Pochi giorni prima di cadere definitivamente in preda alla follia che avrebbe accompagnato gli ultimi anni della sua esistenza, Schumann, come raccontava la moglie Clara, credette di ricevere la visita notturna di due compositori da lui molto amati: Franz Schubert e Felix Mendelssohn. Secondo il suo racconto, i due gli avrebbero cantato un meraviglioso tema, una melodia che Robert si affrettò ad annotare sullo spartito, sul quale scrisse poi, con grande rapidità, una serie di variazioni, le cosiddette ” Variazioni degli Spiriti”
Con questo episodio, ci ritroviamo all’improvviso catapultati nel cuore del dramma schumanniano, nei giorni che precedettero, cioè, il suo fatidico tentativo di suicidio, giorni segnati dalle presenze sempre più angoscianti di voci celestiali e di voci spaventose.
Eppure, nonostante tutto questo, non si può fare a meno di cogliere l’intimo nocciolo della produzione schumanniana, che perfino nel suo estremo lascito ci permette ancora una volta di constatare come l’arte davvero grande parta dall’uomo, ma non parli solo dell’uomo, spingendosi ad affermare qualcosa sul mondo e sul suo significato, sfociando in qualcosa che va al di là della stessa volontà del compositore.
Il tema delle variazioni ci appare allora come un punto d’arrivo ancor più che come un incipit: sembra davvero l’affermarsi di quella “musica lieta” che il compositore aveva inseguito per tutta la vita senza mai trovarla.
Siamo come messi di fronte alla bellezza della luce ultraterrena prima dell’inizio del dramma. Un modo eloquente per dire che la speranza non è “dopo” ma qui, adesso, in questo istante, l’unico in cui si può dischiudere il dono della serenità.
Dedicate alla sua amata moglie Clara, le “Variazioni” furono scritte solo poche settimane prima che il loro autore fosse ricoverato in un manicomio, e furono l’ultimo brano musicale che creò.
Gli eventi che avevano preceduto e accompagnato il ricovero di Schumann in manicomio (egli gettò la sua fede nuziale nel Reno, tuffandocisi subito dopo, in un disperato tentativo di suicidio) portarono la moglie Clara a custodire gelosamente il manoscritto, alla maniera di una reliquia sacra, e a non permettere che le variazioni venissero pubblicate finchè lei fosse rimasta lei in vita.
La prima edizione apparve, così, solo nel 1939.
Nel corso della sua vita, Schumann era stato afflitto da quello che ora chiameremmo disturbo bipolare.
Consapevole di questi lati contrastanti e plurimi della sua personalità, diede loro dei nomi: “Florestan” era l’artista energico e appassionato che poteva scrivere una sinfonia in soli quattro giorni, mentre “Eusebio” era il genio introverso e malinconico.
Nel 1854, anno in cui furono composte le “Variazioni degli spiriti”, Schumann oscillò pericolosamente tra la follia e la lucidità, ben consapevole, tuttavia, della sua instabile condizione mentale.
In diverse occasioni, infatti, aveva pregato Clara di farlo internare se fosse stato necessario.
Il 17 febbraio si alzò nel cuore della notte e scrisse un tema, che, come si è già accennato, credeva gli fosse dettato dagli spiriti di Mendelssohn e di Schubert.
Al mattino, quelle voci angeliche, nella sua testa si erano trasformate nelle voci orribili di “tigri e iene”.
Sebbene Robert ritenesse che quello scritto fosse un motivo completamente nuovo, il tema era in realtà uno di quelli che aveva usato in un suo quartetto d’archi, del 1842 e, nel movimento lento del suo concerto per violino, scritto appena quattro mesi prima.
Felicissimo, comunque, del tema iniziò a scrivere una serie di variazioni su di esso.
“Un tema meravigliosamente commovente e devoto”
scrisse Clara.
Schumann apriva l’opera con una semplicità corale, intima e introspettiva.
Nella prima e terza variante il tema ha diversi accompagnamenti di terzine: la prima Variazione vi si mantiene fedele, anche se introduce una linea interna melodica ritmicamente più mossa e tormentata; la seconda variante “sdoppia” il tema, che dialoga con sè stesso seguendo un procedimento canonico non troppo rigoroso.
