Georg Händel è stato, con Johann Sebastian Bach e Georg Philipp Telemann, tra i più importanti musicisti tedeschi dell’epoca barocca.
Nacque ad Halle in Sassonia il 23 febbraio 1685, mostrando molto presto ottime doti artistiche e iniziando quindi a studiare nel 1696 presso l’organista e compositore Wilhelm Zachov.
Approfondì il contrappunto e fece pratica nell’uso di organo, clavicembalo, violino ed oboe.
Alla morte del padre, Georg s’iscrisse al ginnasio e nel 1702, controvoglia, alla facoltà di giurisprudenza.
Si trasferì quindi da Halle nella culturalmente più vivace Amburgo dove nel 1703 entrò come violinista nell’orchestra del teatro della città.
Trascorse gli anni tra il 1705 e il 1710 in Italia, trascorrendovi un periodo decisivo per la sua formazione e la sua maturazione artistica.
Visitò Firenze, Roma, Napoli e Venezia, dove nel 1709 venne rappresentata la sua opera “Agrippina”.
Studiò i classici della musica ed estese le proprie conoscenze allo stile cantabile italiano, accostandosi alla cantata, all’opera e all’oratorio.
Nel 1710 subentrò a Steffani come maestro di cappella del Principe Elettore Giorgio di Hannover.
Questa nomina fu una svolta per la carriera di Händel che dopo il viaggio italiano, era impegnato a crearsi una buona posizione professionale.
Ricco di ambizione, abbandonò presto la piccola corte di Hannover puntando sulla più interessante Londra.
La capitale inglese sarebbe stata per lui un banco di prova per la rappresentazione della sua opera “Rinaldo”, che risultò un trionfo.
Londra aveva una grande tradizione nel teatro, da Shakespeare a Marlowe, ma non una altrettanto autorevole nel canto recitato e nella musica sacra. Händel divenne quindi uno stimato rappresentante dello stile italiano, svolgendo attività operistica con ruoli sia di compositore che di impresario.
Nel 1720 assunse la direzione artistica della neonata Royal Academy of Music sovvenzionata dal re. Entrata poi in crisi l’Accademia, gestì il prestigioso Covent Garden (1734-1741).
Molti problemi fecero da sfondo alle numerose attività portate avanti dal musicista, ma nonostante ciò, la tempra di Händel non demorse nell’occuparsi della produzione teatrale.
Grazie a lui si raggiunse il livello più alto della scuola operistica nel tardo Barocco.
Numerosi sono i suoi titoli da ricordare, tra cui “Ottone” (1723), “Giulio Cesare” (1724), “Orlando” (1733) e “Serse” (1738), opera che contiene la più famosa aria händeliana, il Largo “Ombra mai fu” che però Händel riprese da Bononcini.
Seguì la tradizione italiana trapiantandovi anche elementi francesi, come, ad esempio, l’ouverture.
Il suo teatro si basava sul recitativo, l’aria, il coro, i duetti e i concertati. Creava abilmente grandi scene drammatiche e molte sue arie sono legate a danze come l’Allemanda, la Gavotta, la Sarabanda.
Per l’avvento al trono di Giorgio II nel 1727 compose quattro “Coronation anthems” in cui fuse la ricchezza ed esperienza dei cori britannici col talento dei musicisti e dei cantanti d’importazione dei teatri londinesi.
I capolavori del musicista sono molteplici, ma la sua fama è rimasta legata soprattutto agli oratori. Erano molto apprezzati già all’epoca, soprattutto dopo che Händel scelse libretti in lingua inglese, il che li rese comprensibili a un pubblico molto più ampio.
Negli oratori trasferì tutto il suo vivo senso del teatro e della drammaticità, rendendoli molto dinamici, vivi.
Caratteristico era l’uso frequente del coro, simile a quello che aveva fatto a Roma Giacomo Carissimi, e che rispondeva bene al gusto tradizionale inglese.
Negli oratori di Händel il coro compariva non solo nei momenti di pausa e riflessione, ma anche come narratore e talvolta come personaggio.
Tra i suoi oratori più famosi, un vero capolavoro è il “Messiah” del 1741, rappresentato per la prima volta a Dublino, un lavoro dall’inventiva melodica senza precedenti.
Fra le sue altre partiture più felici ci sono “Saul e Israel in exitu Egypt” (1738), “Samson” (1743), “Judas Maccabaeus” (1747) e “Jephtha” (1751).
Fonte di ispirazione per gli argomenti trattati fu spesso l’Antico Testamento.
Durante l’esecuzione degli oratori Händel, nelle pause tra gli atti, era solito intrattenere il pubblico con improvvisazioni all’organo.
Alcune di queste pieces costituirono parti dei concerti per organo o le basi originali per la produzione strumentale successiva del musicista.
Si ricordino anche, nel complesso delle sue opere, i 12 Concerti grossi Opera 3 e 6, le composizioni d’occasione per le festività ed infine le suites come la Water Music del 1717, creata per una gita sul Tamigi di re Giorgio I, e la Musica per i reali fuochi d’artificio del 1749 per festeggiare la pace di Aquisgrana.
