Prima Parte
di Francesca Suale
Siamo particolarmente orgogliosi di proporre nuovamente, per chi la scorsa estate l’avesse perso, la prima parte di un breve racconto, vincitore di un premio letterario nel 2003, scritto dalla nostra Francesca Suale.
Si potrebbe definire una favola allegorica, non priva di spunti di riflessioni e di immagini poetiche, che scivola via con estrema leggerezza.
La prossima settimana pubblicheremo la seconda ed ultima parte.
Siamo certi del vostro apprezzamento.
Buona lettura.
C’era una volta un lago che divideva una regione in due parti esattamente identiche per dimensioni. L’una abitata, popolosa chiassosa, ridente e stridente per suoni, feste, lazzi e sprazzi, musiche assordanti mescolate a canti festosi o a nenie cantilenanti per ispirare il sonno dei bimbi;
l’altra, denominata “riva spenta”, era disabitata, silenziosa, quasi addormentata. Niente canti, risa, sprazzi e nenie, ma neanche un dolore, pure quello era completamente assente.
La riva spenta sembrava cristallizzata nel tempo, tanto era immobile, avvolta da una luce insolita, forse perché mai attraversata dagli sguardi, mai interpretata da alcun sentimento umano.
Ogni tanto la barca di qualche abitante dell’altra sponda si avventurava, placidamente cullata dalle onde del lago, si avvicinava appena a quella riva, ma decideva quasi sempre nello stesso identico punto di lago, quasi vi fosse un confine sbarrato da una linea invisibile e invalicabile, di tornarsene lestamente indietro a colpi di remi, abbandonando ambizioni di gloria, velleità da avventuriero esploratore, sogni sospesi ai silenzi interminabili di quella immobilità assoluta, per rituffarsi a capofitto nel chiasso di tanta vitalità che tutto fagocitava nella riva opposta.
Eppure tutti sapevano, vuoi per una leggenda, vuoi per alcuni messaggi di fumo inviati molto saltuariamente e per un piccione viaggiatore che ogni tanto faceva la spola da una parte all’altra del lago portando dei messaggi, che quella landa silenziosa era abitata da un mago, un tipo solitario che tutti pensavano, a ragion veduta, essere un misantropo o un eremita, forse un uomo talmente brutto e malvagio da vergognarsi a tal punto da preferire l’isolamento assoluto e quell’assenza interminabile.
Così lo immaginavano, quanto a vederlo poi non lo aveva visto nessuno, giacché la sua presenza, fatta eccezione del messaggio di quel piccione viaggiatore o dei segnali di fumo, peraltro misteriosi e di dubbia interpretazione, non la poteva testimoniare nessun essere vivente.
Il primo messaggio arrivò circa 20 anni fa, quando tutti stavano festeggiando il Capodanno, a mezzanotte in punto il piccione atterrò con un po’ di fiatone sulla sponda chiassosa, molto spaventato dai fuochi d’artificio e con la punta delle ali un po’ bruciacchiata.
Il Sindaco in persona tolse il biglietto legato alla zampetta del volatile e con fare autorevole ne lesse il contenuto ai presenti:
“Cari signori abitanti della riva opposta alla mia, sappiate dunque che io ho sconfitto il tempo, che non ci sono Capodanni, compleanni, orologi nel mio regno… perché il tempo è una vostra invenzione ed io non me ne curo!”
Firmato: il Mago della riva spenta.
Tutti rimasero sorpresi e attoniti, tant’è che il Sindaco in persona, appena si fu ripreso, inviò la sua nota di replica a mezzo piccione bruciacchiato dalle festose scintille di poco prima:
“Caro Signor Mago della riva spenta, non vi saranno compleanni Capodanni né orologi nel suo regno, ma il sole vi sorge comunque e vi tramonta… dunque il tempo vi trascorre suo malgrado”
Firmato: il Sindaco dell’altra sponda.
Dopo circa due anni giunse la tanto attesa risposta, quando ormai tutti avevano quasi perso la speranza, tanto da supporre che il mago in questione non avesse affatto la medesima cognizione del tempo dei comuni mortali.
Che egli avesse dovuto meditare tanto a lungo sulla risposta da inviare, sino a impiegare due lunghi anni di tempo?
Questo nessuno poteva saperlo, fatto sta che il piccione, un tantino invecchiato, ma con le ali tornate come nuove, atterrò un pomeriggio d’agosto tra i bagnanti che sulla spiaggia del lago si abbronzavano beatamente, e subito fu preso e condotto dal Sindaco, che anche stavolta in pompa magna, indossando la fascia d’ordinanza, rese pubblico il contenuto del messaggio, affacciandosi dalla finestra del Comune:
“Giorno e notte si alternano inevitabilmente anche sulla mia riva, ma ne tralascio l’inutile conteggio! Io non mi affanno a scandirne il passaggio!