Robert Schumann | Variazioni per pianoforte su un tema originale in mi bemolle maggiore “Geistervariationen”
Estratto dal concerto registrato il 23 aprile 2018 presso lo studio 106 della Maison de la radio, Parigi.
Pianista: Cédric Pescia
È una sorta di “introspezione” sul tema, e l’autore sembra voler saggiarne le sue potenzialità interne.
Con la terza Variazione gli ornamenti della linea principale, che resta sempre e comunque chiaramente riconoscibile, sembrano mimare figure di danza quasi settecentesche, mentre il tema scende sempre più “in profondità”.
Nelle prime tre varianti, il tema rimane quasi invariato, solo che viene cantato alla mano sinistra nella terza variante. La quarta variante è una dolente parentesi in cui la sofferenza e una nostalgia insondabile tengono banco. L’elegiaca tonalità di sol minore serve a Schumann per scandagliare le più sottili sfumature del dolore, ma, nonostante tutto, il tema, pur trasfigurato in una sorta di marcia funebre, rimane riconoscibile, resistendo a ogni tentativo di frantumazione.
La tristezza, sembra dirci la musica, è una parte ineliminabile della vita.
Le armonie sono piuttosto statiche, dando vita a una sensazione sospesa, come se potesse scivolare via in qualsiasi momento.
L’ultima parola è affidata alla quinta Variazione, che torna alla tonalità iniziale.
Qui Schumann sente, e ci fa sentire, un’inquietudine che, lungi dall’arrestarsi in un lamento sulla condizione umana, è continua febbre e tensione verso qualcosa di non pienamente definibile. A questo “misterioso qualcosa”, Schumann non può rinunciare, tanto che, nell’ultima battuta della composizione, sentiamo ancora risuonare le due note che costituiscono l’ossatura del Tema.
Questo semplice e commovente tocco conclusivo, forse il desiderio di un terreno solido su cui poggiarsi, ha il potere di richiamare alla memoria tutto l’itinerario fatto, con la potenza di una domanda essenziale lasciata in sospeso.
La quinta variazione è quindi più agitata, ma non per questo meno espressiva delle altre: il tema si dissolve nelle figure tremolanti della mano destra e diventa sempre meno definito, fino a quando non scompare definitivamente, e la musica evapora in lontananza.
Forse proprio in quella domanda aperta possiamo trovare la chiave di lettura dell’intera opera Schumanniana e la sua capacità di parlare ancora oggi al cuore degli uomini di ogni tempo, ridestando in ciascuno quel coraggio nella ricerca che, sola, può dare gusto all’esistenza.
Schumann completò queste variazioni nelle successive giornate, lavorandovi il 22 e 23 febbraio 1854, sempre come riferisce Clara, e iniziò a correggerle il 27 febbraio, giorno in cui tentò il suicidio gettandosi nelle gelide acque del Reno.
Ripescato fortunosamente e ricondotto a casa, concluse il lavoro il giorno successivo e lo inviò alla moglie, che, nottetempo, si era rifugiata, coi figli, presso un’amica, temendo per la propria incolumità durante le crisi del marito.
Schumann fu infine rinchiuso nel manicomio di Endenich e vi rimase fino alla sua morte, avvenuta il 29 luglio 1856.
La musica da lui scritta negli ultimi tempi sembrava rivelare tutta la fragilità e la malinconia del compositore.
Numerose opere citano il Geistervariationen, ad esempio, le “Variazioni su un tema di Robert Schumann, Op 23” di Brahms, per pianoforte a quattro mani e i “Seven Fragments for Orchestra in Memory di Robert Schumann” (1989) di Aribert Reimann.
Negli ultimi tempi Robert Schumann era stato afflitto da vere e proprie torture mentali.
Come detto, gli apparivano in visioni notturne Franz Schubert e Felix Mendelssohn, che gli cantavano le melodie più meravigliose, ma il musicista era anche tormentato anche da rumori raccapriccianti, suoni orribili che davano alla sua anima sensibile un tormento che lo fece impazzire a poco a poco.
Clara Schumann notava nel suo diario il 17 febbraio 1854:
“Durante la notte Robert si è alzato ancora e ancora e ha scritto un argomento che gli spiriti di Schubert e Mendelssohn gli hanno cantato, e sul quale ha fatto variazioni toccanti e commoventi per me.”
Già da alcuni giorni Schumann annotava regolarmente fatti che testimoniavano il crescere della sua malattia mentale.