Nel 1753 diventando progressivamente cieco, cessò la sua vita attiva come musicista per poi morire a Londra il 14 aprile 1759.
La popolarità di cui ha goduto fin da subito, fu confermata dal fatto che già nel 1760, un anno solo dopo il decesso, fu pubblicata la prima biografia del compositore edita in un volume.
Händel ci ha lasciato superbe pagine musicali nelle quali traspare il suo genio, che si esprimeva in intensi slanci di creatività ed invenzione, maestria nel costruire piene e vigorose sonorità, sia strumentali che corali, esito della passione decisa e robusta con cui interpretava i testi sacri.
Giorgio I, re d’Inghilterra, amava particolarmente le “cavalcate in barca” che il barone Kielmannsegg organizzava sul Tamigi.
L’ambasciatore di Prussia, Bonet, scrisse il racconto di una di queste passeggiate fluviali:
“Vicino alla barca del re si trovava quella dei musicisti, circa cinquanta. Suonavano ogni tipo di strumenti, trombe, corni, oboi, fagotti, flauti traversi, violini e violoncelli; ma non c’erano cantanti. La musica era stata tutta composta per l’occasione dal celebre Händel, originario di Halle e principale compositore di corte di Sua Maestà, a cui la sua musica piacque talmente, che la fece risuonare per tre volte, sebbene ciascuna di queste esecuzioni durasse un’ora”.
Questa testimonianza precisava la cornice strumentale di queste splendide feste, versione londinese delle feste veneziane sul Grande Canale.
Fu per una di esse che re Giorgio I chiese a Georg Friedrich Händel di comporre una serie di brani da suonare in un’esibizione sul fiume Tamigi. Alla richiesta del re Händel rispose scrivendo diversi brani orchestrali, per un totale di tre suite, intitolate “Water Music”, (Musica sull’Acqua). I pezzi vennero eseguiti sul fiume di Londra il 17 luglio di quell’anno, quando il compositore di Halle aveva trentadue anni.
La Water Music, HWV 348-350, era destinata ad accompagnare il re che risaliva il Tamigi da Whitehall a Chelsea, dove aveva cenato da Lord Ranelagh, prima di ritornare al Saint James Palace.
La Musica sull’acqua apparteneva al genere della Suite barocca, composta da vari pezzi in forma di danza, accomunati dalla stessa tonalità di impianto.
Alcuni estratti dalla Water music vennero pubblicati durante la vita di Händel, ma l’intera composizione trovò la sua collocazione editoriale solamente nel 1788, quasi trent’anni dopo la morte del compositore.
Non sappiamo quindi come Händel avesse raggruppato i trentadue pezzi, e in quale successione venissero eseguiti. In seguito, sulla base dell’affinità tonale, furono riuniti in tre Suites, rispettivamente in fa maggiore, re maggiore e sol maggiore.
Ciascuna Suite si apre con un’Ouverture, caratterizzata dal maestoso incedere iniziale del ritmo di marcia. È musica di festa, sontuosa per la sua suggestione figurativa: l’immagine del corteo regale che scivola sulla superficie dell’acqua sembra critta nella stessa natura dei suoni e nell’andamento del ritmo.
L’Allegro che subito segue, attaccato alla lenta introduzione, con i due violini solisti, mostra la differenza tra il contrappunto di Händel e quello di Bach, che pensava la musica sempre in senso contrappuntistico, come perfetto equilibrio tra la dimensione verticale (sovrapposizione di voci diverse) e orizzontale (flusso melodico). Händel, invece, partiva dall’idea melodica e usava il contrappunto come arricchimento della medesima, come mezzo per esaltarla nell’incrocio delle parti.
Questa diversa tendenza nasceva anche dalla predisposizione individuale dei due artisti, dal loro temperamento, gusto e formazione. Händel aveva trascorso un lungo periodo di importantissimo apprendistato in Italia, Bach non era mai uscito dalla Germania.
Händel aveva conosciuto l’Opera italiana di cui era diventato il massimo compositore nella prima metà del Settecento. Bach non compose opere ma Passioni e soprattutto Cantate.
Händel era in primis un drammaturgo, che ricercava grandiosi effetti teatrali e raggiungeva spettacolari effetti “emotivi”, anche nella drammaturgia interiore degli Oratori, Bach era il più grande lirico religioso che abbia avuto la musica tedesca, tutto volto allo scavo nell’interiorità della fede, anche quando componeva musica profana.
Nella Water music le tre Suite che la compongono sono una sapiente unione dei singoli movimenti utilizzati in circostanze differenti: questa è musica deliziosa, cordiale, “sempre ispirata” come indica lo studioso Lang, scritta con suprema abilità per una grande orchestra. Suite di danza e di concerto che si fondono in un variopinto miscuglio che garantisce una grande varietà, come ha sempre sostenuto il caro Telemann:
“E’ la varietà strumentale che ravviva lo spirito”.
