Per Anton Bruckner gli anni a cavallo del suo quarantesimo anno di età erano stati segnati da una moltitudine di viaggi e incontri musicali di rilievo. Fondamentale quello con Richard Wagner, avvenuto a Monaco il 10 giugno 1865, per la prima esecuzione del Tristano e Isotta, al quale, poiché lo stimava, dedicherà anni dopo la sua terza sinfonia.
Ma degni di altrettanta importanza furono quelli con Liszt, con il quale condivideva la profonda fede cattolica, avvenuto a Budapest nell’agosto dello stesso anno, e l’incontro con Hector Berlioz a Vienna, nel novembre 1866, in occasione de La Damnation de Faust diretta dall’autore.
Afflitto da insicurezze paralizzanti, Anton Bruckner ha rivisto all’infinito i suoi spartiti musicali e involontariamente ha permesso alle influenze esterne di influire sul contenuto della sua musica.
Districare i meriti relativi delle varie versioni di Bruckner e trovare un testo musicale definitivo è stata una delle principali preoccupazioni per i musicologi.
Bruckner ha rivisto molte delle sue composizioni più di una volta, in modo che un gran numero di opere sia conservato in due o più versioni manoscritte. Spesso egli fece grandi tagli nelle versioni successive delle sue sinfonie, al fine di conformarsi al gusto viennese contemporaneo per opere più brevi.
La Seconda Sinfonia di Bruckner, la più veemente e per certi aspetti la più profetica delle sue prime Sinfonie, fu iniziata nell’autunno del 1871, un mese circa dopo il quarantasettesimo compleanno del compositore.
Bruckner aveva passato l’agosto del 1871 a Londra, dove era stato molto festeggiato per le sue maestose improvvisazioni sull’organo della nuova Royal Albert Hall.
La Sinfonia n. 2, anche chiamata “Sinfonia delle pause”, era in realtà la quarta sinfonia composta da Bruckner. Scritta durante l’estate del 1872, è l’unica sinfonia senza dedica: Franz Liszt aveva rifiutato l’onore per modestia.
La seconda sinfonia doveva essere eseguita già nel 1872. Tuttavia, le prove della Filarmonica di Vienna, sotto la direzione di Otto Dessoff, si interruppero per i musicisti che si lamentavano del fatto che ritenevano non fosse eseguibile. Bruckner allora fece alcuni aggiustamenti in preparazione della prima del 26 ottobre 1873, che diresse lui stesso, ma, come si è accennato, dopo che la partitura subì diverse modifiche aggiuntive.
Realizzata fra l’ottobre 1871 e il settembre 1872, nel 1875-76 fu sottoposta a revisione radicale con l’aiuto di Johann von Herbeck; una terza versione fu ancora apprestata nel 1877 ed è in quest’ultima veste che l’opera viene spesso eseguita.
Nel momento in cui fu concepita, comunque, tale sinfonia segnava il ritorno ad una fase creativa più impegnata, dopo alcuni anni in cui Bruckner si era applicato a lavori di modeste dimensioni e di minor significato.
L’influenza degli ambienti viennesi, il timore di agire in contraddizione con lo spirito conservatore che governava gli esponenti della cultura musicale accademica, la sua preoccupazione di non rendere il proprio linguaggio troppo difficile con una scrittura strumentale alla quale gli orchestrali del tempo non erano ancora abituati: tutto ciò deve aver contribuito in un modo abbastanza sensibile a influire non poco sul nuovo progetto creativo e in particolare sullo stile bruckneriano.
È caratteristico, ad esempio, il fatto che Bruckner si sia preoccupato di semplificare la logica del discorso strumentale ricorrendo all’espediente di ampie pause nel corso della suddivisione dei singoli elementi o apparati tematici, come aveva fatto anche nei lavori precedenti.
Questa sinfonia era in do minore, come la precedente sinfonia che aveva già diretto con successo a Linz.
La prima sinfonia era un’opera di ispirazione drammatica, con cambiamenti strutturali inaspettati, sviluppi polifonici e momenti emozionanti.
Ma nella nuova sinfonia di Do minore Bruckner sottopose le strutture formali a un controllo molto più stretto, in modo che possedessero un’elegante simmetria e una coerenza tematica, necessarie al successo di un’opera di proporzioni più grandi.
I movimenti erano stati concepiti e composti nel seguente ordine: primo movimento, adagio, scherzo e finale, corrispondenti all’ordine solito delle sinfonie di Beethoven, ed è così che la sinfonia è stata recentemente ripubblicata dalla Musicological Press della International Bruckner Society di Vienna.
Anton Bruckner – Symphony No 2 in C minor – Finnish Radio Symphony Orchestra –
Dir: Okko Kamu – Helsinki, 2014 –
Questa edizione consente di prendere coscienza dell’intera portata del progetto di Bruckner per questa sinfonia, che era destinata a essere il modello dominante per i suoi sforzi sinfonici per il resto della sua vita.
Uno degli elementi che risaltano dello stile di Bruckner, come accennato, è l’uso di battute di pausa per creare silenzi di demarcazione tra grandi sezioni.
Nella seconda questa caratteristica era abbastanza prominente nelle prove negli anni ’70 dell’Ottocento da darle il soprannome di “Pausensymphonie”.
Nelle revisioni successive, culminate nella pubblicazione del 1892, molte di queste battute furono rimosse.
