ANTEFATTO
Tirava un’aria di insofferenza antinatalizia nella redazione di Latina Città Aperta.
Non senza motivo.
Alcuni tra i redattori portavano ancora impresse nell’animo e nel corpo le cicatrici di lontanissimi e terribili Natali, funestati dalla calata di orde di zie, generalmente vedove o signorine dalla nascita, che loro incontravano in quell’unica occasione annuale. Quasi infallibilmente quelle belle anime non si facevano sfuggire l’opportunità di infliggere a loro, bambini, dei tristissimi regali “utili”.
Addio ingenuo sogno di modellini di macchinine, di pistole giocattolo a piombini o di palloni di cuoio di ultima generazione: già dalla forma e dalla consistenza floscia dei pacchetti, si rendevano conto che anche quell’anno il Babbo Natale delle zie gli aveva voltato le spalle.
Mazzette di pedalini o ridicolissimi pigiami: quello il loro ineludibile bottino natalizio.
Consultato ora dalla direzione, perché uno di essi scrivesse il tradizionale racconto di Natale per conto della rivista, quel gruppo di traumatizzati natalizi, al gran completo, aveva opposto un rifiuto, il cui garbo era stato udito distintamente ed apprezzato in tutto il quartiere.
Analoga reazione avevano avuto i restanti redattori, quelli depressi dalle feste in ragione dei risultati fantascientifici di recenti analisi del sangue e delle orine.
Addio bagordi, insomma.
Nessuno quindi si sentiva di osannare il Natale e di vivificarlo con un piccolo surplus creativo.
Si decise infine all’unanimità di giocare sporco, in controtendenza, e di piazzare una trappola nello spazio di marciapiede dinanzi al portone della redazione: chi avesse pestato la finta decorazione natalizia, stesa come un adesivo sul pavimento, e fosse caduto in buca, avrebbe dovuto scegliere tra il trascorrere le feste sul fondo terroso di quello spazio angusto e lo scrivere un racconto natalizio.
Un minuto dopo che i cospiratori ebbero coperto la trappola, Piermario De Dominicis si trovò a passare da quelle parti…
Racconto di Natale
Cadeva la neve, ovviamente.
Alfonsino, un bambino decisamente obeso, sbocconcellava distratto l’ennesimo cannolo guardando… Cosa?
Beh, la bianca coltre, naturalmente, che una mano anonima aveva disteso sotto la sua bella finestra con balcone.
Le guanciotte piene del bimbo erano arroventate dal riscaldamento della casa, efficiente fino alla strage.
Alfonsino non poteva sapere che la neve che stava osservando, rapito e rispettoso, in realtà veniva prodotta da un’azienda italiana delocalizzata nello Zambia e importata poi da quel paese caldo.
Era una sera particolare quella, una sera decisiva in ogni anno che si rispetti.
A scuola gli avevano spiegato che la Vigilia e la notte di Natale vanno trascorse in una condizione interiore curata ed intensa e ora, obbediente come spesso gli accadeva di essere, si sentiva pervaso da una bontà atroce.
Data la grandezza della sua casa, riuscì ad isolarsi dai gemiti lontani, che tuttavia sentiva ininterrotti, dei servi che sua madre andava frustando con allegra energia perché si dessero da fare: c’era il cenone della vigilia del Santo Natale, del resto, e oltre a svariati parenti, tutti indigeribili, avevano anche parecchi ospiti di riguardo.
Alfonsino si concentrò quindi, come gli era stato detto di fare, sulla neve e sui bambini affamati del Terzo Mondo.
Era quasi riuscito a commuoversi quando un borbottio intestinale che testimoniava un primo, e per il momento lontano, disagio corporeo, lo riportò a questioni più terrene: faceva caldissimo, aveva mangiato come un allevamento di suini professionisti ed ora, in barba ai bambini affamati del Terzo Mondo, doveva evacuare.
Fuggì a razzo in bagno.
In quell’ambiente lo spirito natalizio spariva di colpo.
Le belle e scintillanti decorazioni che risplendevano in tutta la casa, venivano sostituite da suggestioni tropicali, dovute al colore oceanico delle pareti ed alla presenza di fronzuti palmizi che presidiavano ogni angolo dell’enorme stanza.
Ivi Alfonsino combatté una dura battaglia che lo lasciò per un lungo momento esausto.
Cionondimeno, non appena venne fuori da quel suo tropico privato, si pose nuovamente dinanzi alla grande finestra per pensare intensamente a cose angeliche.
Il cannone seguitava a sparare la neve dello Zambia.
Il bambino puntò ancora per un istante sulla fame nel mondo, cercando disperatamente di ritrovare il filo di una bontà perfetta.
Difficile.
Decise allora di pensare a qualcosa di particolarmente carino, adatto e irresistibile.
Babbo Natale, ad esempio: non si poteva lasciarlo fuori!
Babbo Natale, che sorridendo rubizzo sulla sua slitta siderale, arredata a renne e campanelle, volava verso l’accampamento ghiacciato dei bambini esquimesi, inondandoli di doni preziosi, pannocchie per lo più, dei quali essi avevano assoluto bisogno.
Alfonsino capì di essere tornato spiritualmente in forma e si sentì nuovamente vicino a provare l’estasi natalizia.
Tentò così il colpo grosso e, risoluto, si concentrò sul pensiero della Pace Universale.
Chiuse gli occhi per suggestionarsi meglio.
“Pace in terra agli uomini di buona volontà”…
Le parole cantate in classe e ricordate ora, sembravano funzionare: il bambino vide, manco a dirlo, manine bianche, nere, rosse e gialle, intrecciarsi d’amore…
Fu svegliato da questa trance di purezza, dal rumore assordante dell’elicottero paterno che atterrava a lato della villa.
Alfonsino allora corse, dimentico di tutto e tutti, a scoprire quali e quanti regali gli avesse portato il padre, un ricchissimo commerciante di armi.
Piermario De Dominicis
I migliori auguri di buone feste
dalla Redazione di
Latina Città Aperta.