre, una grande parte di questi lavoratori sarebbe confluita proprio nelle file dei bolscevichi.
Lenin era comunque determinato a rovesciare il governo Kerenskij prima che esso avesse la possibilità di legittimarsi in seguito alle previste elezioni per l”Assemblea Costituente.
Questo anche perché l’importanza dei Soviet diventava via via maggiore, visto che in molti casi il loro controllo permetteva quello delle guarnigioni militari.
Questo fatto venne però sottovalutato dal governo provvisorio.
Fra la metà di settembre e la metà di ottobre del 1917, Lenin riuscì a convincere i membri del suo partito della necessità di tentare la presa del potere prima delle elezioni per la Costituente.
Anzi, stabilì che la cosa migliore sarebbe stata ottenerlo prima dell’apertura del Secondo Congresso dei Soviet, che avrebbe così potuto legittimare così un nuovo ordine.
Lenin sosteneva la necessità, anticipando i tempi, di trasformare la rivoluzione borghese di febbraio in una rivoluzione proletaria che avrebbe portato poi all’instaurazione di una società comunista.
Nell’ottobre i bolscevichi occuparono i punti nevralgici della capitale dando il la ad una nuova rivoluzione: la loro vittoria portò al rovesciamento del Governo Kerenskij e alla nascita della Repubblica Socialista Federativa Sovietica.
Il passaggio di Pietrogrado nelle mani degli insorti fu abbastanza pacifico ed avvenne senza che la cittadinanza quasi se ne rendesse conto.
Il 25 la situazione si fece disperata per Kerenskij, che fuggì dalla città a bordo di un’automobile dell’ambasciata americana.
I ministri invece si barricarono nel Palazzo d’Inverno, ma la loro resistenza fu sopraffatta in poche ore.
La maggior parte di loro venne condotta alla fortezza di Pietro e Paolo.
La sera dello stesso giorno Lenin poté annunciare la presa del potere al Secondo Congresso dei Soviet.
In questa sede vennero quindi approvati i primi provvedimenti, come il trasferimento del potere ai soviet, quello sulla pace con la Germania e quello della distribuzione della terra ai contadini.
Fu decretato anche il controllo, da parte del neonato Consiglio Militare Rivoluzionario, della guarnigione di Pietrogrado e della flotta del Baltico.
Intanto truppe fedeli a Kerenskij si scontrarono di lì a poco con quelle bolsceviche per venirne sconfitte dopo alcune vittorie iniziali.
Kerenskij andò in esilio in Francia.
Come gli altri gruppi rivoluzionari, i menscevichi non ostacolarono il colpo di stato di Lenin nell’ottobre 2017, ma già al Congresso dei Soviet, i 110 delegati menscevichi abbandonarono la sala al momento della ratifica della Rivoluzione di Ottobre, per denunciare il “colpo di stato bolscevico”.
Alle elezioni della Assemblea Costituente si presentarono quattro differenti liste: bolscevichi, menscevichi, riformisti e socialrivoluzionari.
Le elezioni si svolsero a suffragio universale ma registrarono un notevole astensionismo: nell’esito finale prevalsero i socialrivoluzionari con un netto 58%, seguiti dai bolscevichi al 25%.
La rilevanza politica dei socialrivoluzionari era dovuta al loro controllo dei soviet contadini, formatisi negli ultimi mesi.
I bolscevichi nelle grandi città e al fronte raggiunsero consensi fino al 40%, e si consolidò anche la fiducia da loro ottenuta nel Soviet di Pietrogrado, di cui presidente fu Trotsky dall’estate del 1917.
Nel dicembre 1917 il partito menscevico, d’accordo col sindacato dei ferrovieri, intavolò trattative per formare un governo di coalizione con tutti i rivoluzionari: dai socialisti agli anarchici, dai riformisti ai bolscevichi.
Continuarono insomma a fare da “pacificatori” per evitare lo scontro diretto fra bolscevichi e socialrivoluzionari, che sarebbe stato deleterio specialmente durante la guerra civile contro l’armata bianca filo-zarista.
Durante la guerra civile i menscevichi e gli altri gruppi rivoluzionari sostennero i bolscevichi in nome della “difesa della Rivoluzione“ e solo pochissimi loro membri passarono nell’Armata Bianca degli zaristi.
A questa lealtà allo stato sovietico si accompagnò però anche una costante denuncia del dispotismo bolscevico: in particolare i menscevichi rinfacciavano ai bolscevichi di violare la Costituzione del 1917 da essi stessi promulgata e inoltre si opponevano alla politica del ‘comunismo di guerra’.
Nel 1919 elaborarono un programma alternativo nel quale si proponeva un’economia mista, come sarebbe stata in seguito quella della NEP, la Nuova Politica Economica: la terra ai contadini, la piccola industria ai privati, la grande industria nazionalizzata.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.