Il 10 febbraio 1854, annotò nel suo diario “Udito rumore molto forte e un tintinnìo imbarazzante fino a sera”.
Due giorni dopo, il 12 febbraio: “Ancora peggio, ma anche meraviglioso”.
Nel diario, ilmcompositore scriveva di seguire una voce, nei due giorni seguenti, una “meravigliosa sofferenza” e “molto forte verso la sera, musica meravigliosa“.
I primi segni di alterazione si erano manifestati comunque molto prima.
Schumann aveva lottato con il suo destino già in giovane età, soprattutto quando la sorella minore Emilie mise fine alla sua vita all’età di soli 25 anni e poco dopo, nel 1826, quando il padre morì: già allora il compositore pensò di essere molto, troppo vicino alla follia.
Aveva sempre presentato segni di un disturbo maniaco-depressivo, ma Schumann, presumibilmente riuscì ad equilibrare la sua vita camminando su una linea sottile, ma camminando sempre vicino all’abisso, lottando costantemente per vivere una vita “normale”.
Senza ricordarlo, il compositore tedesco aveva già lavorato sul tema delle variazioni “degli spiriti”: era stato nell’anno precedent, il 1853, e lo aveva fatto precisamente col secondo movimento del suo unico concerto per violino in re minore.
Il 7 ottobre 1853, Schumann suonò per la prima volta il suo concerto per violino al pianoforte con sua moglie Clara, compositrice anch’ella, considerata anche la migliore pianista della sua epoca.
Clara però, e in seguito anche l’amico violinista Joseph Joachim, non sembrarono essere molto convinti di questo lavoro.
Pertanto il concerto per violino si impolverò nei cassetti per decenni e venne presentato per la prima volta molton tempo dopo, in occasione di un concerto nel 1937.
Quel concerto per violino si fece cioè strada nel repertorio delle sale da concerto assai tardi, ma a torto, almeno secondo il violinista Thomas Zehetmair:
“è un’opera molto emotiva ed incredibilmente profonda. Romantico come non mai, diventa davvero difficile da nascondersi sotto la pelle quando Schumann mentre scrive e rivive in tale musica!”
La violinista tedesca Julia Fischer, che esegue spesso il concerto per violino di Schumann, dice:
“Schumann pensava pianisticamente. Devi prenderti il disturbo di pensare al piano, quindi capisci cosa voleva dire Schumann”.
Johannes Brahms ringraziò il suo padre spirituale, sponsor e amico quando, nel 1863, ad Amburgo, compose le già citate “Variazioni su un tema di Schumann in mi bemolle maggiore per pianoforte a quattro mani, op. 23”, riprendendo proprio il tema di quelle variazioni.
Emanuel Axe e Orion Weiss suonano le Variazioni di Brahms su un tema di R. Schumann nello Stanley H. Kaplan al Mostly Mozart Festival. Registrato il 29 luglio 2015
Con esse Robert ci dà l’ultimo saluto.
Durano solo 15 minuti.
Il tema è semplice, simile ad un inno, intimo e riflessivo, sul quale Schumann creò il ricordato ciclo di cinque varianti.
Sono variazioni squisite, e sebbene il loro stile sia la quintessenza di Schumann, altamente espressivo e occasionalmente un pò lirico, in esse il compositore non ha mai perso di vista il tema, anche quando, in una variante, la musica si inserisce in una chiave minore.
Il pezzo è ancora oggi poco conosciuto.
Più di un libro importante su Schumann omette qualsiasi riferimento significativo alla sua qualità, ma si tratta comunque di un capolavoro, e contemporaneamente è anche un pezzo di una storia, che per Schumann ha avuto momenti disperati, in cui la sua salute mentale visse condizioni di assoluta gravità.
Come sappiamo, il,compositore gli sopravvisse per soli due anni.
Con esse entriamo nell’anima travagliata dell’artista e intraprendiamo un viaggio attraverso l’interiorità più profonda del romanticismo, che presenta qui le sue emozioni senza alcuna protezione, perché tutti i filtri e le coperture cadono.
Diventiamo un tutt’uno con il grande compositore: attraverso la sua musica ci si rende conto che nessun’altra forma d’arte può trasmettere emozioni così intense e creare un legame altrettanto forte tra il creatore e l’amante dell’arte
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.