Pietro Gori, il poeta dell’anarchia -terza parte-

Pietro Gori, la prima conferenza argentina la tenne nel Circolo della Stampa il 26 giugno 1898 e poco dopo svolse una seconda conferenza al teatro Doria dove parlò di fronte a 2.000 persone entusiaste.
Da subito prese a collaborare con i giornali argentini ed in particolare con la rivista ‘Ciencia Social’, una rivista culturale che annoverava tra i suoi collaboratori le più prestigiose firme internazionali del movimento libertario.

Una particolare attenzione Gori la dedicò all’organizzazione operaia nonché a quella dei gruppi anarchici, fondati sulla “morale della solidarietà”, in opposizione al “dogma individualista”, scontrandosi perciò con le frange più radicali dell’individualismo locale, che lo attaccarono con estrema violenza verbale e non solo.

Pochi giorni dopo, in una conferenza a Buenos Aires, alcuni individualisti, scontenti dei propositi di Gori, salirono in gruppo sul palco tentando di aggredirlo.
Questi li affrontò e li invitò a partecipare a un pubblico dibattito “di controversia”. L’appuntamento ebbe luogo il 21 agosto nel teatro Iris di Barracas in un incontro con il titolo “La morale solidaria nella lotta e nella vita sociale, in opposizione al dogma individualista”.

Ma l’attivismo di Gori era straripante. Su “L’Avvenire” pubblicò analisi sulla situazione della classe operaia europea, incitamenti all’organizzazione, polemiche con gli individualisti e i socialisti, scrivendo in più, poesie, canzoni e opere teatral.
Diede alle stampe “La nostra utopia”, che può essere considerata la sintesi del suo pensiero politico
L’ideale anarchico vi era inteso come

l’ascensione accelerata e trionfale della vita dell’individuo, nelle multiformi sue attitudini; la armonia con l’innalzamento di tutte le vite che formano il tessuto organico della società” è inserito in un processo evolutivo che si fonda da un lato sull’ineluttabile sviluppo della tecnica, dall’altro sulla lotta quotidiana di “falangi sempre più coscienti di lavoratori, sul terreno pratico delle conquiste economiche strappate al capitale dalla resistenza e dalla solidarietà operaia. La conquista della libertà, non in virtù della scheda, ma in quella della stampa, del comizio, della forza suprema della logica, della persuasione, passerà attraverso l’evento rivoluzionario, mezzo inevitabile di trasformazione proporzionata ai nostri ideali, e corrispondente al processo accelerato della evoluzione moderna, in cui i fatti sociali son troppo distanti dai bisogni e dalle aspirazioni generali per non far prevedere le scosse brusche, che il nuovo ordine di cose dovrà produrre nel sovrapporsi a quello che già si sta screpolando”.

Una rivoluzione, in definitiva, “necessaria”, nel quadro dell’inarrestabile corso della storia: “La evoluzione delle idee, trascinate dai fatti e rischiarate da una coscienza nuova della vita, muove rapidamente per mille alvei alla fiumana vigorosa che di tutte le correnti raccoglie gl’impulsi e le energie”.

Nel novembre 1898 diresse e coordinò la rivista «Criminologia moderna», sulle cui pagine espose la sua teoria “ambientale” del delitto, accanto ai contributi di Cesare Lombroso, Guglielmo Ferrero, Augustin Hamon, Napoleone Colajanni ed altri.