Lang sottolinea come la continuità è ben organizzata nella Water music, perché mentre la musica acquista grandiosità, la crescente maestosità è adeguatamente interrotta da pezzi delicati, meditativi quando non addirittura pastorali o malinconici.
Nell’assenza di fonti manoscritte, l’ordine dei pezzi rimane incerto.
Molto evidente nella musica di Händel era, inoltre, la suggestione spaziale, in particolare nelle composizioni destinate ad una esecuzione all’aria aperta come appunto la Musica sull’acqua o la Musica per i reali fuochi d’artificio.
Furono cinquanta i musicisti protagonisti di quel concerto.
Suonarono su una chiatta vicina alla chiatta reale, dalla quale re Giorgio I ascoltò l’esecuzione insieme ad alcuni amici intimi.
“Water Music” è una composizione di musica di parata, capace di creare una forte suggestione figurativa, perchè Händel voleva infatti evocare l’immagine del corteo regale che scivola sulla superficie dell’acqua.
Le tre suite piacquero molto al sovrano, tanto che ordinò ai musicisti di ripetere l’esecuzione tre volte. Non tenne affatto conto che questi, alla terza esecuzione, fossero letteralmente esausti.
I movimenti orchestrali di “Water Music” vennero pensati da Händel per un’orchestra barocca in grado di farsi sentire all’aperto, un ensemble formato da un flauto traverso, due oboi, un fagotto, due corni, due trombe e gli archi a cui era affidato pure il basso continuo.
La strumentazione fu disposta sulla chiatta, mentre il clavicembalo, per questioni di peso, rimase a riva.
Tuttavia la chiatta non era ferma. Così le suite non avevano un ordine definitivo, ma variavano a seconda della distanza della chiatta dell’orchestra da quella reale. I pezzi lenti vennero suonati quanto le due chiatte erano vicine, mentre i brani più allegri furono proposti quando erano a maggiore distanza.
Insomma furono le correnti del Tamigi, in qualche modo, a decidere la scaletta.
Della prima esecuzione di “Water Music” sono rimaste delle testimonianze anche sulla stampa dell’epoca.
Questo è uno stralcio del Daily Courant che due giorni dopo il concerto scrisse:
“Giovedì sera, verso le otto, il re si è imbarcato a Whitehall in una barca aperta […] e ha percorso il fiume sino a Chelsea. Erano presenti altre barche con molti notabili, così numerose che tutto il fiume ne era coperto. Un’imbarcazione era riservata alla musica, con cinquanta strumenti di ogni tipo che suonarono per tutto il tempo […] le più belle Sinfonie espressamente composte per l’occasione dal Sig. Händel. Al re piacquero tanto che se le fece ripetere più di tre volte, all’andata e al ritorno. Alle undici ci fu una cena, indi un altro bellissimo concerto, sino alle due; dopo di che, sua Maestà tornò alla sua barca e rifece lo stesso tragitto, mentre la musica continuò a suonare, fino all’approdo”.
Delle tre suite che compongono la “THE CELEBRATES WATER MUSIK”, così come venne pubblicata nel 1733 da Walsh, due di esse costituiscono propriamente una musica adatta all’aperto: quella in fa maggiore è detta Suite per corno (era la prima volta che Handel in terra Londinese usava questo strumento di origine francese e destinato alle battute di caccia), due oboi, fagotto, due corni, archi e continuo.
Constava di dieci brani tra cui un Hornpipe, danza inglese per eccellenza, frequente nelle “piece” per tastiera e nei “voluntaries” per organo.
La composizione in re maggiore, detta Suite per tromba, anche se effettivamente è per più trombe, è composta di cinque brani. La Suite per flauto in sol maggiore, flauto dritto, flauto traverso, fagotto, archi e continuo, è in effetti una musica da interno, più intimistica e cameristica.
C’è anche una leggenda legata a “Water Music”: pare che Händel si cimentasse in queste suites per riconquistare il favore di Giorgio I.
Il re infatti aveva al suo servizio il compositore quando era ancora in Germania. Il trasferimento a Londra avrebbe portato a una perdita di stima nei suoi confronti. Questa leggenda, raccontata da John Mainwaring è stata smentita dai discepoli del compositore.
Complessivamente si può dire che, nella sua immediatezza, la Water Music è musica più affine a quella dei grandi Oratori inglesi che a quella dei Concerti grossi op. 3 e op. 6, che si rifanno agli esempi italiani del tempo come alle musiche di Corelli.
Come la Music for the Royal Fireworks, la Water Musik era destinata ad un pubblico molto più vasto di quello dei salotti nobiliari, al quale il compositore destinava vedute grandiose, effetti potenti, grandi contrasti e forme di rilevata plasticità.
Si capisce, dunque, perché Beethoven amasse tanto Händel.
Vi trovava l’affinità con il proprio modo di concepire la musica, pensata come discorso rivolto ad un pubblico universale. Era l’elemento che permetteva di porre le Nove Sinfonie in quel filone della musica tedesca di alto spessore etico che, attraverso gli oratori inglesi di Händel e le opere di Gluck, portava in linea retta alla grandiosa affermazione dell’idealismo musicale beethoveniano.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.