Julius Erving e Wendell Ladner: il mito e l’oblìo

                       

È stato LeBron James prima di LeBron James, Michael Jordan prima di Michael Jordan.
Un fenomeno che ha aperto la strada al moderno del basket, una leggenda che ha mostrato a quel gioco ciò che sarebbe stato il futuro.
Sono passati 32 anni da quando Julius Erving ha smesso di incantare sui parquet, eppure resta un simbolo che va oltre i limiti generazionali e nazionali.

“Come Pete Maravich, penso di aver dato alla gente un assaggio di futuro. Negli anni 70 la Aba ha mostrato agli appassionati cosa il gioco poteva essere e cosa sarebbe diventato. Un modo di giocare spettacolare, costantemente al ferro. Penso di aver ispirato un po’ di gente.

Fa piacere che anche Michael Jordan dice che l’ho ispirato”,

diceva Erving in una intervista.
“L’aura della leggenda del basket l’ho sentita tra il 1976 e il 1977, tra la vittoria dell’ultimo titolo Aba con i New York Nets e il successivo ingresso in Nba con i Philadelphia 76ers. Quella squadra era una sorta di rock band, perché avevamo tutti dei soprannomi strani che piacevano alla gente: World B. Free, Joe Jellybean Bryant, Darryl Dawkins, George McGinnis.
C’era tanta attenzione su di noi, ed è lì che ho cominciato a sentire che qualcosa era cambiato. Credo che la convalida sia arrivata solo quando ho vinto il premio di MVP nel 1981, dopo tanti secondi posti, e poi col titolo del 1983 coi Sixers. Ma quell’aura di leggenda l’ho percepita già a metà anni ‘70 e poi fino alla fine della mia carriera”.

Sono passati quarant’anni da quando, il 27 maggio del 1981, Julius Erving venne nominato Most Valuable Player della regular season NBA: Fu un evento entrato nella storia perché “Doctor J”, fu l’unico giocatore a ricevere questo riconoscimento, sia nella ABA che nella NBA.
Prima di diventare una stella nel panorama NBA, Julius Erving era stato uno dei giocatori più importanti della ABA.
Dopo aver iniziato con due stagioni ai Virginia Squires, Erving fece il salto di qualità andando ai New York Nets nel 1973.

Julius Erving con la maglia dei New York Nets

Nella Grande Mela “Doctor J” diventò il giocatore più rappresentativo della giovane lega, qui in tre anni vinse due titoli di squadra, tre MVP della regular season, e due MVP dei playoff. Dopo la stagione 1975-76 (con il titolo vinto dai Nets contro i Denver Nuggets), i Nets si unirono alla NBA e Doctor J divenne una delle stelle anche nella lega più antica.                                                                                      
Non era solo un campione, ma l’essenza stessa del basket: atletismo sfrenato, tecnica sopraffina e, soprattutto, spettacolo. Questo ha rappresentato per la pallacanestro fra gli anni ‘70 e gli ‘80 Julius Winfield Erving, detto Doctor J.
E’ stato appunto un mito del basket Aba prima e Nba poi, un atleta di oltre due metri con gambe, mani e braccia lunghissime, una reattività da ginnasta, un’agilità da brevilineo ed una velocità da pistard, pur essendo alto due metri.  

Il suo senso per lo show ha letteralmente cambiato lo spirito del gioco: erede di Wilt Chamberlain nel ruolo di stella assoluta, tecnicamente parlando è stato lui il papà cestistico dei grandi giocatori showman venuti fino a oggi alla ribalta del suo sport.
Riferimento assoluto di un certo modo di fare basket, per lui comunque lo spettacolo era nell’interesse della squadra e doveva arrivare insieme al risultato.
La bella giocata assumeva pertanto un valore assoluto.
Prima fra tutte la specialità della casa era quella schiacciata in cui riusciva a saltare, avvitandosi, al di sopra delle braccia dei difensori, rimanendo così a lungo in aria da far gridare al miracolo.

Julius Winfield Erving è nato il 22 febbraio 1950, a East Meadow, New York. 
Il suo avvicinamento alla palla a spicchi risaliva all’infanzia: fin dai suoi otto anni, con i compagni di scuola, passava tutto il giorno le giornate al playground, a giocare a tre contro tre o a far gare di horse. Solo che Julius Erving era più bravo dei compagni e questo suo talento lo portò poi a trasformare il basket in un sogno per una carriera da professionista.
Nei playground, come il mitico Rucker Park di Harlem, fece i primi movimenti da cestista, prima di raggiungere la notorietà al liceo e all’Università del Massachusetts. Proprio ai tempi della high school Erving disse ad un telecronista: “Chiamami Dottore”, nacque così Doctor J, il nickname che lo avrebbe seguito per sempre.

