Protomania

Tutti i crocieristi del “Complesso di Edipo” rimasero intrigati dalla notizia che il sagrestano Ducco aveva dato a Lallo e quasi subito si ritrovarono tutti insieme a parlarne sul ponte, compresi i fratelli Taruffi che non avevano vissuto di persona l’avventura dei martiri inquieti.
Gli altri, nessuno escluso, ricordavano bene i giorni, non lontani, di Strappoli di Sotto: al di là del mistero dei martiri vaganti, si erano divertiti moltissimo in quel paese, scoprendone le particolarità non comuni e le tante caratteristiche positive.

Tarallo, serio e circostanziato, li aveva messi al corrente dei fatti che aveva appreso:

“Non è più la poltrona Onyric l’obiettivo dell’evaso, il martire Proto: Ducco, infatti, ne ha il pieno controllo e, semmai, ne fa un uso fin troppo personale, visto che la settimana scorsa mi ha mandato il demo di una lagnosissima versione di “Nessuno mi può giudicare” cantata da Lucrezia Borgia.
Quella signora, che lui ha voluto assolutamente conoscere per mezzo della poltrona, si è messa in testa chissà cosa: vorrebbe provare a sfondare come cantante ed ha convinto Ducco, posso bene immaginare come, a fargli da impresario!”

Lucrezia

“Tu non sai quanto è dolce – mi ripeteva il sacrestano al telefono – nessuno l’ha mai voluta comprendere!”

“E io gli dicevo: sì Donaldo, quello che vuoi, ma intanto sta’ attento a quel suo ossobuco di cui mi hai detto meraviglie!”

“Dai Lallo, lo sai benissimo che la faccenda dei veleni è una bufala e che quella di Lucrezia è la perfetta figura di vittima di giochi di potere: è stata un’eterna calunniata della storia!”

Così, decisa e fiera, era intervenuta Consuelo.

“D’accordo, d’accordo, scusami amore mio – si affrettò a ritrattare Tarallo abbacinato dalla sua compagna – l’ho fatto solo per amor di battuta, ho letto un paio di libri e conosco la verità storica sulla poverina.
Ma ora il punto è un altro: ce la sentiamo di dare una mano a Ducco nel ritrovare quest’accidenti di evaso aureolato?
Non sarà facile e forse ci vorrà molto tempo per riagguantarlo, perché questi martiri possono godere dell’aiuto e della complicità potenziale di un numero imprecisato di colleghi, piazzati nei quadri di tutto il mondo!”

Proto, il martire in fuga

Fu il Prof Cervellenstein il primo a rispondere:

“Non mi dispiacerebbe riposare un po’ e lasciare il timone a Mastro Pippa per qualche giorno, a patto, naturalmente, che Cleofe venga con noi, per non riportare la libido del poveraccio in modalità manuale”.

“Ma io vengo volentierissimo: non vedo l’ora di riprendere le nostre chiacchiere di donne con Berenice!”, strillò Cleofe entusiasta, alludendo alla Passalà, la vecchia vistosa e rampante, proprietaria della “Pensione La Rossa”, con la quale la matura segretaria aveva stretto amicizia quando tutti loro erano ospiti di quella equivoca locanda, infilando con lei una serie di discorsi da far arrossire un magnaccia di lungo corso.

“Certo – riprese Lallo – non è detto che Proto sia ancora a Strappoli, può essersene allontanato.
Penso che con una certa probabilità sia rimasto in zona, per cui immagino che dovremo stabilire la nostra base in paese, come l’altra volta
”.

Berenice Passalà, detta “La Rossa”

“Ma come può essersi allontanato da Strappoli uno combinato in quel modo? In pullman? In autostop? Ma ce lo vedete voi? E poi, ce l’ha la testa? Che io sappia, Proto venne decapitato presso la Rocca di Balai Lontano, un posto che si trova subito dopo l’Usilesu, in Sardegna”.

Così, non senza una base di sensatezza ed una sorprendente conoscenza della martirologia cristiana, intervenne Abdhulafiah, distraendosi solo un attimo dalla contemplazione dell’angelica Trudy.
Gli rispose il Prof. Cervellenstein, che anni prima si era dedicato a profondissimi studi sulla psicologia del martirio e sulla pulsione a tatuarsi:

“Sì, la testa ce l’ha perchè è stato dipinto così, com’era prima che lo decapitassero.
In ogni caso, non è la prima volta che Proto se la batte: anche da vivo riuscì a filarsela una volta.
Lui, forse non lo sapete tutti, era un presbitero romano di Porto Torres, che nel terzo secolo fu catturato insieme al diacono Gianuario.
I due erano sorvegliati da uno sgherro al soldo del persecutore Diocleziano, un tale Gavino. Si sarebbe detto che se la stessero passando male perché quotidianamente nella loro prigione, una grotta priva dei servizi, arrivava una squadra di specialisti in martirizzazione.
Il loro carceriere, costretto ad assistere alle antiestetiche sedute, rimase invece meravigliato dal fatto che i due la prendessero bene al punto che, pure sotto atroci torture, come se la cosa li toccasse poco, essi cantassero volentieri le lodi del Signore.