Nel 1899 iniziò lunghi giri di conferenze, recandosi anche in Uruguay, Brasile e in seguito, nel 1901, in Cile (ritornando in Argentina per la via della cordigliera) e in Paraguay.
Il 25 novembre 1900 tenne al Teatro Iris di Buenos Aires una conferenza dal titolo “La donna e la famiglia”, dove presentò un approccio originale alla questione dell’emancipazione femminile: “le donne, – negli usi e nelle leggi, – sono asservite alla tirannia del sesso maschile e l’emancipazione della donna sarà sempre vacua affermazione verbale se ad essa non porrà mano la donna medesima”.
Instancabile e curioso, nel 1901 partì per esplorare le sorgenti del Paraná, accompagnato per una parte del viaggio dal poeta dialettale romano Cesare Pascarella.
La sua attività di propaganda attrasse sempre di più all’anarchismo numerosi lavoratori e intellettuali.
Particolarmente rilevante fu il contributo di Gori alla nascita della Federación Obrera Regional Argentina, costituita nel maggio 1901.
Solo grazie alle sue doti di mediatore e alla sua concezione unitaria del movimento operaio, si riuscì ad evitare lo scontro frontale tra anarchici e socialisti, segno questo dell’importanza attribuita da Gori all’unità del movimento operaio organizzato.
Sua infatti fu la mozione, approvata a maggioranza, che si riservava di accettare, in particolari casi, il “juicio arbitral”, come suoi erano i documenti in favore di una “enérgica agitacion” per la protezione del lavoro femminile e minorile, e sullo sciopero generale.
Di fronte alle inquietudini suscitate dalla questione dell’arbitrato, distinse nettamente il piano dei principi anarchici da quello dell’attività rivendicativa quotidiana.
Nel settembre seguente infatti, in occasione dello sciopero dei ferrovieri del Ferrocarril Sud, Gori e Montesano riuscirono ad ottenere un accordo con il direttore inglese ed il mediatore del governo che fu, di fatto, una vittoria operaia!
In Sud America Gori maturò una concezione che può definirsi protosindacalista.

Una conferenza di Gori organizzata per la “Società Scientifica Argentina” nell’agosto del 1898

Se dai primi anni Novanta Gori aveva sempre considerata importante la presenza dell’azione libertaria all’interno delle società operaie, l’esempio di Pelloutier, già conosciuto a Londra, e della sua Féderation des Bourses du Travail, lo indusse ad individuare negli organismi in atto la cellula di una nuova organizzazione sociale.
Il 12 gennaio del 1902 tenne l’ultima conferenza nel teatro Victoria e ritornò in Italia, agevolato da un’amnistia, per motivi sia familiari sia di salute.
Il rientro in patria significò per Gori la ripresa dell’attività di conferenziere e di avvocato. Invitato da circoli anarchici, Camere del Lavoro e leghe di resistenza, tra il 1902 e il 1904 Gori girò l’intero paese suscitando ovunque entusiasmo.
Il 2 giugno, in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Garibaldi, partecipò a Caprera alle commemorazioni ufficiali con un discorso nel quale definì l’eroe dei due mondi un “poeta dell’azione che amava la spada solo quando essa lampeggiava per una idea di giustizia”.
All’inizio di ottobre a Corato in provincia di Bari rievocò la figura dello scrittore francese Émile Zola, scomparso il 29 settembre.
L’anno successivo, su invito di Luigi Fabbri, assunse la condirezione della rivista quindicinale “Il Pensiero”, alla quale collaborerà soprattutto con studi di sociologia criminale.
In realtà, se è vero che Gori ebbe sempre un ruolo secondario nella redazione del periodico, la sua funzione non fu puramente decorativa, ma testimoniò la profonda affinità tra lui e Fabbri nella concezione di un anarchismo organizzato, profondamente radicato nelle realtà operaie, lontano da tutte le esasperazioni individualistiche e frutto non più della necessità storica ma del progressivo evolvere della coscienza dei produttori verso il “lavoro redento”.

A settembre 1903 fu a Viareggio per partecipare alle onoranze al poeta inglese Percy Bysshe Shelley. L’occasione divenne un cenacolo di artisti e liberi pensatori che si riunì con larga partecipazione di popolo in un rituale laico a ricordare il cantore del Prometeo liberato. All’iniziativa parteciparono molti intellettuali e artisti.

Il 18 ottobre parlò a Genova, al Politeama Alfieri gremito all’inverosimile di lavoratori, sul tema Guerra alla guerra!
Il 27 novembre, mentre Pietro Gori era impegnato in un tour di conferenze in Romagna, a Rosignano Marittimo morì sua madre, dopo una lunga malattia.
A gennaio del 1904 tornò nella città natale, Messina, su invito della locale Camera del lavoro per una conferenza di protesta contro l’ennesimo eccidio proletario compiuto dalle forze dell’ordine a Giarratana.
L’incontro si svolse al Teatro di Villa Mazzini il 18 gennaio con grande concorso di pubblico: il tema, “In difesa della vita”, era una condanna dei metodi “antiproletari” del governo Giolitti, che si ripeterono durante l’anno provocando a settembre il primo sciopero generale.
Nel 1904 effettuò un viaggio in Egitto e in Palestina di cui relazioner nello scritto “Dalla terra dei Faraoni al paese di Gesù”, pubblicato dall’Associazione della Stampa in Roma e che diventerà uno dei temi dei suoi tour propagandistici, ma le sue condizioni di salute, precarie a causa della tubercolosi, lo costrinsero a soste più o meno lunghe all’Elba.
“Il Pensiero” del 16 settembre diede notizia della malattia di Gori, affermando che egli era “gravemente malato da più di due mesi e mezzo” e che solo recentemente si era ripreso, trasferendosi per la sua convalescenza a S. Ilario.