Julius Erving

Dopo l’università, la franchigia pro dei Virginia Squires lo scelse al primo giro, facendo un bel favore all’emergente lega professionistica Aba (American Basketball Association), all’epoca in aperta concorrenza con la Nba.
Passato ai New York Nets dal 1973 al 1976, Doctor J vinse due titoli, contribuendovi con quasi 27 punti di media a partita, e continuò ad essere l’atleta di spicco della nuova lega. Nel 1976 l’Aba fu assorbita dalla più importante National Basketball Association (Nba), ma l’ala piccola Erving continuò a essere ciò che era: il più forte tra i suoi contemporanei.
Julius lasciò New York per trasferirsi ai Philadelphia 76ers, squadra con cui giocò tutto il resto della sua lunga carriera. Il suo passaggio ai Sixers avvenne dopo che i New York Knicks rifiutarono un contratto a Doctor J: ancora oggi si parla di questa decisione dei Knicks come una delle più sbagliate della storia NBA.
Erving era quindi pronto ad affermarsi, a tutti gli effetti, come uno dei migliori in circolazione. Le sue giocate meravigliose facevano vendere i biglietti e lo stadio, con lui in campo, era sempre pieno, ma Julius non si limitava solo allo spettacolo, uno dei suoi talenti migliori era, infatti, la capacità di giocare per la squadra.
Non a caso i Sixers, che prima dell’arrivo di Dr J stavano vivendo uno dei periodi peggiori della loro storia, nel 1977 tornarono alla finalissima NBA, riuscendo a battere in finale di conference est i Boston Celtics, la squadra più forte di quegli anni, venendo successivamente sconfitti dai Portland Trail-Blazers di Bill Walton.
Dopo aver perso di nuovo le Finals, nel 1980, contro i Lakers, nel 1980-81 Erving visse la sua stagione migliore, vincendo l’MVP e trascinando i suoi alle Finals, nelle quali, ancora una volta, vennero sconfitti dai Lakers.

La spettacolare elevazione di Julius Erving

Dopo quella bruciante sconfitta, la dirigenza di Philadelphia si rese conto che con Erving in squadra si doveva vincere almeno un titolo, ma si rese anche conto che per rendere ciò possibile mancava un tassello: un vero centro potente e tecnico.
Questo tassello arrivò nell’off-season ’81 e si chiamava Moses Malone.
Erving-Malone rappresentano a tutt’oggi uno delle coppie più forti della storia della pallacanestro professionistica americana.
Grazie a questi due, Philadelphia riuscì a conquistare il suo primo titolo, battendo i Los Angeles Lakers, con un secco 4-0, ed erano i Lakers di Jabbar! Julius vinse anche il titolo di Mvp, quello cioè di miglior giocatore della lega per il 1981. Undici furono le sue apparizioni consecutive all’annuale All-Star Game.
Campione Nba a 33 anni, quando ormai il tempo per farcela era rimasto poco e persino gli avversari, ammirati dalla sua bravura e dalla sua classe, speravano che riuscisse a colmare l’unica lacuna rimasta di una carriera leggendaria, nei quattro anni successivi il campione newyorkese calò sul piano fisico, ma continuò a imporre la propria intelligenza tecnico-tattica fino al 1987.
Nel 1987 decise di chiudere la carriera, con un addio spettacolare.
La sua vita al di fuori del basket è stata caratterizzata da un rapporto extraconiugale che ha portato alla nascita di una bambina con la quale allacciò rapporti solo quindici anni più tardi, ha ispirato inoltre un’intera generazione di rapper con i suoi modi di fare molto “di strada”.
Sposato due volte, ha avuto complessivamente sette figli. Oggi è un imprenditore di successo anche nel campo televisivo.
Il successo di Dr J non si limitava semplicemente al parquet: scarpe con il suo nome, spot pubblicitari, apparizioni in TV rendevano Erving uno dei giocatori più amati dell’intera lega.
La sua faccia simpatica e i suoi capelli afro erano su tutti i manifesti pubblicitari delle grandi città, cosicché anche chi non era appassionato di basket, aveva l’occasione di apprezzarlo.

C’è una storia poco nota nella carriera di Erving, una storia che pochi ricordano.
Julius aveva un compagno di squadra di cui era amico fraterno, Wendell Ladner, bianco.

