Pietro Gori, il poeta dell’anarchia -prima parte-

Addio Lugano bella è una famosa popolare canzone anarchica, ma pochi sanno chi ne fu l’autore e quale fu la sua vita. Quel brano celebre fu scritto da Pietro Gori nel gennaio 1895.
L’hanno cantata in tanti, da Guccini a De Gregori, dai Gufi a Milva, da Gaber a Jannacci, insieme a tanti altri.
Ivan Graziani la citò in una sua canzone di successo: vene quindi da chiederci chi sia stato veramente nella vita Gori, che fu tra l’altro scrittore, autore teatrale, giurista, giornalista e conferenziere.

Pietro Gori nacque a Messina il 14 agosto 1865. Il padre Francesco, era ufficiale di artiglieria dell’esercito regio e non nascondeva le sue simpatie mazziniane. 

Pietro Gori nell'agosto 1889

Seppe guadagnarsi due medaglie al valor militare nella battaglia di Castelfidardo nel 1860 e nel successivo assedio di Ancona contro le truppe papaline.
La sua famiglia, originaria dell’Isola d’Elba, aveva avuto il nonno Pietro ufficiale della Vecchia Guardia di Napoleone, una scelta che lo aveva portato a seguire l’imperatore fino a Waterloo.
Giulia Lusoni, la madre di Pietro, invece, era nata nel 1840 in una famiglia benestante di Rosignano.
Per tutta l’infanzia di Pietro la famiglia fu costretta a peregrinare da una città all’altra per gli impegni del padre.
La sorella Berenice, nacque ad Ancona il 29 gennaio 1868 e rimase sempre legata al fratello.
Sappiamo che il padre intorno alla metà degli anni Settanta diede le dimissioni dall’esercito e ritornò in Toscana, stabilendosi a Rosignano.

Il giovane Pietro, dopo le scuole primarie, venne iscritto al Ginnasio Niccolini di Livorno, una scuola prestigiosa per via del corpo docente: tutta la buona borghesia livornese, compresa quella ebraica, inviava i figli in questa scuola.
Pietro si iscrisse al primo anno del ginnasio nel 1880 e tutto il suo curriculum fu contrassegnato da ottimi voti soprattutto nelle materie umanistiche.
Si sa poco delle sue passioni di questo periodo, alcune fonti riferiscono di un’adesione ad una “Associazione Monarchica” dalla quale venne espulso per “indelicatezze”.

La Livorno dell’epoca era una città in forte crescita economica, con un notevole porto e coi cantieri navali Orlando che attiravano un numeroso proletariato.
La città si era distinta durante le rivolte contro i Lorena e nel mazziniano Guerrazzi aveva trovato una forte guida.
Non mancavano garibaldini che avevano seguito l’eroe dei Due mondi in diverse imprese, e dai tempi della Comune di Parigi, esisteva a Livorno un forte nucleo di internazionalisti.
È probabile che in questa fase Pietro abbia avuto i suoi primi approcci con la politica.
Nel giugno 1885 prese il diploma liceale e decise di iscriversi all’Università di Pisa al corso di giurisprudenza.

La porta San Marco a Livorno
La porta San Marco a Livorno, fu realizzata tra il 1839 ed il 1840

In autunno si trasferì nella nuova città, dove lo accolse una comunità molto vivace culturalmente e politicamente.
Accanto ad un forte nucleo di mazziniani e garibaldini, nel corso degli anni si radicò una forte componente internazionalista. L’ateneo di Pisa all’epoca era un centro di élite, con circa 600 neoiscritti ogni anno.
A guidare la facoltà c’era un gruppo di docenti autorevoli come Francesco Carrara, che insegnava diritto e procedura penale, e Francesco Buonamici, che insegnava storia del diritto romano. Accanto ai due insigni giuristi c’erano altri validi professori come Lodovico Mortara, Davide Supino e Giuseppe Toniolo.
La formazione culturale e giuridica del giovane Gori, che attinse alla scuola classica ebbe presto una svolta positivista.

In questi anni Gori incontrò altri studenti che avranno vicende biografiche importanti, come il pisano Nello Toscanelli che diventerà un esponente liberale di spicco e deputato al parlamento, ma fu in particolare un altro studente, Luigi Molinari di Mantova, quello che strinse con Gori un’amicizia duratura e condivise con lui, oltre la professione di avvocato, la scelta anarchica.