Voi misurate solo attimi e li chiamate “il Tempo”, io vivo l’immobilità infinita di ciò che è chiamato “l’Eternità””.
Firmato: il Mago della riva spenta.
Inutile dire che il Sindaco e tutti gli abitanti rimasero a lungo in silenzio, in effetti il silenzio durò due soli minuti ma vi premetto che mai silenzio era stato più duraturo in quella regione del paese… due minuti così assorti che forse valevano tutti i due lunghi anni chiassosamente trascorsi nell’attesa di una risposta, o forse anche di più. Dopo di che il Sindaco si accinse alla risposta, comunicandolo poi a tutti gli abitanti della sua sponda di lago:
“Caro signor Mago della riva spenta, dunque lei rinuncia ai suoi attimi per l’Eternità?”
Firmato: il Sindaco dell’altra riva.
Il piccione riprese il volo, piuttosto contento, pregustando la gioia di almeno altri due anni di riposo, il che rendeva il suo lavoro molto gradevole.
Invece di anni stavolta ne passarono quattro e, quando ormai nessuno si aspettava più un altro messaggio di replica, il piccione viaggiatore atterrò, piuttosto stancamente, una mattina d’autunno, tra il fogliame colorato degli alberi che formava un tappeto scricchiolante sulla strada.
Subito venne preso e condotto dal Sindaco, che si affrettò a dare lettura della risposta sempre più tardiva del mago:
“Si signor Sindaco, saggiamente rinuncio ai miei attimi e allo strenuo rincorrerne che rende alla vita affanno e rimpianto, perché ogni attimo svanisce nel momento esatto in cui lo vivi e lascia dietro di sé la temporale certezza che non tornerà più, per non parlare poi del rammarico di un dopo che non accadde prima e di un prima che invece sarebbe dovuto accadere dopo.
Eccolo il vostro Tempo e i suoi scherzi crudeli, dunque tenetelo per voi!”
Firmato: il Mago della riva spenta.
Inutile dire che questa volta il silenzio di tutti gli abitanti, Sindaco compreso, durò ben 4 minuti che sembrarono interminabili, come se improvvisamente quella sponda del lago si fosse spenta anch’essa.
Persino gli orologi smisero il consueto ticchettio e le foglie degli alberi, dimentiche della stagione autunnale, non osarono staccarsi dal ramo durante quei fatidici 4 lunghi minuti, trascorsi i quali il Sindaco, con un colpetto di tosse, per darsi un contegno, si apprestò, con carta penna e calamaio, a rispondere alla missiva del mago:
“Sentitamente mi rammarico dei suoi rammarichi di temporale natura, ma quale giovamento può porvi la vostra Eternità così immobile, che a me pare essere una estrema privazione?”
Firmato: il Sindaco dell’altra riva
Questa volta il piccione viaggiatore fu rifocillato per bene perché riuscisse a prendere il volo, e ciò nonostante a fatica si rimise in viaggio verso la riva spenta, con la lentezza imposta dalla sua età avanzata, così che tutti si chiesero se sarebbe sopravissuto sino alla replica del mago.
Questa volta infatti trascorsero sei lunghi anni, tra suoni canti balli pianti risa strazi sprazzi lazzi, di quella movimentata sponda, che quasi non si accorse del loro trascorrere, se non per qualche rammarico di temporale natura che ogni tanto coglieva alla sprovvista gli abitanti, tra un sospiro e un lamento, assorbito come sempre dalla repentina irruenza del frastuono di quella riva fagocitante tutto.
Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale
Forse verrò smentito nelle parti successive del racconto, la prima parte mi ha fatto venire in mente il libro “Catastrofi” di Mario Tozzi dove descrive come si siano salvate dallo tsunami, quelle popolazioni rimaste in simbiosi con l’ambiente, quindi a carattere naturale e umano. Gli altri i dis-umani hanno perso il segnale di pericolo, il cambiamento in atto, il pericolo e sono stati travolti e spazzati via dalle onde anomale. Il tempo è una convenzione, così come il potere, l’economia e la politica, spesso usati per sottomettere o distruggere i propri simili, in modo disumano. Spesso per non voler sentire la propria anima, desideri, sogni ci si stordisce in vario modo, uno di questi è il rumore, il chiasso, lo schiamazzo o peggio i fuochi artificiali che spaventano e uccidono animali… ma restando all’articolo che sicuramente incuriosisce, per le prossime puntate, il tempo è un’opinione , una convenzione. Non è detto che la scelta di vita della maggioranza sia giusta rispetto alle minoranze oppure che lo siano le loro convinzioni, come ha dimostrato, a rischio della propria vita, chi ha spiegato che la terra non è piatta. Così come chi sta bene da solo, chi sa leggere dentro di sé sa comprendere gli altri anche solo guardandoli, senza chiasso e clamore… Chi non sa stare in silenzio o da solo quasi sempre non sa capire se stesso
Questo commento è da incorniciare…
Grazie Giorgio Libralato