Wendell Ladner

Sopra New York il cielo era di piombo in quel giorno di fine giugno 1975.
Il Boeing 727 della Eastern Airlines proveniente da New Orleans era nell’ultima fase dell’avvicinamento per l’atterraggio, quando un fenomeno di “windshear” provocò un’improvvisa perdita di quota, così l’aereo si schiantò a meno di un chilometro dalla pista dell’aeroporto JFK.
Kevin Loughery, coach dei New York Nets, stava distrattamente guardando la televisione quando tra le immagini delle lamiere contorte gli parve di vedere una sacca con i colori della sua squadra.
Telefonò a Erving, allora stella dei Nets, e gli chiese dove si trovasse Wendell.
Doctor J gli rispose che Wendell era andato in Louisiana per degli spot pubblicitari: quella fu la conferma che il popolare atleta figurava purtroppo tra le 113 vittime del disastro aereo!
Wendell era nato nel ’48 a Necaise Crossing, un piccolo borgo ad una ventina di chilometri dal Golfo del Messico, dove il padre aveva una piantagione di cotone.
Per un attimo, visto il fisico che stava sviluppando, aveva pensato di lasciare il basket per il football, poi una stagione da 37 punti a partita, 40 vittorie e 3 sconfitte per il liceo North Hancock, con l’annesso titolo statale del Mississipi e l’inclusione nella squadra All America gli aveva fatto cambiare idea.
Dopo il college a Southern Misssissippi, l’NBA non gli aveva prestato molta attenzione e così si era risolto a firmare un contratto per i Memphis Pro dell’ABA.
A sorpresa, le sue performances erano state la ragione principale per cui Memphis aveva raggiunto i playoffs ABA.
Sul campo da basket era energia pura: tirava malino dalla da tre punti, ma giocava con grande intensità e difendeva con una ferocia senza eguali. Ogni palla vagante doveva essere sua e spesso si gettava a terra o tra il pubblico per recuperarla.

Una figurina di Wendell Ladner

Nella sesta partita dei playoffs del 1973 Wendell si tuffò su un pallone finendo per schiantarsi contro un distributore d’acqua la cui boccia finì in frantumi.
In un attimo l’atleta fu coperto del suo stesso sangue, mentre una signora in prima fila sveniva: ebbe 48 punti di sutura.
Aveva amicizie femminili in ogni città e quando andò a vivere nel condominio in cui abitava il compagno Julius Erving, la sua leggenda si ingigantì.
Una mattina “Doctor J” lo vide correre verso la spiaggia e gli chiese se non fosse presto per un bagno: Ladner gli rispose che si era dimenticato di avere lasciato una ragazza a casa, era tornato con un’altra e ora le due stavano azzuffandosi per decidere chi avrebbe potuto rimanere!
Era un difensore duro e implacabile e nel tempo aveva sviluppato la fama di “fighter”, di uno che non si tira indietro quando scoppia una rissa in campo.
Ma nel basket di quegli anni Wendell forniva alle sue squadre solidità e tranquillità: chi alzava un solo dito su Erving o su uno degli altri Nets, sapeva che poi avrebbe dovuto fare i conti con Wendell.
Vinse un titolo a New York, fu due volte All Star ABA, eppure i suoi compagni di allora giurano che le risse non fossero affatto la sua dote migliore.
La sua morte scosse l’intera lega e anche dall’NBA giunsero parecchi messaggi di cordoglio. Il funerale venne celebrato a Necaise Crossing, nella chiesa sita a poche centinaia di metri dal campetto in cui Wendell e i suoi amici accendevano il falò per giocare a basket anche col buio.
Vi parteciparono oltre 600 persone e in quello sperduto paesino del sud c’era un solo nero: Julius Erving, che nell’elogio funebre con sentiti pensieri, espressi con le giuste parole, diede un grande conforto alla famiglia del suo amico scomparso.                                                                                           
Erving, come si è detto, non è stato un giocatore normale, ma un giocatore speciale in una epoca veramente unica.
I motivi per cui si ama il basket sono molti: la tensione, lo spettacolo, i vincitori, i vinti, le finali, i buzzer beater, le schiacciate. Ci sono tantissime cose che rendono questo sport meraviglioso.
Ci sono poi i giocatori che rendono tutto ciò possibile e, soprattutto, c’è qualcuno che, nella categoria “schiacciate” ha avuto da dire la sua, qualcuno che ha talmente influito su questo sport al punto che, qualche anno dopo, un certo Michael Jordan affermerà

“Without him you wouldn’t have me”

(senza di lui, non mi avreste mai avuto!),

e si riferiva ad quello che si annovera tra i più grandi di tutti i tempi: Julius “Doctor J” Erving.
Il suo senso per lo show ha letteralmente cambiato lo spirito del gioco e con le sue prodezze negli anni 70 e 80 è stato il vero papà cestistico di Michael Jordan, Kobe Bryant e LeBron James.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *