Christopher Marlowe: genio e mistero

È stato la voce maledetta nel periodo di massimo fulgore del teatro elisabettiano. 

Con Christopher Marlowe i testi assunsero toni provocatori e crudeli contro l’ipocrisia del mondo in cui si trovava a vivere, un mondo che gliene presentò presto il conto. 

L’influsso del protestantesimo e quello del Rinascimento italiano si fecero sentire in Inghilterra quasi contemporaneamente, dando origine ad un’epoca piena di conflitti in cui gli aspetti più cupi della religione riuscivano ad insinuarsi comunque in un panorama caratterizzato dalla fiducia rinascimentale nell’uomo.
Contemporaneamente vi si affermava un movimento di tipo naturalistico, influenzato dagli scritti di Giordano Bruno, per il quale la sola realtà è quella empirica, concezione che provocò una terribile ma comprensibile confusione in animi la cui fede tradizionale venne scossa da tali concezioni della natura e dell’uomo.
La seconda metà del sedicesimo secolo fu l’epoca delle persecuzioni religiose,  quelle contro i liberi pensatori e contro le letterature profane italiane e francesi, e fu anche un periodo di dibattiti sulle grandi questioni esistenziali, quali il rapporto dell’uomo con Dio o sull’interpretazione delle Scritture, ma soprattutto furono gli anni della controversia fra i seguaci del sistema aristotelico e i neoplatonici.
Si ossequiava la ragione ma contemporaneamente ci si rifugiava in tutto ciò che racchiudeva in sé l’idea di mistero: era frequente l’accostamento tra ateismo e “magia”.
Da questa situazione, in bilico tra conservazione e spinte in avanti, prese le mosse l’opera di Marlowe che visse in pieno tutte le contraddizioni della sua epoca.

Christopher Marlowe nacque nel febbraio 1564 a Canterbury, da John Marlowe, calzolaio e conciatore, un uomo benestante, e da Katherine Arthur, figlia di un ministro del culto, e fu il secondogenito di una prole di nove figli.
Dopo aver frequentato la King’s School di Canterbury, vinse una borsa di studio per iscriversi nel 1580 al Corpus Christi College di Cambridge. 
La sua carriera scolastica fu di tutto rispetto: ricevette una ricca preparazione nell’ambito della teologia, della letteratura e della retorica classica, acquisizioni che contribuiranno tutte al formarsi del suo linguaggio poetico. 

La casa natale di Marlowe a Canterbury, distrutta dai bombardamenti tedeschi nel 1942

Probabilmente fu a Cambridge che venne notato da emissari della regina che volle  arruolarlo nella rete di spionaggio messa in piedi dal Segretario di Stato Walsingham.
La necessità di un simile apparato era dovuta al fatto che sotto il regno di Elisabetta I i cattolici tramarono ripetutamente contro la regina protestante, ispirati probabilmente dalla cattolica Maria Stuart, sovrana di Scozia. 
Marlowe intanto continuava i suoi studi su autori italiani, scrittori e filosofi  dissidenti dalla Chiesa, come Giordano Bruno e Machiavelli.
La sua frequentazione dell’ambiente degli “University Wits”, un gruppo di autori teatrali formatisi nelle università, e della cosiddetta School of Night nata intorno a Sir Walter Raleigh, ne fecero un personaggio discutibile per quei tempi.
Moderni studiosi ipotizzano, producendo alcune prove, che avrebbe scritto a quattro mani con Shakespeare alcune tragedie come Enrico IV e Tito Andronico proprio nel periodo della sua frequentazione del circolo di Sir Raleigh.

Il busto di Shakespeare che si trova a Stratford-on-Avon, ritenuto uno dei due ritratti più fedeli del drammaturgo 

Dopo la laurea, nel 1587, si trasferì a Londra. Era appena ventitreenne e presumibilmente continuava a lavorare per i servizi segreti.
Presto si creò intorno a lui la fama di ateo, favorita anche dalla sua vita dissoluta.
Riferite allo stesso anno abbiamo notizie di una sua prima produzione letteraria di drammaturgo e di fine traduttore dei classici.
Negli anni universitari, con le traduzioni degli “Amores” di Ovidio e della “Farsalia” di Lucano, Marlowe aveva del resto maturato una notevole abilità metrica, tale da fare di lui un maestro del blank verse, il verso sciolto.

Appartengono a questo periodo la tragedia “Didone, regina di Cartagine” e, scritte fra il 1587 e il 1588, le due parti del “Tamerlano il Grande”.

Agli anni compresi fra il 1589 e il 1593 si può far risalire la più importante  produzione dell’artista in campo teatrale: prima scrisse “L’eccidio di Parigi”, poi “L’ebreo di Malta” e infine l’“Edoardo II”.

La copertina del “Edoardo II” nell’edizione del 1594

Riguardo alla datazione della “Tragica storia del dottor Faust”, il suo lavoro fondamentale, continuano ancor oggi ad esserci notevoli incertezze: per alcuni sarebbe precedente al 1590, per altri sarebbe stato scritto nel 1593 e andrebbe considerato quindi l’ultimo suo scritto, quasi un testamento letterario. 

Il 18 maggio 1593 il Consiglio privato del Re ordinò a Henry Maunder, messaggero di Sua Maestà, di recarsi dal signor Thomas Walsingham, nel Kent, o in qualunque altro luogo si trovasse Christopher Marlowe, e di arrestarlo per ateismo. 
Marlowe venne dunque arrestato per contrasti religiosi nel corso della violentissima campagna svolta dal puritano arcivescovo Whitgift per sradicare ogni forma di dissidenza di pensiero o di fede.
Il 20 maggio Marlowe si presentò di fronte al Consiglio privato che gli ordinò di rimanere entro 20 miglia da Londra per permettere accertamenti nei suoi confronti, ma probabilmente a causa di un’epidemia di peste insorta nei paraggi, Marlowe decise di allontanarsi e si fermò a Deptford.

Presunto ritratto di Ingram Frizer, l’assassino di Marlowe

Qui soggiornò nella casa di Eleanor Bull in compagnia di Ingram Frizer, protetto di Walsingham, di Nicholas Skeres, dipendente del conte di Essex, e di Robert Poley, spia e delinquente.
Dopo una cena, a causa di una lite nata per motivi non chiari, Frizer uccise Marlowe con una pugnalata.
La repentina assoluzione, concessa all’omicida per legittima difesa, venne poi interpretata da molti biografi come l’indizio di una falsificazione dei rapporti ufficiali, tesi così a mascherare il deliberato intento di eliminare dalla scena politica un personaggio pericoloso, o perlomeno scomodo.

 

Dall’episodio tragico di quel 30 maggio del 1593, registrato con poche parole stringate nel burocratico verbale di polizia steso nel corso dell’inchiesta, nacque la leggenda romantica dell’uomo ribelle e miscredente, libertino e provocatore, affascinato dall’occulto, coinvolto in loschi e illeciti traffici politici e forse spia.
Ciò che è certo è che con la sua fine veniva a mancare un esponente fondamentale della letteratura elisabettiana inglese che, occorre ricordarlo, non può ridursi al solo William Shakespeare.  

Cosa emerge dunque dai lavori di Marlowe?

Innanzitutto la personalità di un autore di drammi in cui assumeva rilievo il carattere individualista e dominante dei personaggi, spinti all’azione dallo spirito antropocentrico del Rinascimento.
Marlowe, a differenza di Shakespeare, mirava a produrre un tipo di teatro che risultasse scandaloso agli occhi dell’austero pubblico elisabettiano.
Nel personaggio dell’“Ebreo di Malta”, lo scandalo fu duplice perché non soltanto si portava sulla scena un ebreo, figura spesso invisa al pubblico rinascimentale, ma anche perché il prologo dell’opera era affidato all’immorale Machiavelli, autore odiato allora in Inghilterra, ma adorato da Marlowe. 

Santi di Tito: Ritratto di Niccolò Machiavelli

Nella produzione di nuovi miti, fenomeno che accompagnò l’alba dell’età moderna, Marlowe fu poi decisamente senza pari. 

Da Tamerlano il Grande, che rappresentava l’insaziabile desiderio di possedere il mondo, all’Ebreo di Malta, sinonimo della brama di ricchezza e di libertà da ogni vincolo, fino al Dottor Faust, simbolo più forte di qualunque altro della sete di conoscenza, Marlowe nella sua breve vita esplorò tutta la fenomenologia del potere e della voglia di onnipotenza.
Ripercorrendone criticamente l’opera, vi si possono identificare due percorsi: il primo va dal Tamerlano a Edoardo II e il secondo dall’Ebreo Barabba al Dottor Faust.
Sono vie letterarie caratterizzate dall’uso geniale del sublime, dosato in tutte le sue sfumature, dal grandioso al grottesco. 

C’è sempre, infatti, un doppio registro nel discorso di Marlowe:  l’affermazione e la negazione costruiscono un’ambiguità che si inseriva nel dibattito metafisico del suo tempo sull’eterna lotta fra la vita e la morte, sullo scontro tra il bene e il male e sulla perenne sfida e ribellione all’umano destino di mortalità.

Un Marlowe di gomma in versione souvenir

Nell’Ebreo di Malta prevale il tono grottesco, sin dal prologo, pronunciato da Machiavelli, fino al rapporto fra Barabba l’ebreo e il mondo cristiano.
Intento non troppo nascosto dell’opera era smascherare la cupidigia e l’ipocrisia delle religioni rivelate.
Marlowe infatti, attraverso Barabba, muoveva una feroce critica sia alla tradizione giudaico-cristiana che a quella islamica.

Dice il protagonista: “Ci sono ebrei malvagi, ma i cristiani lo sono tutti”. 

Essendo il protagonista ebreo ricco sfondato, tutti, cristiani e no, cercano di portargli via le ricchezze: dal governatore al pascià, dai frati al servo turco.
Disperato Barabba diviene il primo serial killer nella storia del teatro.
Ancora più di Shylock nel Mercante di Venezia, Barabba è un grande personaggio ebreo che non va interpretato in chiave antisemita.
Il critico Harold Bloom non sbaglia infatti quando scrive che quello

“è il personaggio più grandioso di Marlowe, quello che, come il suo autore, ha maggiormente sfidato le convenzioni morali del suo tempo. Per cui si può dire che, se Marlowe è “ateo”, lo è come Barabba, in quanto portavoce di una feroce satira non tanto contro la religione in sé, ma contro tutti i pregiudizi e tutte le convenzioni”. 

L’ironia del destino lega Barabba a Faust, altro colosso del teatro di Marlowe: entrambi superiori alla massa, ma soli nella loro sfida.
Il monologo in cui Faust rifiuta successivamente tutti i tipi di conoscenza per giungere, infine, alla scelta della magia, era non solo l’ironica presentazione dell’uomo superiore, ma anche il riconoscimento del suo inevitabile fallimento, ovvero della sua mortalità.
La stessa ironia viene accentuata nell’opposizione tra Faust e Mefistofele, che forse è da considerarsi il vero uomo moderno, quando con malinconica sicurezza afferma che 

“L’inferno è là dove noi siamo”.

L’edizione del “Faust” del 1620

Viene da chiedersi quali opere ci avrebbe donato ancora Marlowe, uno dei maggiori drammaturghi inglesi, se non fosse stato così precocemente strappato alla vita.
Ma da quella fine del resto spesso iniziano le leggende:

“Caro agli dei è chi muore giovane”

recita un detto che si può applicare a Christopher Marlowe che, in virtù della sua condotta di vita e della sua morte drammatica, può essere in qualche modo considerato un precursore dei Byron, degli Shelley, di Buchner, di Wedekind e di tutti i maudits generati dal romanticismo ottocentesco e novecentesco.

La lapide sulla tomba di Christopher Marlowe nella Chiesa di St Nicholas’ a Deptford, Londra

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

 

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