L’università era stata l’incubatrice, il luogo in cui il giovane Gori si era formato sul piano culturale, ma furono gli ambienti popolari di Livorno e Pisa quelli che lo tennero a battesimo politicamente, come ricordava Virgilio Salvatore Mazzoni, suo coetaneo:

“[…] la di lui evoluzione verso le dottrine libertarie incominciò dopo la frequenza alle conferenze di Livorno ed alle veglie goliardiche del caffè dell’Ussero a Pisa ove gli studenti chiassosi si frammischiavano volentieri agli operai studiosi e a non pochi vecchi militi dell’Internazionale: fra i quali Oreste Falleri, Enrico Garinei, Raffaello Parenti, Teodoro Baroni e altri molti”.

L’anarchismo in Toscana alla metà degli anni Ottanta non aveva perso in forza e nonostante la svolta di Andrea Costa, che aveva preso la strada per un socialismo “legalitario”.
Errico Malatesta, ritornato in Italia all’inizio del 1883, scelse come sede delle proprie attività Firenze, dove fece uscire il periodico “La Questione sociale”.
Non è testimoniato nessun rapporto fra Malatesta e Gori, ma sicuramente il giovane avrà sentito parlare del leader del movimento anarchico e delle sue concezioni politiche che successivamente saranno da lui fatte proprie. Certamente, in quel lasso di tempo, lesse “Fra contadini” pubblicato da Malatesta nel 1884.

La sede de La Questione Sociale
La sede de La Questione Sociale

Si può ipotizzare che Gori abbia fatto la sua scelta definitiva nell’inverno 1885/1886, quando frequentava il primo anno di corso all’Università di Pisa.
Nell’ambiente studentesco si fece presto notare, divenendo segretario dell’Associazione Studentesca.
A nome di quest’ultima, all’inizio del 1888 organizzò una solenne commemorazione di Giordano Bruno, ed intanto collaborava coi giornali “Riforma”, “Tribuna” e “Telegrafo”.
La polizia iniziò a sorvegliarlo e le autorità capirono che si trovavano di fronte ad un giovane di brillante intelligenza.
Gori iniziò a tenere conferenze e incontri con altri gruppi regionali, tanto che il movimento decise di far uscire la terza serie de “La Questione sociale”.

Il 1889 fu un anno cruciale, non solo perché Gori concluse i suoi studi universitari, ma perché fu in quel periodo che le autorità, di fronte alla sua ascesa carismatica, cercarono di bloccarne l’attività, costringendolo a difendersi nel primo processo della sua vita.

Gori, nei mesi in cui cercò di sostenere l’uscita del nuovo giornale, mise insieme i testi delle sue prime conferenze e fece uscire un opuscoletto firmato Rigo, col titolo di “Pensieri ribelli”. Il pamphlet riscosse un buon successo grazie anche alla pubblicità procuratagli dal sequestro nel maggio 1889, e dal successivo processo, che si aprì il 20 novembre e che la stampa seguì: nel collegio di difesa c’era il nome di un “principe del foro” quello del deputato radicale e futuro socialista Enrico Ferri.

Orgosolo, murale dedicato al poeta anarchico Pietro Gori

Ferri era arrivato a Pisa invitato dall’Università a tenere la cattedra di sociologia criminale e Gori lo conobbe bene avendo ampiamente utilizzato i suoi testi per la preparazione della tesi di laurea.

Le autorità imbastirono il processo sottolineando il carattere “sovversivo” del libretto di Gori che conteneva “concetti ed espressioni offensive le inviolabilità del diritto di proprietà, provocanti l’odio tra le varie classi sociali, attaccanti l’ordinamento delle famiglie e la religione di stato” ma nonostante il tentativo di addossare a Gori gravi accuse, i magistrati non riuscirono a provare i reati contestati e la difesa ebbe buon gioco a far assolvere il giovane libertario. Un folto pubblico seguì il processo manifestando a più riprese la propria simpatia per l’imputato.

Il pamphlet illustrava i principi del socialismo anarchico che Gori esponeva con efficacia.
Dopo aver sostenuto l’origine ingiusta della proprietà privata, frutto dello sfruttamento quotidiano del lavoro degli operai, autorizzato dalle leggi a vantaggio di pochi, ed aver denunciato l’oppressione dominante nella società e consentita da istituzioni come l’autorità, la patria e la famiglia, Gori auspicava una “società nuova”, basata sulla proprietà comune, sul lavoro “liberato” e sul principio “a ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni”. Coniugando l’aspirazione libertaria alla cultura positivistica, Gori concludeva annunciando “l’alba radiosa” in cui “cadranno le mostruose decrepite istituzioni del presente”.