In quest’opera niente è affrettato, eppure c’è uno slancio immenso anche quando il tempo è lento. Nelle sue successive sinfonie, l’idea della ricapitolazione lascerà progressivamente il posto alla tecnica dello sviluppo continuo sia nei primi movimenti che nei finali, e a quel punto ci saranno molte meno pause.
La Sinfonia ha uno slancio suo particolare che le deriva, dalla capacità, tipicamente di Bruckner, che hanno i suoi temi di germogliare, fiorire e dar frutti nuovi.
L’atteggiamento generale della Sinfonia tende al lirico con una predilezione quasi costante per elementi di derivazione popolare.
Tale è il caso del secondo tema del primo movimento, un tema che è concepito in funzione polimelodica: il gioco dei secondi violini ha sapore nettamente popolare e si riallaccia al tipico Yodl dell’Alta Austria, tanto caro anche ad Haydn e a Schubert e nella sequenza ostinata di questo curioso spunto melodico s’inserisce il canto dei violoncelli.
Da questo secondo tema ne scaturisce quasi subito un terzo, sostenuto da una insistente formula ritmica degli altri archi.
La sinfonia si apre con un tremolo degli archi ma è da notare che sebbene ci sia un tremolo, questo è un po’ più lento di quello che Bruckner impiegherà nelle successive sinfonie. Poco dopo, appare un richiamo di tromba “enigmatico”: questo è un importante stratagemma che si ripeterà per tutto il movimento.
Lo struggente primo tema, enunciato in modo eloquente dai violoncelli nel registro acuto, è tipico del genio di Bruckner: il ritmo, l’armonia e la lunghezza variabile delle frasi contribuiscono insieme a un esteso sviluppo dei temi.
I metri misti, altro accorgimento caro a Bruckner, sono anch’essi in prima linea in questa esposizione, e si sentono già per la prima volta nelle trombe, alla ventesima battuta. Il primo passaggio cantabile di rilievo è affidato di nuovo ai violoncelli, ma la figura di ostinato che segue è tutta cambi di ritmo geniali e trilli degli archi acuti, finché l’oboe e il corno non creano ricchezze melodiche alla fine dell’esposizione e a questo punto, dopo un inizio meditabondo in minore, la musica spicca il volo verso zone più serene, infatti dopo l’enunciazione dei tre temi compare inaspettatamente un episodio di toccante dolcezza.
Lo sviluppo è frutto d’una vistosa elaborazione tematica che, pur nella solennità di certi suoi atteggiamenti, è ancora lontana dalle drammatiche risultanze che saranno proprie delle ultime sinfonie.
L’Andante è forse la pagina più intensa della sinfonia. La forma adottata è quella del rondò, il cui impiego diverrà sistematico negli adagi delle sinfonie successive.
La particolarità più spiccata di questo brano è data dalle variazioni tematiche che ne occupano la parte centrale.
La condotta strumentale è molto raffinata e ad un certo punto compare una citazione tematica tratta dal Benedictus della Messa n°3 in fa minore del 1868.
Questo movimento è il primo movimento lento di Bruckner in forma ternaria in cinque parti (ABABA), ciò fa sì che questa prima parte si ripeta altre due volte. La seconda parte del movimento inizia con le corde degli archi pizzicate che introducono un nuovo tema con i corni.
Il secondo movimento è notevole per i primi indizi che ci dà della straordinaria abilità di Anton nel raccogliere le forze intorno e portarle a momenti culminanti che sono tanto estatici quanto sonoramente splendidi. Nel principale di essi in questo lavoro, i violini creano un trasparente velo di suoni attraverso il quale si sentono espandersi a poco a poco maestosamente legni e ottoni.
Lo Scherzo incamerato in una possente struttura all’unisono, presenta un quadro di natura folklorica in tutte le sue parti, nelle quali si alternano motivi principali ed ausiliari. Specifico della Bassa Austria è il tema fondamentale del Trio, che è un piccolo capolavoro di ricerca strumentale e di venatura cromatica, preludendo a quei risultati di “melodia dei timbri” che da Mahler e Schoenberg in poi si svilupperanno con sempre crescente intensità.
Il Finale è condotto secondo la forma del rondò combinata con quella della forma sonata, con un primo tema che è derivato dal primo tema del movimento iniziale; l’architettura generale della pagina si regge su tre temi e su una citazione; che questa volta è ricavata dal Kyrie della Messa in fa minore.
L’esposizione si chiude proprio con questa citazione del Kyrie.
Lo sviluppo contiene ciò che il musicologo William Carragan definisce “fantasie” sul primo e sul secondo gruppo tematico. La ricapitolazione inizia con l’altro tema secondario del primo gruppo prima di passare al tema principale.
Tra gli altri tagli delle differenti versioni, una degna di nota è nella coda del movimento; infatti nella versione originale la coda è in due fasi, un crescendo che porta alla citazione del tema del primo movimento e del secondo gruppo tematico preso dallo stesso movimento. Questo porta alla seconda fase, con un altro crescendo che prepara la grande Coda in do maggiore che chiude la sinfonia.
La prima di queste fasi viene tagliata nella seconda versione, lasciando solo il crescendo e la Coda finale.
L’organizzazione tematica esercita, per così dire, una notevole forza d’urto e s’impone attraverso grandiose fluttuazioni dinamiche che in più punti denotano l’uso di una concezione organistica, che del resto era perfettamente normale per Bruckner, a quel tempo molto noto soprattutto per le sue grandi capacità con quello strumento.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.