Nel novembre del 1962 ad Albaro, un quartiere di Genova, due ragazzi stavano buttati sul divano.
Uno dei due tirò fuori la chitarra e provò qualche accordo: era Fabrizio De André.
Aveva già scritto qualche canzone ma lo conoscevano in pochi, “Marinella” sarebbe arrivata più tardi.
L’altro ascoltava e tirò fuori un taccuino, provando a buttare giù qualche verso.
Era Paolo Villaggio, che quel giorno iniziò a scrivere il testo di quella che sarebbe diventata una delle canzoni più belle e divertenti di sempre: “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”.
Amici, quasi fratelli, Paolo e Fabrizio si erano conosciuti molti anni prima in montagna, a Cortina, nel 1948.
Villaggio era “un ragazzino incazzato che parlava sporco”, diceva De Andrè. “Gli piacevo perché ero tormentato, inquieto ed egli lo era altrettanto, solo che era più controllato” replicava Paolo.
Ribelli, in due famiglie della Genova bene, i due non si separarono più.
Paolo con la sua dissacrante e grottesca ironia, è stato uno dei primi in Italia che è riuscito a far riflettere sui problemi della nostra società.
Era nato il 30 dicembre 1932 a Genova, gemello di Piero Villaggio, poi docente in varie università, e durante l’infanzia aveva vissuto il dramma della Seconda Guerra Mondiale.
Il padre si chiamava Ettore ed era un ingegnere edile palermitano, mentre la madre Maria, originaria di Venezia, era un’insegnante di lingua tedesca.
Frequentò il liceo classico “Andrea Doria” e suo compagno di classe fu anche l’ex presidente della FIAT, Paolo Fresco.
Dopo il diploma di maturità si iscrisse a Giurisprudenza per ritirarsi poco dopo.
Negli anni Cinquanta e Sessanta passò da un lavoro all’altro: cameriere, speaker per la BBC a Londra e cabarettista sulle navi da crociera, in coppia con l’amico di tutta una vita, Fabrizio.
Fu anche impiegato in un’azienda di progettazione industriale italiana, la Cosider, nella quale fungeva da addetto all’organizzazione di eventi aziendali, tra i quali lo scambio di doni natalizi tra dirigenti e la premiazione dei dipendenti meritevoli.
Fu proprio a questa esperienza lavorativa che Paolo Villaggio si ispirò più tardi per la creazione del personaggio del ragioner Ugo Fantozzi, che lo renderà popolarissimo, e del suo disumano mondo aziendale.
Nel 1954 conobbe Maura Albites, che verso la fine degli anni cinquanta divenne sua moglie e con la quale ebbe due figli: Elisabetta e Pierfrancesco.
Le prime esperienze artistiche di Paolo Villaggio, come accennato, risalivano a metà anni Cinquanta, quando entrò a far parte di una compagnia teatrale di Genova, in veste di autore dei testi e di presentatore.
Durante una delle sue esibizioni venne notato da Maurizio Costanzo, il quale lo fece debuttare nei più noti locali di cabaret dell’epoca, come il “7×8” di Roma e il “Derby Club” di Milano.
Il 1968 fu l’anno della definitiva svolta per Villaggio: fece il suo debutto prima in radio ne “Il sabato del Villaggio”, poi in televisione nei panni di conduttore del varietà “Quelli della domenica”, in cui i suoi cavalli di battaglia erano personaggi aggressivi, vili e sottomessi, interpretati da lui stesso.
Prima di queste macchiette era quella del Professor Kranz, “tetesco di crante Cermania”, un impacciato prestigiatore teutonico che inscenava trucchi maldestri puntualmente scoperti dal pubblico.
I suoi modi bruschi e il continuo interagire con il pubblico, a volte anche con ostentata villania, erano delle assolute novità nel panorama italiano, che lo consacrarono come un personaggio di rottura rispetto alla tradizione comica italiana, impregnata del perbenismo imperante in quella Rai.
Poi arrivarono i personaggi di Giandomenico Fracchia e di Fantocci, che poi diventerà Fantozzi, che trovarono nella televisione la loro definitiva consacrazione.
Dal set televisivo passò poi alla macchina da scrivere, facendo pubblicare da L’Espresso e da L’Europeo i suoi brevi racconti incentrati sulla figura del ragionier Ugo Fantozzi, uomo dal carattere debole, perseguitato dalla sfortuna e dal “megadirettore galattico” della “megaditta”, nella quale il poveretto lavorava.
Ebbe inizio così una lunga carriera fatta di successi e soddisfazioni.
Negli anni a venire presentò numerosi altri programmi televisivi, tra cui l’edizione del 1972 del Festival di Sanremo, insieme a Mike Bongiorno e Sylva Koscina.
