Peluso Edmondo, professione: rivoluzionario

                            

La storia degli italiani che per sfuggire al fascismo si rifugiarono in URSS, paese in cui, negli anni del terrore staliniano, vennero travolti da altre persecuzioni e processati per colpe mai commesse, torturati, deportati o condannati a morte, ebbene quella è una storia su cui c’è ancora molto da studiare e da raccontare.
Didi Gnocchi, una giornalista italiana, che si trovava a Mosca nel 1992 è inciampata in uno di quei nomi.
Era in Russia per intervistare lo storico Frederik Firsov, in relazione ad una vicenda riguardante Palmiro Togliatti, ma all’ improvviso il suo interlocutore le chiese se conosceva la storia di Edmondo Peluso,

uno dei pochi casi in cui il segretario comunista era intervenuto per salvare un compagno in disgrazia”.

Intervento inutile, precisò poi lo storico, mostrando alla collega italiana un documento del NKVD che respingeva qualunque interessamento di Togliatti.

Pareva una storia comune a quella di molti antifascisti emigrati in Urss, ma nella testa della giornalista, quel nome cominciò a risuonare nel suo subconscio come un’ossessione.

La giornalista Didi Gnocchi

Decise dunque di fare delle ricerche, partendo dalle poche notizie disponibili, spesso imboccando dei vicoli ciechi.
Ma tutte le volte che stava per rinunciare si verificava un piccolo colpo di scena: ora si trattava della improvvisa disponibilità di un archivista russo a d aiutarla, ora un collegamento via Internet con parenti di quel personaggio, un’altra volta ci fu il ritrovamento di un suo scritto, pubblicato alla fine degli anni ‘20 a Mosca.

Il libro che dopo nove anni vide la luce, è contemporaneamente la storia di queste ricerche e quella del suo oggetto: Edmondo Peluso, un comunista libertario, nato nel 1882 in un basso napoletano e che, a ragione, si definiva “cittadino del mondo”, avendo vissuto come emigrante a Barcellona, a Parigi, a New York, a San Francisco e avendo raggiunto poi anche Hong Kong, Shangai, Macao, Manila e Nagasaki.

Un tipo, insomma, che in un caffè di Oakland, in una notte del 1908, conobbe Jack London e si convertì al socialismo.
Questa scelta e la buona conoscenza di alcune lingue, oltre al gusto per il viaggiare, ne fecero in breve tempo il collaboratore di una serie di giornali socialisti dell’epoca: scrisse per il Vorwarts e per l’Humanité.
Conobbe personalmente Otto Bauer, Clara Zetkin, Rosa Luxemburg e salutò la Rivoluzione d’Ottobre come “l’aurora della nuova era del proletariato”. Partecipò alla rivolta operaia di Berlino, e poi, tornato nel 1921 in Italia, alla fondazione del Partito Comunista.

Nel tentativo di riannodare i fili mancanti di quella vita, e della sua conclusione in Russia, la giornalista ha rincorso i pochi superstiti di quelle vicende e consultato le carte degli archivi della Polizia Segreta. Ha ottenuto di entrare nella prigione di Burtykaja dove ha parlato con i condannati.
Le immagini della Russia di oggi, nella sua ricerca si sovrappongono così alle immagini della Russia di allora, quando vi arrivò Edmondo Peluso, con gli occhialini, la barbetta curata, il cappotto elegante, e ben piegato nella valigia un kimono, da cui non si separava mai, ricordo dei suoi viaggi in Oriente.
Era lo stesso uomo, instancabile, che aveva partecipato alla fondazione del Partito Comunista a Livorno, che nel 1925 era stato mandato a Canton per preparare l’insurrezione contro il Kuo Min Tang e che più tardi verrà arrestato, a Mosca, nel 1938, e rinchiuso nella Burtykaja, accusato di essere un nemico del popolo.
Denunciò le sevizie cui era stato sottoposto, ritrattando la confessione che gli era stata estorta.
Fece arrivare un messaggio a Togliatti che intervenne, invano a suo favore.

Una sentenza del maggio 1940 lo destinò per cinque anni, alla deportazione nel villaggio di Suchobusimo, nella regione di Krasnojark.
Quando ci arrivò era ormai un povero vecchio, malato, insofferente e soggetto a scatti d’ira.