Un ritratto di Pietro Gori del 1910

Nel novembre del 1905, tuttavia, partecipò ad un convegno sindacalista organizzato a Bologna, intervenendo sulla vexata quaestio dei rapporti tra sindacati e partiti politici, sostenendo, come aveva già fatto in Argentina, l’estraneità dell’organizzazione sindacale alle lotte politiche e la necessità dell’unità operaia.
In quei mesi intervenne anche a sostegno dell’amico Fabbri nella polemica ingaggiata con il tipografo Baraldi sulla proprietà della rivista Il Pensiero.
Nella prima metà del 1906 attuò un capillare giro di conferenze “scientifiche e libertarie” in Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia, dove nel Salone Massimo della Camera del lavoro, il 1° aprile, tenne una conferenza a beneficio delle vittime del disastro minerario di Courrieres dal titolo “Le vittorie e le sconfitte del lavoro e della vita”.
Il tour di conferenze fu però interrotto improvvisamente per il riacutizzarsi della malattia e alla fine dell’anno Gori fu colpito da un altro lutto familiare: a Pisa il 28 dicembre morì il padre.
Impossibilitato, a causa di un intervento chirurgico, a partecipare al Congresso anarchico italiano di Roma, nel giugno 1907, fu attivo però nell’agosto successivo, in occasione delle agitazioni che si verificarono all’Elba per la morte di tre operai ed il ferimento di molti altri nello scoppio di un altoforno.
Agli inizi del 1908 presentò alla Corte di Lucca opposizione al proscioglimento dei “potenti padroni degli alti forni”, con un’arringa in difesa delle vittime del lavoro.
Gori rimase profondamente turbato dalla notizia del disastroso terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 e dedicherà “alla città che mi fu madre ed alla sua rinascita” un componimento poetico dal titolo “In morte di Messina”.
Nel 1909 tentò di intraprendere un nuovo giro di conferenze, ma la sua cronica malattia lo costrinse all’inattività.
In una lettera scrisse:

Ma io son dannato, ormai, ad essere un naufrago della vita vera… in questa mia sconsolata zuffa con le insidie del male…”.

L’ultima sua battaglia, nonostante fosse sfibrato dalla malattia, Gori la condusse per salvare il catalano Ferrer, accusato ingiustamente di essere stato a capo dell’ondata di violenza politica che aveva investito la Spagna durante la cosiddetta Settimana Tragica (1909), e che fu processato e condannato a morte il 13 ottobre 1909.

Bandiera del gruppo anarchico “P. Gori” di Cascina
(Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Dal suo rifugio di S. Ilario all’Isola d’Elba, manifestò a più riprese la sua preoccupazione per il destino di Ferrer, inviando lettere e, compatibilmente con i problemi di salute, partecipando a manifestazioni e conferenze, sempre più preoccupato per l’evoluzione sfavorevole del processo e per la campagna reazionaria in atto in Spagna.

“Difendendo la vita, e la integrità personale di Francisco Ferrer e dei suoi compagni, contro la risorta inquisizione che ne strazia i corpi, per dannarli alla morte, non è il libertario od i rivoluzionari che si difendono; ma è la esistenza stessa dei più alti principii di libertà e di giustizia che sono ormai il patrimonio insopprimibile della convivenza umana”.

Con queste parole Pietro Gori, il 2 ottobre 1909, concluse una lettera destinata ai promotori del Comizio “pro Ferrer” di Roma.
Anche in un’intervista rilasciata al Giornale d’Italia del 12 ottobre, Gori parlò di Ferrer:

Egli è un idealista, ed un apostolo nel senso più moderno della parola […]. Egli ha profuso molto del suo, nella propaganda dei principi razionalisti. È un libero pensatore, non un vacuo mangiapreti. Libertario nella concezione di un migliore domani sociale, è soprattutto un credente nella forza trionfale della ragione e della scienza. Si potrebbe chiamare un tolstoiano del razionalismo, se egli non avesse al suo attivo il senso della modernità. Ma ha certo col grande russo comune una grande fede nella virtù educatrice delle idee”.