Il 5 luglio 1889, conseguì la laurea discutendo una tesi di sociologia criminale dal titolo “La miseria e i delitti”.
La lettura della tesi, che verrà pubblicata nel 1907 sulla rivista “Il Pensiero” con il titolo Pauperismo e criminalità, dimostrava che lo studente aveva una notevole padronanza della materia, tanto da permettergli di polemizzare con lo stesso Ferri, citando con disinvoltura sia autori classici, sia contemporanei.
Durante la preparazione della tesi entrò in corrispondenza con Filippo Turati che gli inviò alcuni libri di diritto. La discussione della tesi avvenne con la commissione presieduta dal professore Davide Supino e Gori nella sua esposizione affermò con decisione che:

il delitto è la conseguenza di una patologia sociale che ha le sue radici nella miseria e solo il cambiamento della condizione economica delle classi subalterne farà scomparire questa piaga che affligge l’umanità”.

Ernesto Antonio Pietro Giuseppe Cesare Augusto Gori

Quanto il ventiquattrenne neo laureato fosse una personalità conosciuta nell’ambiente pisano-livornese, lo dimostrava la sua partecipazione ai “cenacoli” frequentati da artisti e letterati (tra i quali Mascagni, Pascoli, (da poco assunto come professore al Liceo Niccolini) Marradi, Sabatino Lopez e, talvolta, Puccini e Carducci.
Gori in una di queste frequentazioni conobbe Carlo Della Giacoma, direttore della banda del 38° fanteria, a cui affidò un manoscritto, “Elba”, scene liriche in 3 atti, per farne comporre la musica.
E sarà proprio la banda militare ad eseguire, l’anno seguente, il primo atto della nuova opera.
In questo lavoro giovanile Gori dimostrava una sensibilità e una passione per la musica, la poesia e la commedia che lo caratterizzerà per tutta la vita, tanto da essere definito, per il successo di alcune sue canzoni e di alcune opere teatrali, il “poeta dell’anarchia”.

Studenti laureandi in giurisprudenza a Pisa (luglio 1889),
Pietro Gori è il secondo seduto a terra
da sinistra in prima fila
(Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

Il suo ruolo di leader fu confermato dallo sciopero di lavoratori che si tenne a Livorno in occasione del 1° maggio 1890. In quel giorno Gori tenne una conferenza di fronte alla folla di lavoratori, al termine della quale partì un corteo che venne sciolto dalle autorità. La presenza di Gori, come sappiamo, non era occasionale: già nelle settimane precedenti aveva tenuto altre conferenze con i gruppi anarchici locali, alleati per la circostanza con circoli repubblicani e socialisti.

L’agitazione che coinvolse i lavoratori delle principali industrie e cantieri della città, con caratteristiche rivendicative, si protrasse per diversi giorni con manifestazioni di piazza e scontri tra “la folla varia di operai, di marinai, di studenti” e “gli assoldati di polizia”.
Gori con altri 15 operai, fu arrestato a metà maggio e condotto in tribunale con l’accusa di “ribellione ed eccitamento all’odio fra le diverse classi sociali”, nonché indicato anche come organizzatore dello sciopero.

Il dibattimento, che la stampa battezzò “Processo Gori”, fu condizionato dai pregiudizi della corte e dalle testimonianze dei poliziotti. Nonostante le scarse prove, i giudici emisero una sentenza di condanna nei suoi confronti: un anno di reclusione. Altri 5 imputati vennero condannati a varie pene.
La condanna di Gori, che nei mesi seguenti sarà annullata dalla Cassazione per inesistenza di reato, fece trascorrere al militante libertario alcuni mesi in prigione.
Rinchiuso nel carcere di Livorno e poi in quello di S. Giorgio a Lucca, venne liberato il 10 novembre 1890.
Durante la carcerazione scrisse una raccolta di poesie che darà alle stampe l’anno successivo.
Nei due volumetti, pubblicati con il titolo di “Prigioni e battaglie”, che riscossero un certo successo di pubblico, già si delineava l’immagine del “buon e forte cavalier dell’Ideale”.

Lui chiamò quei versi “il canzoniere del carcere” e in essi prendeva le difese “dei poveri reietti derisi e dimenticati dal potere in quelle celle”.

Liberato, Gori raggiunse Milano e poi il Canton Ticino per partecipare nel gennaio 1891, all’Osteria dell’Ancora di Capolago, sul lago di Lugano, insieme con altri noti esponenti dell’anarchismo italiano come Malatesta, Galleani, Merlino e Cipriani, alla costituzione del Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario.

Al congresso costitutivo di Capolago parteciparono 80 delegati, appartenenti sia all’area anarchica che a quella socialista rivoluzionaria. Il Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario nacque con l’idea di divenire complementare, e non alternativo, al Partito Operaio Italiano, nel quale era ugualmente presente anche una discreta corrente anarchica. Notevoli le figure di spicco del socialismo italiano tra cui l’ex anarchico Andrea Costa e Filippo Turati e dell’anarchismo italiano che aderirono: Errico Malatesta, Saverio Merlino e Amilcare Cipriani.

Malatesta e Merlino avevano cercato di imprimere un nuovo slancio all’anarchismo italiano con la convocazione di questo congresso. La riunione si caratterizzò per un’ampia formulazione rivoluzionaria, dato che lo scopo era quello di riunire tutti i rivoluzionari su un programma comune, fondato sull’antiparlamentarismo.

Si affermò la nascita del Partito socialista-anarchico-rivoluzionario, Federazione italiana, sottolineando, con la dizione Federazione Italiana, il fatto che si voleva far riferimento a un’istituzione anche internazionale, perché si avvertiva, secondo loro, la imminente rivoluzione transnazionale dei popoli oppressi.

Durante il congresso la questione dello sciopero generale fu argomento di vivaci discussioni. Gli anarchici riuscirono ad imporre un grande sciopero internazionale, per il 1° maggio 1891, invitando i “gruppi e i compagni volenterosi a diffondere nelle campagne, nelle officine, tra i militari, appositi manifesti inculcanti la necessità di detto sciopero, in modo che «simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nel giorno convenuto, i lavoratori intimino ai pubblici poteri di ridurre legalmente a otto ore la giornata lavorativa”.

Gori a Milano, prima di aprirne uno proprio, lavorò nello studio di Filippo Turati.

Il suo obiettivo era, secondo la questura, quello di “organizzare a Milano il Partito Anarchico, provato dai processi del 1889 e 1890”, obiettivo che Gori raggiunse, sempre secondo la polizia, infiltrandosi “in varie associazioni della classe operaia, nelle conferenze, nelle dimostrazioni e manifestazioni pubbliche, prendendo un po’ in ogni dove la parola, diventando l’anima del Partito anarchico milanese”. Grazie al suo attivismo il movimento libertario riprese rapidamente consistenza.

Nell’agosto 1891 Gori, in qualità di rappresentante della Federazione cappellai del lago Maggiore, partecipò, a Milano, al Congresso Operaio Italiano che vide la nascita del Partito dei Lavoratori Italiani ed attorno a lui si coagulò la minoranza anarchica, che tentò di contrastare la linea di Turati.
Non perse l’occasione, intanto, di tornare in Toscana per mantenere i rapporti con i vecchi compagni.

1891 La nascita del Partito dei Lavoratori Italiani

La polizia lo sottopose ad un’assidua vigilanza e in più occasioni lo trascinò in carcere.
In una di queste circostanze scrisse un’opera teatrale in tre atti dal titolo “Gente onesta”, che definì “non opera di fini artistici, ma di ribellione alle accidie del carcere, ed al lievito venefico che esso sprigiona negli animi, capace di ben più atroci misfatti”. L’opera doveva poi essere rappresentata la prima volta in un teatro di Milano nel 1894 ma la censura mutilò il testo obbligando l’autore a recedere dal proposito di rappresentarlo in pubblico.

Sempre nel ’91 Gori collaborava anche al “Sempre avanti!” di Livorno, a “Il Grido dell’operaio” a La Spezia e a “La Plebe” di Firenze.

Parallelamente alle sue attività tradusse (piuttosto male), nel 1891, per la Biblioteca popolare socialista di Flaminio Fantuzzi il “Manifesto del partito comunista” di Marx e Engels.
Una traduzione criticata da Turati, che iniziava sempre più a vedere in Gori un antagonista delle proprie posizioni politiche. Le ripetute denunce e la sua presunta influenza in tutte le manifestazioni “sovversive”, fecero sì che in una nota riservata del Ministero degli Interni a tutti i Prefetti del Regno (22 novembre 1891) si decidesse che doveva essere sottoposto a “speciale sorveglianza” per il suo carattere “audace” e per il suo “ingegno svegliato”.


  • Bibliografia:
  • Pietro Gori, Opere, Milano, Editrice Moderna, 1946-1949.
  • Pietro Gori, La miseria e i delitti, a cura di Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci, Pisa, BFS, 2010.
  • Maurizio Antonioli, Pietro Gori, il cavaliere errante dell’anarchia, Pisa, BFS, 1995.
  • Antonio Bellandi, Carlo Della Giacoma e Pietro Gori: musica e politica nella Livorno di fine Ottocento, Livorno, Comune di Livorno, 2005.
  • Massimo Bucciantini, Addio Lugano bella. Storie di ribelli, anarchici e lombrosiani Einaudi, 2020.

Continua…

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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