Agli altri deportati raccontava della sua vita e gridava il suo giudizio sull’ Urss:

Io che sono stato… nemico del fascismo, non desidero più essere cittadino dell’Urss. Non mi rimane più niente da fare in Urss. Il cosiddetto comunismo e socialismo di Stalin boicottano tutti i partiti socialisti e comunisti, una volta fratelli. In Urss non c’è alcun socialismo, ma esistono esperimenti folli, che sbalordiscono tutto il mondo, su un popolo che ha perso il buon senso. Questo non appare vicino nel suo risultato finale al socialismo, bensì ad un rozzo dispotismo (…) Il popolo sovietico è immerso in un mare di lacrime, di dolori, di privazioni, da file interminabili per il pane, questo prodotto principale dell’alimentazione, file per un metro di stoffa per coprirsi, e da una fatica da galera, un vero pesante lavoro forzato. Insomma su tutti costoro grava il marchio della burocrazia che li opprime appiattendoli tutti allo stesso livello. Tutti i giornali riguardo al contenuto sono simili l’uno all’altro come due gocce d’acqua. La gente in Urss pensa come le viene ordinato. Il socialismo in questo paese è il trionfo della polizia segreta, è un trono lordato dal sangue degli uomini migliori.
Ma io vi dico che questo potere si regge sulle baionette, sulle camere di tortura, sulle repressioni e questo potere che mantiene il popolo con razioni di fame, non può essere durevole… Non appena avrò la possibilità di lasciare questo villaggio aprirò gli occhi ai miei compagni”!

Non lasciò mai quel villaggio: denunciato da un altro recluso, verrà rinchiuso nella prigione di Krasnojarsk dove verrà interrogato, fino allo sfinimento.
Fu condannato il 31 gennaio e assassinato il 6 marzo del 1942 e sepolto con ogni probabilità, in una fossa comune.

Vediamo ora in dettaglio chi era Peluso e quale vita aveva vissuto.

Edmondo Peluso nel 1922

La nostra storia inizia ai primi del Novecento a Oakland, in California, dove di solito non erano più di una trentina i militanti socialisti riuniti nella sezione locale.
C’era di tutto: operai edili, facchini, scaricatori del porto, sterratori del nuovo canale e delle linee del tram elettrico.
Se faceva brutto tempo dovevano rimanersene in sezione, a guardarsi in faccia discutendo delle solite cos
Parlavano di come spiegare ai poveracci venuti da fuori che la corsa all’oro era finita, e sul come convincere i proletari della Baia che soltanto l’unione faceva la forza.

Saranno pure stati quattro gatti, ma potevano tuttavia andare fieri di avere Jack London tra loro, il giovane scrittore più famoso d’America.
Non aveva un’aria da militante del movimento operaio, sembrava piuttosto un lupo solitario, ma fatto sta che Jack si batteva per un mondo più giusto, più uguale.
In trent’anni di esistenza, ne aveva viste troppe per non sentirsi un uomo di progresso.
Figlio di nessuno, aveva provato le ingiustizie della fabbrica e aveva pagato con ripetuti soggiorni in prigione, una vita d’avventura, spesso ai confini della legalità.

Edmondo Peluso era arrivato nella Baia proprio allora, nel 1905, quando Jack era il fiore all’occhiello della sezione di Oakland.
Con gli altri compagni aveva raccolto da lui alcuni ricordi di guerra, ascoltando il racconto di quello che London aveva visto sull’altra sponda del Pacifico, quale inviato al fronte del conflitto che opponeva il Giappone alla Russia.
Eppure sebbene London fosse un corrispondente del San Francisco Examiner, i giapponesi gli avevano impedito l’accesso al fronte delle operazioni militari, in Manciuria come in Corea.

Jack London

Peluso e London avevano trovato facilmente un’intesa.
Forse perché il compagno Edmondo aveva anche lui alle spalle un passato di avventura e di militanza.
Proprio come London, Peluso era un’anima vagabonda del socialismo.
Oltretutto erano entrambi uomini di mare: Napoli e San Francisco.
Così avevano preso l’abitudine di nuotare spesso insieme nelle acque della Baia. 