Ma il processo fu una farsa, così il 13 ottobre 1909 Ferrer fu giustiziato.
In tutto il mondo si alzò un grido di protesta e l’Europa fu attraversata da un’onda di agitazioni che si trasformò talvolta in moto violento. lo stesso che per tre giorni sconvolse anche buona parte della penisola italiana.
Un mese dopo la morte dell’educatore catalano, a Portoferraio in un teatro gremito Pietro Gori commemorò Ferrer, in quella che fu la sua ultima apparizione pubblica.

E in questo scenario la figura di Ferrer, si legava ad un altro mito vivente, quello di Gori, scrissero i giornalisti: “Alla fine [della conferenza di Gori] egli si ebbe una calorosa ovazione e forti strette di mano. Le bande intonarono l’inno dei lavoratori. All’uscita del teatro venne formato un lungo corteo che fra lo sventolio dei bene auguranti rossi labari e al suono degli inni popolari percorse le principali vie della città. Nelle ore pomeridiane le associazioni dei vari Comuni elbani prima di lasciare Portoferraio vollero recarsi con musiche e bandiere sotto l’abitazione dell’avv. Gori il quale…parlò nuovamente ringraziando ed inneggiando alla bellezza della terra elbana e al lavoro fonte di benessere e di civiltà umana”.

Gori nei mesi successivi fu subissato di richieste, che provenivano da comitati e gruppi anarco-socialisti di varie località, perché scrivesse epigrafi per le lapidi commemorative di Ferrer.
Fu la sua ultima fatica di libertario.
Il 13 marzo 1910 al teatro “La Pergola” di Firenze venne rappresentata, con un buon successo l’opera teatrale di Gori, “Calendimaggio”, musicata da Giuseppe Pietri.
L’8 gennaio 1911, alle 6,30 del mattino, Pietro Gori venne meno a Portoferraio, ove si era rifugiato per cercare di trovare sollievo dalla sua malattia.
Spirò fra le braccia della sorella Bice e quelle dell’amico Pietro Castiglioli.
La salma venne trasferita da Portoferraio a Piombino via mare e poi con il treno a Rosignano, dove venne tumulata.
I funerali si protrassero per tre giorni e migliaia di lavoratori da tutta la Toscana e ma anche da fuori regione, si fermarono per porgere al poeta dell’anarchia l’ultimo commosso e sentito estremo saluto.

Passaggio dei funerali di Gori a Piombino (LI), 9 gennaio 1911
(Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

L’8 gennaio diventò una data da celebrare e, anno dopo anno, fino al fascismo, il ricordo di Gori venne perpetuato da cerimonie commemorative, poesie, conferenze, articoli rievocativi e molti paesi e città, soprattutto della Toscana, ma anche dell’Umbria e del Lazio, affissero epigrafi a lui dedicate, al “poeta gentile insaziabile sempre, di Giustizia e Verità”.

Una cosa non va dimenticata: molti studiosi hanno affermato che Gori, al pari di Tolstoj, propugnasse un “anarchismo cristiano”, nella convinzione, non infondata, che Gesù e i primi cristiani avessero una visione della vita prossima a quella che loro propugnavano, libertaria e non violenta.
negli scritti di Gori i richiami a quella visione erano infatti frequenti.

Busto dello scultore Arturo Dazzi
dedicato a Gori, mutilato della testa
da parte dei fascisti, conservato nella
tomba a Rosignano Marittimo (Li)
(Archivio fotografico
Biblioteca F. Serantini – Pisa)

  • Bibliografia:
  • Pietro Gori, Opere, Milano, Editrice Moderna, 1946-1949.
  • Pietro Gori, La miseria e i delitti, a cura di Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci, Pisa, BFS, 2010.
  • Maurizio Antonioli, Pietro Gori, il cavaliere errante dell’anarchia, Pisa, BFS, 1995.
  • Antonio Bellandi, Carlo Della Giacoma e Pietro Gori: musica e politica nella Livorno di fine Ottocento, Livorno, Comune di Livorno, 2005.
  • Massimo Bucciantini, Addio Lugano bella. Storie di ribelli, anarchici e lombrosiani Einaudi, 2020.

Sezione iconografica:

Fine

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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