Gavino

Questo Gavino era, tra l’altro, un tipo un po’ ruvido e non conoscendo nemmeno uno di quei testi, non riuscì a cantarli con loro, così quell’orco si sentì in imbarazzo, si commosse, si convertì al volo e, alla prima occasione, li fece fuggire.
Non fu però una grande evasione: pare che il povero sgherro convertito venisse subito individuato e decapitato, ma che anche gli altri due non riuscissero a farla franca per molto.
Le testimonianze e le ricostruzioni fanno un po’ di confusione a riguardo, ma quello che è sicuro è che le teste di tutti e tre i protagonisti della fuga, quella cioè del carceriere pentito e dei martirizzati canterini, furono ripescate in mare assieme ai loro corpi.
Le reliquie di Proto e Gianuario sono oggi conservate nella cripta della Basilica di San Gavino, San Proto e San Gianuario a Porto Torres, conosciuta da tutti semplicemente come Basilica di San Gavino”.

“Forse dico una scempiaggine – disse a quel punto lo stizzoso Tressette – ma non potrebbe essere che Proto se l’è presa perché, proprio in casa sua, a Porto Torres, la Basilica è stata intestata prima a Gavino che a lui e perché tutti la chiamano così?
Lo capirei pure: ma come, io cerco deliberatamente il martirio, facendo lavorare fior di professionisti di Diocleziano, tu invece ti ci trovi tirato dentro un po’ per caso perché sei solo un agente di custodia ed è proprio a te che dedicano lo chiesone? E che c…!!

Basilica di San Gavino a Porto Torres

Magari si è incazzato per quello, ma anche perché in Sardegna quelli che non si chiamano Efisio, diventano tutti dei Gavino e invece quasi nessuno mette nome Proto ad un figlio maschio.
Se si è irritato c’è da capirlo, dopo tutto era lui, insieme con Gianuario (che peraltro, poveraccio, nessuno si fila), che cantava mentre lo torturavano: quell’altro si era limitato a stupirsi e a convertirsi senza fare una sola nota, accidentaccio!”.

“A parte che Proto come nome per un maschietto non è il massimo, ma Gavino è quello che comunque li ha fatti filare, o no?”,

disse Consuelo di rimando.

“Non mi pare una questione fondamentale, da porre ora, l’ipotizzare spericolatamente i moventi di un fugone che per il momento restano ignoti –lo Psicologo riportò il dibattito su toni più giudiziosi– cerchiamo piuttosto di arrivare a Strappoli, più presto che si possa, per cominciare le ricerche. Migliaia di serie televisive poliziesche e gli imprescindibili studi di Federica Sciarelli sul punto, ci dicono, infatti, che nel risolvere i casi di sparizione sono fondamentali le prime quarantotto ore”.

Mastro Pippa, ripresosi completamente e tornato a fidanzarsi coi potenti motori dello yacht, rimase così solo, ancorato al porticciolo di… mentre tutta la tribù raggiungeva il paese sede dei fatti.
Nella canonica di Santa Abbondanziana Martire li accolse un affranto Don Oronzo Sardanapali, il parroco.
Rispetto solo a qualche mese prima il sacerdote appariva invecchiato, sofferente ed incanutito: essere costretto continuamente ad inseguire i capricci dei martiri, evidentemente non aveva giovato alla sua salute, che pareva esserne stata incrinata.
Come gli sembravano lontani i tempi in cui la sua fibra era proverbialmente salda, così forte da far dire agli strappolesi, soprattutto a quelli sofferenti di calcolosi:

“Noi semo de preta, porco sia lo mondo, ma Don Oronzo, lo prete, è fatto de bronzo!”.

“Che disastro, che disastro amici cari!”: con queste drammatiche lamentazioni, esordì accogliendoli il bravo parroco.

Don Oronzo Sardanapali

Prima di quell’incontro, i membri della tribù Tarallo si erano visti con Donaldo Ducco da Medardo, il caffè alternativo del paese, e in quella sede, mai domata dalla pandemia, le mascherine danzarono mosse dai respiri corti e affannosi dei clienti: non erano certo passate inosservate due bellezze siderali come Trudy Taruffi e la sublime Consuelo.
Il sagrestano, che indossava vistosi occhiali da sole col simbolo del dollaro placcato in oro sulle stanghette, dal canto suo aveva fatto di tutto per dare nell’occhio: la sua camicia gialla col wombato stampato sopra, era tutto fuorché discreta, ma era soprattutto la sua accompagnatrice ad essere combinata in un modo che pretendeva assoluta attenzione.

Donaldo Ducco

Era una brunetta non molto alta, caruccia, coi lineamenti delicati ed una voce assai musicale: parlava con un accento vagamente gutturale, che ad un orecchio esperto avrebbe fatto pensare ai Paesi Bassi.
Le donne della compagnia, soprattutto un’occhiuta Cleofe, dopo un primo istante di assoluto stupore, l’avevano squadrata con la severità tradizionale che le donne riservano alla mise di altre donne.
La signora le aveva stupefatte perché, di mattina e in un posto così poco informale come il “Medardo, Caffè e Biliardo”, i cui frequentatori meglio vestiti venivano scambiati per stradini, quella si era presentata vestita come una danzatrice orientale, più o meno come uno l’avrebbe immaginata oltre un secolo prima.
Era una tenuta audace che lasciava intravedere molte parti di un corpo candido e apparentemente innocente.

Mata

Ducco la presentò agli amici come Margherita, ma lei, salutando tutti con una voce così bassa e sensuale da far rizzare ogni pelo, e perfino ogni porro, ai presenti maschi, disse sorridendo:

“Chiamatemi semplicemente Mata”.

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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