Divorava i giornali, Edmondo, al pari degli altri compagni di Oakland: leggeva degli scioperi nelle fabbriche di Pietroburgo, degli operai presi a fucilate dai cosacchi, ma sostenuti dagli studenti e dai professori universitari, della ribellione dei braccianti nelle campagne, dell’ammutinamento a Odessa della corazzata Potemkin.
Leggeva degli scioperi generali nell’intera Russia, dei pogrom antisemiti scatenati dagli scagnozzi dello zar, delle rivolte a Mosca come in altre città dell’impero.
Si domandava se non fosse quello il primo fronte della rivoluzione mondiale e se il socialismo teorizzato da Marx non dovesse realizzarsi, prima che nelle società capitalisticamente sviluppate, in società economicamente arretrate e politicamente arcaiche, come la Russia e l’Italia.

L’Italia l’aveva lasciata a sei anni, nel 1888, dopo che Napoli era stata devastata dal colera.
Abbastanza fortunati da non morirne, ma non sufficientemente per sfuggire alla miseria, i suoi genitori avevano deciso di emigrare.

Una raffigurazione del colera a Napoli

Non direttamente in America, come la maggior parte degli emigranti, ma prima giunsero in Spagna, a Barcellona, poi in Francia, a Tolosa.
Era cominciata così la vita raminga di Edmondo, che a dieci anni già parlava tre lingue.
Meglio di tutte il francese, imparato nella Francia della Terza repubblica, che si vantava di premiare, se capaci, gli scolari delle famiglie povere.
Fin da allora Edmondo aveva sognato di sottrarsi al lavoro manuale, in bottega o in fabbrica, per guadagnarsi da vivere con un lavoro intellettuale. Giovanissimo, si era visto offrire da un capo del socialismo francese, Jules Guesde, l’opportunità di scrivere i suoi primi articoli di giornale.
Presto però aveva dovuto lasciare la Francia per evitare il servizio militare: pacifista convinto non voleva saperne della scuola di guerra.
Per le stesse ragioni aveva rinunciato a rientrare in Italia.
Ventenne, aveva preferito farsi disertore di due patrie e cittadino del mondo. 

Nel 1902 era poi sbarcato a New York, libero e senza un soldo: il suo primo lavoro americano fu di lift d’albergo.
E i suoi primi soldi gli servirono per scappare il più possibile verso occidente, verso un Far West da avventurieri o da cercatori d’oro.
Si ritrovò così a Seattle, fra portuali disoccupati, minatori alcolizzati e scommettitori.
Aveva presto rimediato un impiego come stenografo e guadagnato abbastanza per pagarsi una scuola d’inglese e poi, nel 1905, un biglietto per San Francisco.

Il tempo delle serate al Socialist Club di Oakland e delle nuotate con Jack London fu purtroppo interrotto dal terremoto di San Francisco del 1906. Allora Peluso si sentì pronto per la carriera da reporter.
In fondo, ormai l’inglese lo sapeva anche scrivere piuttosto bene.
Ritornò dunque a New York, e con la sua padronanza di quattro lingue convinse i capi dell’agenzia d’informazione United Press, a spedirlo come inviato nel Pacifico.
È quanto Peluso avrebbe raccontato vent’anni dopo, nella sua autobiografia a da lui pubblicata a Mosca in russo:

“Cittadino del mondo”.

Per traversare il Pacifico, il reporter dovette imbarcarsi come fuochista.  Prima di scoprire le città della Cina, delle Filippine e del Giappone, dovette scendere nelle viscere della nave Record e scoprire la vita di una sala macchine nell’età del trasporto a vapore.
Conobbe un’esistenza senza giorno e senza notte nelle caldaie, regno del carbone e delle ceneri.
Fu tra le cuccette della Record che ebbe la sua esperienza diretta e mondiale del proletariato.

Tutti i trentasei abitanti di questo alloggio formano un mondo a sé stante che presenta notevole interesse. Fra noi uno è un autentico americano, diciannove sono bianchi e gli altri sono di colore: otto malesi e sei neri”.

Correva il 1909 quando Edmondo giudicò arrivato il momento di rientrare in Europa.
Si fermò qualche mese in Portogallo, giusto il tempo di imparare un’altra lingua e di stringere contatti con i socialisti locali.
Andò poi in Spagna, dove si trattenne qualche mese, e da lì fece rotta su Parigi, dove riprese a scrivere corrispondenze per la United Press, riprendendo a militare nel partito socialista francese che ora si chiamava Sezione francese dell’Internazionale operaia, questo per dire quanto i socialisti transalpini pensassero oltre i limiti nazionali.
In Francia Peluso ritrovò Jules Guesde, che lo aveva spinto al giornalismo e conobbe un altro capo del socialismo mondiale, Paul Lafargue.

Jules Guesd fotografato da Nadar

L’incontro con il vecchio Lafargue e con la moglie Laura si sarebbe fissato nella sua memoria come la vera svolta della sua vita.
Ai suoi occhi di trentenne, Lafargue incarnava il prototipo del rivoluzionario di professione: nascita a Cuba da madre amerindo-mulatta e da padre ebreo, studi universitari a Londra, esilio in Spagna e Portogallo dopo la caduta della Comune parigina, prigioni in Francia…

Quanto a Laura era la nientemeno che la figlia di Karl Marx.
Insieme i due coniugi tradussero in francese i testi maggiori del fondatore del “socialismo scientifico”, e la loro casa rigurgitava di carte in tedesco con una grafia quasi indecifrabile: erano i manoscritti lasciati da Marx, il frutto intenso e misterioso di tutta una vita.

“Quando mi congedai da loro Laura Marx mi strinse più volte la mano e mi disse: fate bene a imparare la lingua tedesca, così potrete leggere tutte le opere di mio padre; questo vi avvicinerà a lui e voi potrete seguire meglio le sue indicazioni”.

Laura Marx e Paul Lafargue

Una mattina di qualche mese dopo Peluso lesse che i Lafargue, sempre insieme, si erano suicidati.
Ai loro funerali, il 3 dicembre 1911, un discorso energico fu tenuto, per conto del Partito operaio russo, da un esule destinato a farsi un nome nella storia della rivoluzione mondiale: Vladimir Il’ič Ul’janov, detto Lenin.

Ma a quel funerale Peluso non potè partecipare, perché, seguendo il consiglio di Laura studiare il tedesco per penetrare i testi del padre, il farlo era divenuto per lui una ragione di vita.
Si era trasferito a Berlino e tagliati i ponti con l’United Press, aveva scelto per sempre il campo del giornalismo marxista internazionalista.
E scelse anche il campo della militanza pacifista in un’Europa sempre più esposta a venti di guerra: il cittadino del mondo Peluso rimase refrattario a qualsiasi sirena bellicista.
Dal 1912 al 1915 Peluso poi abitò a Vienna, dove era corrispondente dell’Humanité: il quotidiano dei socialisti francesi.
Fu dunque dall’Austria che Peluso visse la duplice tragedia degli ultimi giorni di luglio e dei primi giorni di agosto del 1914.
L’assassinio prima del suo direttore, il pacifista Jaurès, ucciso a Parigi da un nazionalista ed il voltafaccia della Sezione francese dell’Internazionale operaia, che dopo anni di antimilitarismo presto si convertì alle ragioni della guerra patriottica, resero chiaro che Peluso fosse tra i pochi che non ci stavano.
Aveva letto abbastanza le opere di Marx per sapere che i proletari di tutto il mondo devono unirsi piuttosto che combattersi.

Nella primavera del 1915, venne arrestato per la sua attività di propaganda ai cancelli delle fabbriche della periferia di Vienna; libero dopo tre mesi di prigionia, raggiunse la Svizzera dove incontrò Lenin per la prima volta. Ancora non poteva sapere che nel 1917 Lenin sarebbe diventato il leader della rivoluzione d’ottobre.
L’intesa fra i due non fu facile, giusto come quella che dieci anni prima aveva legato Peluso e London.

Peluso era scettico intorno alla possibilità di trasformare la guerra imperialista in guerra rivoluzionaria.
Ma quando la rivoluzione scoppiò davvero in Russia, lui salutò con entusiasmo le imprese di Lenin che nel frattempo era rientrato a Pietroburgo.
E Lenin, a sua volta, raccomandò ai propri emissari in Svizzera di dare massimo spazio a quel propagandista così efficace:

Peluso può (e deve) scrivere 3 opuscoletti la settimana. Pagatelo bene e pubblicatelo dieci volte di più”!

Edmondo Peluso aveva coronato il suo sogno giovanile, era riuscito a vivere di un lavoro intellettuale: faceva il giornalista.
Sarebbe più esatto dire, però, che il suo mestiere era un altro: al pari di Lafargue, Peluso era ormai un rivoluzionario di professione.
Si manteneva grazie alla propria penna, ma impiegava quella penna al servizio di una causa, quella del socialismo, e da cittadino del mondo aveva rinunciato sia a una patria qualsiasi sia ad una vita privata.
Apparteneva a una specie nuova di esseri umani, che l’Ottocento aveva consegnato al Novecento: gli uomini (e le donne) che vivevano per la rivoluzione.