Negli anni Settanta fece il suo esordio letterario, che divenne anche cinematografico coi film dedicati al suo personaggio più celebre: il ragionier Fantozzi.
Grazie a Paolo sono entrate nel bagaglio lessicale dell’italiano medio espressioni come “Mi si sono incrociati i diti”, “Come è umano lei”, oltre agli aggettivi “fantozziano” e all’espressione “alla Fantozzi”, tutte forme usate per indicare esperienze, atteggiamenti o situazioni nati male e finiti peggio.
Fantozzi rappresentava l’italiano medio degli anni settanta: piccolo-borghese, con uno stile di vita anonimo (niente laurea, lavoro da impiegato, casa in equo canone, ecc.), che metteva davanti alla macchina da presa le ansie, le frustrazioni e le “perversioni” di un’intera classe di lavoratori.
Al primo film comico “Fantozzi”, seguirono, dal 1976 al 1999, ben altre nove pellicole incentrate su questo grottesco personaggio.
Oltre a Paolo Villaggio, sono divenuti storici anche i volti degli altri protagonisti della saga fantozziana: Gigi Reder (il ragionier Filini), Anna Mazzamauro (la Signorina Silvani), Milena Vukotic (La Signora Pina), Giuseppe Anatrelli (Il Geometra Calboni) e Plinio Fernando (La piccola Mariangela Fantozzi).
Non esaurendosi con la sola vena comica, Villaggio si è distinto anche in ruoli cinematografici più impegnati, che furono acclamati dalla critica, in film come “Io speriamo che me la cavo”, “Il segreto del bosco vecchio”, “Cari fottutissimi amici” e tanti altri.
Nel 1977 interpretò la parte di un factotum di un’impresa del nord che si spostava negli Usa per svolgere un lavoro; in “Sistemo l’America e torno” di Nanni Loy, fu protagonista di un film antirazzista, di amara denuncia sociale.
La trama, in sostanza era questa.
Trovandosi negli Stati Uniti per curare alcuni affari del proprio datore di lavoro, un commendatore di Busto Arsizio, Giovanni Bonfiglio veniva incaricato dal suo superiore di ingaggiare, con il supporto del procuratore americano Alex Biondi, un promettente cestista americano di colore, Ben Ferguson, da far giocare nella propria squadra di basket.
Il giovane, che parlava l’italiano, si mostrava però riluttante a partire, portando però Bonfiglio a fare un lungo giro degli Stati Uniti.
Ovunque i due si spostassero, Bonfiglio assisteva all’emergere di un razzismo diffuso tra la popolazione bianca.
L’ostilità della polizia, la portava a devastare una mostra d’arte a Detroit; i genitori bianchi attendevano l’uscita da scuola dei figli tenendosi distanti da quelli di colore; un ospedale non accetta un paziente afroamericano.
Tutto questo naturalmente presente oltre l’abituale degrado in cui vivevano i colored, fatto di povertà e disoccupazione vissute in quartieri fatiscenti.
Ferguson accettava finalmente di partire per l’Italia, ma Bonfiglio gli concedeva di disputare un’ultima partita con la sua ex squadra, ad Atlanta. Durante la partita, i cestisti di colore interrompevano il gioco, ed apostrofavano duramente gli spettatori, accusandoli con il resto della società statunitense di considerarli utili solo nello sport, per poi trattarli da inferiori nella vita di tutti i giorni.
Il pubblico, stizzito per la protesta, invadeva il terreno di gioco, facendo scoppiare una rissa, nel corso della quale Ferguson rimane ucciso.
Bonfiglio tornava così in Italia senza il campione, versando lacrime durante il viaggio di ritorno in aereo, lacrime per quello che ormai era diventato un suo amico.
In quasi cinquant’anni di carriera Villaggio è stato diretto da grandi registi italiani, nomi del calibro di Mario Monicelli, Marco Ferreri, Nanni Loy, Pupi Avati, Luciano Salce, Luigi Comencini, Ettore Scola, Steno, Federico Fellini, Maurizio Nichetti e Gabriele Salvatores.
Ha inoltre recitato al fianco di attori famosi come Enrico Montesano, Stefania Sandrelli, Gigi Proietti, Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Catherine Deneuve, Catherine Spaak, Lino Banfi, Renato Pozzetto, Alessandro Haber, Enrico Maria Salerno, Carlo Verdone e tanti altri.
Fellini lo volle, con Benigni, nel suo ultimo film “La voce della Luna” nel 1990.
Nel 1995 è stato insignito del titolo di Commendatore al Merito della Repubblica Italiana su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Nella sua carriera ha vinto due David di Donatello, un Leone d’Oro alla carriera, un Nastro d’argento nel 1992.
Ha recitato in oltre settanta pellicole.
