Su Franz Kafka da sempre circolano varie leggende. Una delle più famose vorrebbe che il suo testamento imponesse a Max Brod, amico ed esecutore testamentario, di distruggere tutte le sue opere.
(Sull’amicizia tra i due, qui potete leggere l’articolo di Davide Tamlaghtduff)
Ma ci è stato detto anche che Kafka fu di fatto sconosciuto in vita, che fosse costantemente terrorizzato dal brutale padre Hermann, che fosse un uomo schiacciato senza via di uscita da un lavoro puramente burocratico e infine che fosse incredibilmente sincero sulle sue debolezze con le donne.
Essendo un ebreo di lingua tedesca a Praga, era chiuso in un doppio ghetto: minoranza all’interno di una minoranza, in mezzo a un impero in via di disfacimento.
Queste affermazioni, ormai divenute classiche, non sono tuttavia del tutto veritiere.
L’avvocato Franz Kafka in realtà lasciò due testamenti a Max Brod.
E se è senz’altro vero che nel primo chiedeva all’amico di distruggere i manoscritti rimasti incompiuti, nel secondo faceva invece un elenco delle opere da salvare.
Kafka era figlio di un borghese piuttosto agiato e viveva nella casa di famiglia, situata in una delle principali piazze praghesi. Ebbe anche un suo appartamento, dove di notte scriveva, proprio nel palazzo che sarebbe diventato la sede dell’odierna Ambasciata Usa.
Al contrario dell’immagine tradizionale che ci ha sempre raccontato Kafka come un uomo poco pratico, quasi inetto materialmente, sappiamo invece che non era scarso di intraprendenza e che impiantò a Praga una sua fabbrica di asbesto, quello che oggi chiamiamo amianto.
Fu inoltre dirigente per la Boemia delle Assicurazioni contro gli Infortuni sul Lavoro: era stimato, ben pagato e fu peraltro aiutato nella sua carriera dall’amicizia con il presidente della società.
In qualità di impiegato statale di alto livello, lavorava solo sei ore al giorno ed era esonerato di diritto dal servizio militare.
Secondo studi approfonditi non fu infine per debolezza fisica che si ammalò di tubercolosi, ma, al contrario, a causa delle sue manie salutiste.
Ad esempio aveva sempre bevuto latte non pastorizzato, e si è accertato che quel latte fu la causa principale di tale patologia in tutta Europa, tanto che con il progressivo obbligo di pastorizzarlo, la tbc subito scemò nel numero dei casi.
Tra le convinzioni particolari di Kafka c’era anche quella di voler dormire e fare ginnastica tenendo sempre la finestra spalancata, notte e giorno, e quella di fare bagni nella gelida Moldava. Erano idee non certo salutari, visto che Praga d’inverno, lo si sa, è decisamente fredda.
Ai suoi tempi, di quel dieci per cento di praghesi che costituivano la classe dominante tedesca in Boemia, il quaranta per cento era costituito da ebrei ben integrati. I cechi affollavano per lo più la classe operaia, ceto a cui apparteneva anche un’amante di Kafka, la bella cameriera Hansi Szokoll, ignorata spesso nelle biografie, nonostante sieda accanto a lui nella famosa fotografia in cui lo scrittore indossa la bombetta portata sulle ventitrè.
Alcuni moderni psicologi ritengono, non si sa con quale fondatezza, che i rapporti di Kafka con le donne del suo stesso ceto fossero compromessi in partenza perché lui sentiva il bisogno inconscio di “sesso proibito” con persone socialmente inferiori.
Avallerebbero questa ipotesi anche la sua collezione di riviste pornografiche e gli abbandoni sistematici subiti da parte delle sue fidanzate.
Su questo ultimo fatto non metteremmo però la mano sul fuoco: gli abbandoni ebbero luogo spesso per motivi del tutto diversi.
Klaus Wagenbach, storico biografo di Kafka, sosteneva di aver consultato le riviste possedute da Kafka, scoprendo che Der Amethist e Die Opale non solo erano riviste erotiche e non certo pornografiche, composte principalmente da testi scritti e disegni, ma che oltretutto erano prive di qualsiasi fotografia.
Kafka era dunque un cittadino ben integrato dell’impero austro-ungarico: sperò nella vittoria dell’Impero nella Prima guerra mondiale e allestì un ospedale per soldati traumatizzati dai bombardamenti.
Anche il celebre padre di Kafka, il severissimo Hermann, era sì stato educato all’antica, ma era anche un uomo molto liberale per quei tempi, tanto da concedere al figlio maggiore, molta libertà e discreti mezzi economici.
E relativamente all’altra leggenda sul suo conto, una di quelle che abbiamo elencato in precedenza, c’è da osservare che in campo letterario, lungi dall’essere perfettamente sconosciuto, il suo nome era reputato quello di “una delle talentuose promesse su cui si puntavano i riflettori della critica”.
L’unico riconoscimento letterario che ebbe in vita gli fu attribuito in maniera rocambolesca: il premio Fontane nel 1915 era stato assegnato a Carl Sternheim, ma questi fu invitato dalla giuria a rinunciare.
Con grande onestà Sternheim, dopo aver letto dei passi dell’opera di Kafka, si dichiarò d’accordo con la giuria e così l’importo fu devoluto a quest’ultimo.
Quindi a 34 anni Kafka aveva ricevuto il denaro del prestigioso premio Fontane e aveva già dato alle stampe ben quattro libri di racconti che erano stati piuttosto ben recensiti, ed era entrato anche a far parte della scuderia del maggior editore berlinese, Kurt Woolf. E’ difficile dunque continuare ad affermare che lo scrittore fosse uno sconosciuto in campo letterario, anzi.
Nel 1918 gli imperi russo, tedesco e austriaco erano implosi e la Mitteleuropa vide ridisegnati i suoi confini, patendo anche una pericolosa iperinflazione. Parallelamente soffrivano anche le prospettive di salute di Kafka, al quale era stata appena diagnosticata la tubercolosi.
Per di più, al termine del primo conflitto mondiale lo scrittore si era trovato all’improvviso a vivere come ex suddito asburgico di lingua tedesca, in un Paese nuovo chiamato Cecoslovacchia, paese in cui cresceva un forte antisemitismo di stampo nazionalistico ceco.
Un altro fatto dato per decenni ritenuto assodato, sul quale però non concordano molti studiosi è che Kafka fosse timido con le donne.
Marketa Malisova, direttrice della Società di assicurazioni per cui lavorava Franz Kafka a Praga, dichiarò in una lontana intervista che lo scrittore amava le donne e che era da loro corteggiato.
Non si legò mai sentimentalmente a nessuna in modo definitivo perchè rifuggiva il matrimonio, certamente non l’amore, e temeva che sposandosi avrebbe subito una riduzione della propria libertà.
Di Kafka, continua la Malisova, sappiamo per certo che visse una profonda passione amorosa per Milena Jesenská, scrittrice e traduttrice.
Lei gli scrisse per chiedergli l’autorizzazione a tradurre un suo racconto in ceco e da quel momento in poi iniziò tra i due un fitto rapporto epistolare che si evolse nell’innamoramento di Franz.
La loro relazione rimase solo platonica perché la donna non volle lasciare il marito.
A proposito di lati poco noti della vita di Kafka si può raccontarne uno che si svolse nel nostro paese. Nel settembre del 1911 due giovani praghesi approdarono alla Stazione Centrale di Milano. Uno di essi era Franz Kafka, l’altro il suo grande amico, Max Brod. Erano in vacanza e provenivano dalla Svizzera, ma decisero di includere Milano e i laghi del Nord Italia nel loro itinerario di viaggio.
La sera percorsero le vie del centro di Milano dall’inizio di via San Pietro all’Orto. In un punto a ridosso del Corso principale della città, scintillava un’insegna suggestiva e vagamente mistica “Al vero Eden”. In realtà si trattava di una casa di tolleranza ben nota ai milanesi, un luogo pressoché leggendario, lussuoso e frequentato da borghesi e intellettuali.
Per il gran numero di ragazze che ospitava la sua fama aveva valicato i confini cittadini e nazionali, suscitando la curiosità dei due praghesi che ritennero l’Eden una tappa non prescindibile.
Giunti di fronte all’ingresso, dopo essersi destreggiati nel dedalo di viuzze nell’andirivieni dei passanti che nonostante l’ora tarda affollavano la zona, i due fecero entrarono attraverso la piccola porta. A questo punto ci viene in aiuto il diario di Franz che è piuttosto descrittivo: “ Il ventre si dilatò come le quinte di un palcoscenico dietro i veli… e coglieva i piccoli gesti di una figura da monumento che imperiosa infilava nella calza il denaro appena guadagnato”. Le donne in quel postribolo non gli sembrarono affatto tutte uguali: c’era quella col volto spagnolo, stretta nel bustino di seta e la francese dalle “ginocchia tonde, loquaci e affettuose”.
Ma mentre all’inizio dell’avventura Kafka si sentiva disposto a tutto, trovandosi all’interno della casa, dove l’aria era molto calda e mossa appena da un ventilatore, col tempo cominciò a sentire il suo corpo farsi sempre più pesante, forse a causa dell’imbarazzo. Decise così di andarsene, costringendo anche l’amico a una fuga repentina.
Brod annotò in seguito che se ne andarono “senza aver sfiorato e neppure rivolto la parola a nessuna delle ragazze”.
Il giorno successivo Kafka si scusò con l’amico per averlo coinvolto in quella ritirata precipitosa e nel suo diario scrisse di un “triste coricarsi” e di un ancor più “sconsolato risveglio”, a causa delle promesse che la notte milanese non aveva mantenuto.
A parere di Brod, Kafka era un uomo sin troppo coscienzioso, tanto che il suo senso di responsabilità e la sua sincerità lo facevano apparire, a tratti, come una sorta di santo.
Per capire le relazioni tra Kafka e le donne, Brod, ripercorrendo le tappe delle relazioni travagliate di Kafka, riteneva fondamentale l’incontro iniziale di Franz con Felice Bauer, il successivo e travagliato scambio epistolare tra Praga e Berlino, e la cerimonia che celebrò il fidanzamento ufficiale tra i due.
Tutto si svolse in un clima così disagiato che suggerì a Kafka alcune pagine del “Processo”, come bene intuì Elias Canetti in un suo celebre saggio.
Scriveva Max Brod: “Kafka invece era venuto direttamente nel mio studio mentre ferveva il lavoro e si era messo a sedere accanto alla mia scrivania, sul seggiolino preparato per postulanti e impiegati. E lì piangeva dicendo fra i singhiozzi:
Non è orribile che questo debba succedere?
Le lacrime gli colavano sulle guance: non l’avevo mai visto così sconcertato, così privo di sostegno.
Pochi giorni dopo ritornò a Zürau, dopo avermi fatto leggere una lettera destinata a Felice. Il suo atteggiamento di fronte a lei era deciso e risoluto. Egli aveva rinunciato non soltanto a lei ma a qualsiasi possibile felicità coniugale”.
Dopo, nella sua vita ci furono Milena e Dora Diamant, la prima, impossibilitata ad avere una relazione con Kafka perché sposata, e la seconda che con la sua giovinezza rappresentò una temporanea fuga dai demoni che lo assillavano.
Con Dora Kafka andò a convivere a Berlino, riuscendo così finalmente, dopo altri tentativi, a distaccarsi dalla famiglia e acquisire una propria indipendenza.
Dora, Max Brod e il Dott. Klopstock costituirono il piccolo nucleo di persone che assistettero Kafka e lo accompagnarono nel drammatico percorso finale della sua malattia. Lo scrittore si spegnerà infatti nel 1924, appena quarantenne, nel sanatorio di Kierling nei sobborghi di Vienna, per una laringite tubercolare.
E quando i dolori atroci non lo facevano più neppure parlare, su preghiera di Dora, lo scrittore Franz Werfel cercò di fargli assegnare una stanza singola perché avesse un pò di quiete, ma il direttore della clinica, non chiamando nemmeno il degente per nome, rispose che per il numero 12 la richiesta non era accettabile perché non ne aveva diritto!
Tra realtà e leggenda, il ritratto più veritiero di Kafka ce lo ha forse lasciato colei che più lo aveva compreso, ovvero Milena Jesenska, che così lo descrisse: “La vita per lui era qualcosa di diverso da tutti gli altri umani. Mentre noi tutti siamo apparentemente capaci di vivere ma spesso ci rifugiamo nel sogno, nell’ottimismo, nell’illusione, Franz non trovò mai un rifugio, una finzione che potesse proteggerlo, perché era assolutamente incapace di mentire a se stesso. Perciò non è stato mai al riparo da tutti quei fatti della vita da cui noi sappiamo proteggerci con piccole bugie: era come un uomo nudo in mezzo a un mondo elegantemente vestito. Era solitario perché aveva terrore della vita, ma mai diventò un asociale o rifiutò i simili, anzi, amava molto scherzare.
Era una persona timida e buona di animo, che vedeva un mondo pieno di dèmoni che tentavano di distruggere l’uomo indifeso, ed era troppo lucido e troppo saggio per poter vivere la vita di tutti, come la vivono tutti.
I suoi lavori, come le sue lettere, sono laceranti perché sono pieni dello scherno amaro e dello stupore di un uomo che ha visto il mondo con tanta chiarezza che non l’ha sopportato perché non voleva o sapeva rifugiarsi, come tutti fanno, in qualcosa di falsamente consolatorio: egli non ha mai voluto ne saputo ingannarsi”.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.