Lasciata la Svizzera dopo la fine della guerra mondiale, andò in Germania tra l’inverno del 1918 e l’autunno del ’19, in tempo per assistere alla repressione degli “spartachisti” tedeschi, che speravano di fare come in Russia.
Allora Peluso decise di rientrare, dopo decenni di lontananza, nel paese natale.
Viene segnalato il prossimo ritorno in Italia del pericolosissimo sovversivo Peluso Edmondo”, telegrafava ai prefetti delle province di frontiera il direttore generale della Pubblica Sicurezza, da Roma, nel novembre 1919. 

Arrestato come disertore per essersi sottratto, vent’anni prima, all’obbligo della leva militare in Italia, Peluso fu costretto a servire due anni nel Regio Esercito.
Punito per indisciplina, fece il giro dei penitenziari nelle isole del Mar Tirreno: Ponza, Gaeta, Santo Stefano, proprio quando nella penisola si andava consumando la lotta decisiva tra le forze progressiste e quelle della reazione fascista.

Edmondo Peluso durante il confino a Santo Stefano nel 1921

Nel 1921, riuscirà comunque a iscriversi tra i primi al neonato Partito comunista italiano a Livorno e, dismessa l’uniforme del soldato, riprenderà la penna del giornalista militante.
Dal 1922 al ’26 si muoverà avanti e indietro fra Roma e Mosca, tra l’universo fascista e quello comunista.

Visse ancora scrivendo articoli su articoli, nell’una o nell’altra lingua conosciuta, e cercando di sfuggire alle trappole politiche dell’uno o dell’altro Paese.
Cercava di sfuggire, in Italia, alle bastonate dei fascisti, in URSS agli intrighi e ai veleni che andavano rapidamente trasformando la costruzione del socialismo in una lotta per la sopravvivenza.
Dopo che Mussolini ebbe fatto del fascismo un regime, Peluso si stabilì definitivamente a Mosca e troverà lavoro all’Istituto Marx-Engels, la massima istituzione culturale dell’Unione Sovietica, quale direttore del dipartimento italo-spagnolo; poi anche come professore universitario di lingua e letteratura italiana.

1922 Mosca, IV Congresso IC: ritratto di Edmondo Peluso (a destra) e il georgiano Andrei Matveevich Lezhava. (Photo courtesy: Fondazione Gramsci)

Ma sempre più stretta si inizia chiudere intorno a lui la morsa del regime staliniano.
Funzionario dell’Istituto Marx-Engels, invano Peluso aveva accarezzato il sogno di diventare scrittore.
Eppure ne aveva la stoffa, come attestano certi meravigliosi suoi “Ricordi su Jack London”, pubblicati in francese nel 1934.
A partire proprio da quell’anno, nell’URSS di Stalin e delle purghe, nessun funzionario sovietico si trovò più al riparo dalla possibile accusa di essere un agente della controrivoluzione.

Arrestato senza motivo e ripetutamente torturato, Peluso fu condannato alla deportazione in Siberia, ma rifiutò sempre di confessare colpe che non aveva
Discutendo con i compagni di prigionia, osò denunciare la trasformazione dell’Unione Sovietica in un regime oppressivo e folle, che nulla aveva di autenticamente socialista.

Edmondo Peluso nel 1933

Fu ucciso a Krasnojarsk, nella Siberia meridionale, il 6 marzo 1942, un mese dopo avere compiuto sessant’anni.
Solo con Krushev verrà completamente riabilitato quale componente esemplare del mondo socialista e sovietico.

Bibliografia:

Romolo Caccavale, Comunisti italiani in Unione Sovietica: proscritti da Mussolini soppressi da Stalin. Mursia,1995.
Elena Dundovich e Francesca Gori, Italiani nei lager di Stalin. Laterza, 2006.
Giancarlo Lehner, La tragedia dei comunisti italiani: le vittime del Pci in Unione Sovietica. Mondadori, 2006.
Didi Gnocchi, Odissea rossa. Einaudi, 2001.
Sergio Luzzatto, Una febbre del mondo. Einaudi, 2015.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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