Ogni volta che su questo nostro povero, martoriato Paese, si abbatte una calamità, ritorna preponderante la retorica mai sopita degli eroi e ripartono le fanfare delle celebrazioni, che non si esauriscono mai; si creano nuove suggestioni e si moltiplicano le invocazioni di massa, oggi dai balconi condominiali, al tempo del Covid 19, appena ieri, invece, dalle piazze gremite, sullo stile di quelle di storica memoria, che si esaltavano sotto ben altri balconi, che poi si sono trasformati in palchi ridondanti luci, in finestre virtuali o televisive, da cui lanciare i soliti slogan martellanti, tutti di facile presa.
Insomma, si consumano riti vecchi con modalità nuove, ci si riscopre tutti d’accordo (o quasi) nel consegnare patenti eroiche, dalla condizione di poveri, inermi cittadini in cerca di salvezza.
In generale è facile osservare come in questo Paese si viva perennemente in attesa di figure eccezionali, di quei “Godot messia” dalla verità in tasca, superuomini dotati di superpoteri, con la soluzione giusta per tutti i nostri problemi che, piovuti da chissà dove, si materializzano solo per risollevarci dalla sventura, cambiare il corso delle nostre vite e restituirci un avvenire mondato da tutte le ingiustizie e dalle amarezze del vivere quotidiano.
E noi, tutti o quasi, siamo sempre pronti a consegnare le nostre sorti nelle mani dell’eroe di turno, riconoscendo così implicitamente la nostra incapacità; soggiogati dall’ostentazione di tanta forza e di una indiscussa superiorità, gli attribuiamo dunque una delega firmata in bianco, un lasciapassare, o quasi, sulla quale verghiamo con parole accorate l’estremo grido di aiuto:
“Gigante, pensaci tu”.
È in questi frangenti che per me torna attuale citare Bertolt Brecht quando, nel dramma “Vita di Galileo”, afferma testualmente:
“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”,
e non lo fa certo per dirci che le terre sono sventurate, quindi bisognose di eroi, ma al contrario, che esse sono sventurate proprio perché di eroi hanno bisogno, perché non sanno trarre da se stesse l’energia, la forza e le risorse che rendono ciascuno consapevole e capace di fare la propria parte, non in quanto eroe, ma in quanto cittadino, essere umano capace di scegliere.
Troppe volte si preferisce a questa consapevolezza e assunzione di responsabilità, la celebrazione retorica di eroismi, più o meno montati, per non sapere ammettere che l’unico vero eroismo su questa terra è la buona coscienza, il senso di responsabilità e quel coraggio che convive con la paura, in ciascuno di noi, ma che rende gli uomini vicini agli altri uomini, nella sventura come nella buona sorte, anzi soprattutto nella buona sorte, affinché si compia la propria vita in dignità e rispetto, nel valore della reciprocità di un agire animato da valori comuni.
Mi viene da pensare dunque che questa eccezionalità, attribuita a chi fa il proprio dovere, sia proprio frutto di una cattiva normalità; che riconoscerci come un popolo di eroi, di santi e di navigatori, non sia che un alibi a discarico dei tanti che il proprio dovere non lo fanno, che non pongono in essere quelle scelte che tengano conto, queste sì, di un “eroismo” del normale, prevenendo la necessità che qualcuno si immoli poi per contrastare condizioni di estrema difficoltà e di mancanza di sicurezza, nello svolgimento del proprio compito e del proprio dovere, nell’esercizio della propria professione, quale essa sia, con dedizione e abnegazione, con coerenza e senso della comunità.
Interroghiamoci dunque, prima di invocare eroi e di immolare persone normali sull’altare di sacrifici inutili, per sgravarci la cattiva coscienza di Paese poco lungimirante e avveduto, mal governato o corrotto, e in generale troppo spesso tirato da tutte le parti solo per soddisfare la sete di potere.
La normalità è l’unico eroismo possibile, che non ha niente a che vedere con una delega in bianco, né con la retorica del facile patriottismo, ma con la coscienza di ciascuno di noi, nel proprio ruolo, nella propria vita.
Questa è l’unica speranza che abbiamo di riuscire a costruire il nostro Futuro.
Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale
“l’unico vero eroismo su questa terra è la buona coscienza, il senso di responsabilità e quel coraggio che convive con la paura”. Brava, anzi bravissima, concordo
condivido il pensiero di Francesca. Sicuramente per la maggioranza il covid è una calamità. Per molti scienziati e studiosi (al di là delle ipotesi di manipolazioni o di attentato tutti da dimostrare) invece era previsto da decenni. Non è il primo e, temo, non sarà l’ultima tragedia per errori umani ripetuti che ci vorrebbero far passare come calamità. Lo sono i terremoti, non lo sono gli effetti devastanti dei capannoni i Emilia Romagna (errore di calcolo), L’Aquila, Amatrice, la valanga a Rigopiano, solo per fare qualche esempio. Come non lo sono i crolli dei ponti, scuole e delle strutture senza (o con insufficienti) verifiche, controlli e manutenzione. Non può essere calamità l’idiozia di approvare, finanziare impianti energetici inutili, inquinanti e devastanti come quelli a turbogas, biogas, biomasse, biometano quando non sono in sostituzione di impianti più inquinanti esistenti, considerato che in Italia c’è capacità impiantistica pari a 3 volte i consumi medi e 2 volte quelli di punta, diventando spesso veicolo di smaltimento illecito di rifiuti speciali e nocivi (secondo varie procure ed esperti) ed illeciti per il 64% dei casi (presidente GSE in commissione contro le ecomafie). Non è calamità quando si consuma il suolo riducendone la capacità di assorbimento, ampliandone gli effetti degli eventi atmosferici sempre più frequenti (proprio per consumo del suolo, abbattimento di alberi, aumento della temperatura per impianti) per costruire (fabbricati che non servono visto tutti quelli inutilizzati e da recuperare) e asfaltare (per costruire strade che non servono e senza mettere in sicurezza quelle esistenti) o campi fotovoltaici (come per altri impianti energetici inutili). Non è calamità l’elevato numero di malattie cardiovascolari (oltre che tumori, malattie dell’apparato respiratorio, problemi di comportamento, apprendimento, demenza senile, di riproduzione) per inquinamento da impianti inutili e nocivi. La calamità è, caso mai, la grande presenza di una classe dirigente incapace, impreparata, svogliata, assenteista, quando non è complice, corrotta o corruttore come raccontano le inchieste. Non abbiamo bisogno di eroi, di persone normali, professionisti, responsabili, preparati, che hanno voglia di impegnarsi. Altrimenti i nostri giovani migliori, i cervelli più capaci se ne andranno all’estero non potendo competere con leghisti, forza o fratelli o italiani vivi (così dicono) o di altri partiti, movimenti e forze politiche che promuovono amici, parenti e soci al posto del merito