E’ stato anche un valido attore di teatro: sotto la regia di Giorgio Strehler, nel 1996, ha infatti interpretato in teatro il ruolo di Arpagone nell’”Avaro” di Molière.
Dalla stagione teatrale 2000-2001 in poi, ha più volte portato in scena il monologo autobiografico “Delirio di un povero vecchio”.
Dal 2007 ha portato in scena “Serata d’addio”, un monologo diviso in tre atti, ispirato a “Il tabacco fa male” di Anton Cechov; “Una vita all’asta”, spettacolo ispirato a “Il canto del cigno”, sempre di Cechov, e “L’ultima fidanzata”, ispirato a “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello.
Rivisitati nel suo stile unico, questi lavori fondevano forte drammaticità e disincantata ironia.
Paolo Villaggio è stato anche un più che discreto paroliere di canzoni e appassionato di musica.
Su tutti, sono due i brani che hanno fatto la storia di un altro incredibile personaggio, ovvero Fabrizio De Andrè, uno dei migliori amici di Paolo.
“Il fannullone” e soprattutto il già citato “Carlo Martello ritorna dalla Battaglia di Poitiers”: sono le due canzoni che Paolo scrisse con l’amico Faber, ancora poco conosciuto prima della consacrazione di Marinella.
Ne “Il fannullone” si raccontava la storia di un uomo che dormiva di giorno e viveva di notte, raccontando storie e cercando di fuggire il logorio e la banalità moderni.
La seconda invece era una delle più irriverenti ballate contro il potere, rappresentato dal re francese Carlo Martello.
Fin dall’infanzia, a differenza di Fabrizio, che tifava Genoa, Villaggio è sempre stato un grande tifoso della Sampdoria.
l’11 gennaio del 1999 Faber morì e tutta Genova rimase in silenzio.
Sugli autobus, sui banchi dei mercati, nelle scuole tutti dicevano: “È morto Fabrizio”.
Quando il feretro arrivò alla basilica di Carignano chinarono tutti la testa, senza dire una parola.
Erano nel piazzale da ore ad aspettare, nonostante il vento e il freddo di gennaio e c’era il loro amico Don Gallo, il prete da marciapiede, “la cosa più vicina all’anarchia che la chiesa abbia mai prodotto”.
Ovviamente c’era anche Villaggio.
Lui quel giorno disse:
“per la prima volta, ebbi il sospetto che un funerale di quel tipo, con quell’emozione, con quella partecipazione di tutti, non l’avrei mai avuto”.
Confessò che a Fabrizio avrebbe voluto dire: “Guarda che per te ho avuto invidia, per la prima volta, di un funerale”.
A partire dagli anni Duemila, Paolo Villaggio ridusse molto l’attività cinematografica e televisiva, intensificando invece quella di scrittore.
Nel corso della sua carriera ha pubblicato ben 25 libri.
Negli anni Settanta il suo libro “Fantozzi” diventò un autentico bestseller, con più di un milione di copie vendute, e riscosse un grande successo anche all’estero, con traduzioni in varie lingue.
Il personaggio ebbe una sorta di trionfale riscontro anche nell’Europa orientale, e perfino in Unione Sovietica, nella quale Villaggio vinse il “Premio Gogol” come “miglior scrittore straniero”, un successo attuale se si pensa che la celebre frase su “La corazzata Potëmkin” (“è una cagata pazzesca!!”) fa ancora parte della memoria del pubblico russo.
Del resto l’attore aveva una discreta somiglianza con il collega lituano Donatas Banionis, uno dei maggiori interpreti del cinema e del teatro sovietico, noto in Italia come il protagonista del film Solaris di Tarkovskij (1972), che lo doppiava nei film.
Tra i molti scritti di cui fu autore, ricordiamo, oltre alla saga di Fantozzi, la “Storia della libertà di pensiero”; “Storie di donne straordinarie”; “Mi dichi. Prontuario comico della lingua italiana” del 2011, oltre al celebre libro a falsi quiz, “Come farsi una cultura mostruosa”, che tutte le generazioni tra gli anni Settanta e gli Ottanta ben conoscono, ricordando i pomeriggi passati a leggerlo insieme, sbellicandosi.
Paolo Villaggio è venuto a mancare il 3 luglio 2017, alle 6,00 di mattina, a 84 anni di età.
Aveva trascorso gli ultimi mesi presso una clinica di Roma dove era ricoverato dagli inizi di giugno per complicazioni derivanti dal diabete che lo affliggeva da diversi anni.
Negli Anni Ottanta, l’attore-scrittore aveva vissuto per parecchio tempo a Sori, avendone anche la residenza per un periodo.
Le sue ceneri sono state sepolte proprio di fronte al mare, nel piccolo cimitero di Sori, nella sua Liguria, vicino ai suoi genitori.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.