Non era altro che il rustico della villetta dove vivo qui a Latina.
Quando cominciò l’avventura di Latina Città Aperta era tutto un fermento: riunioni su riunioni, fra Piermario, Francesca e me, che si protraevano fra discussioni accese, volute di fumo a volontà e risate.
Ecco come Piermario aveva definito il “bunker”:
Il passante che si trovi a camminare in una viuzza della quale non posso fare il nome, in un quartiere residenziale di una città misteriosa, passando davanti ad uno dei cancelli, noterebbe un ingresso che, tra arbusti di graziose piante fiorite, conduce al portoncino discreto di una casa.
Nemmeno l’individuo squassato dalla più scatenata fantasia potrebbe immaginare che in quel contesto così tranquillo e rasserenante, al di sotto del piano stradale, si celi il bunker–redazione di Latina Città Aperta.
Il bunker, naturalmente, non è affatto in sintonia estetica con quello scenario rilassante, ha tutt’altro aspetto infatti.
Possiede in pieno l’aria di uno di quei posti nel quale si scatena la furia creativa di menti inclini all’azzardo intellettuale, teste in costante bilico tra aspirazione culturale e l’aspirazione di sostanze nocive.
II bunker appare significativamente come una mistura tra la consolle di un’astronave, il covo di un gruppo di esistenzialisti francesi ghiacciati negli anni Quaranta e scongelati di fresco, ed il negozio di un rigattiere.
L’ambiente è di quelli peculiari, che invitano i temperamenti più creativi ed eccitabili a sfogare senza riserve le loro idee più azzardate.
Avevo preparato una piccola scrivania con un Mac tutto per Piermario, così che potessimo stare gomito a gomito a realizzare gli articoli della rivista. Lui, oltre a scrivere gli articoli, correggeva la sintassi degli scritti e gli errori ortografici, io impaginavo e cercavo le immagini, molto spesso modificavo illustrazioni per renderle più consone allo scritto.
All’inizio avevamo degli argomenti specifici da scrivere: Francesca si occupava di scegliere e pubblicare poesie e poi scriveva articoli di natura sentimentale, sociale e politica (sempre contraddistinti da una sensibilità superiore alla media); io mi occupavo di articoli riguardanti gli anni ’70, sia musicali che di ricordi personali, ma ne ho sempre scritti pochi perché ero troppo occupato a fare il meccanico del sito, con mille problemi di manutenzione strutturale, e poi la ricerca delle immagini e la loro elaborazione comportava un lungo lavoro.
Pier si occupava di scrivere articoli di letteratura, naturalmente, e poi una storia umoristica “Le avventure di Lallo Tarallo” che sarebbe diventata in futuro una vera e propria saga.
Il nostro sodalizio era cominciato alcuni anni prima quando, mentre ero seduto sulla tazza del cesso, a fare le cose che di solito si fanno la mattina appena alzati, e dopo aver fatto colazione, leggendo un suo scritto su Facebook dove prendeva di mira alcuni politici latinensi, col suo fare sornione e acuto, presi il telefono e lo chiamai.
Pier, ‘sti scritti che metti su Facebook sono fichissimi, dovremmo fare una saga e mettere un’immagine di copertina.
Nacquero così i “Rosikators”, lui scriveva il testo e io facevo l’immagine di copertina. Piermario mi avrebbe dovuto avvertire quando ne avesse sfornato uno perché io potessi fare l’immagine.
Alcune volte però, sanguigno come era, si dimenticava di avvertirmi e così io, aprendo Facebook e vedendo il suo scritto gli telefonavo arrabbiatissimo e gli facevo dei “cicchetti mai visti”!
Quando nacque la rivista, i “Rosikators” andarono in pensione perché l’impegno per Latina Città Aperta era gravoso.
DIN DON. Piermario suonava alla porta di casa, e io sapevo che la prima cosa da fare era preparargli un caffè fumante con un cucchiaino scarso di zucchero. E poi giù nel bunker, mentre ci ingozzavamo di pasticche di Citrosodina e fumavamo come le ciminiere dell’Ilva, lui mi leggeva l’articolo di Lallo Tarallo e io, sul mio computer, controllavo gli errori di battitura, gli spazi dimenticati e i neretti, che per me erano sempre troppi. Questa della lettura/controllo del testo di Tarallo era una nostra simpatica consuetudine, Piermario leggeva con enfasi, facendo anche le vocine delle vecchine o il tono superincazzato di Tressette quando vedeva: le Smart, le roteazioni di tazzine di caffè, le Birkenstock, Jovanotti e Povia ecc ecc, poi si passava alle illustrazioni.
Fare le illustrazioni era la parte più divertente di tutto questo lavoro.
Un episodio mi è rimasto impresso nella mente e ancora oggi ricordandolo non posso che sorridere: stavamo facendo le illustrazioni di un suo articolo umoristico su la “Latina preistorica” e dovevamo trovare un’immagine che descrivesse una tipica tavernetta pontina. Trovai l’immagine e poi pensai di abbellirla con un bel lampadario!
Quando Pier la vide cominciò a ridere a crepapelle e io appresso a lui, singhiozzando e con le lacrime agli occhi. In quel mentre rientrò, dal lavoro a Roma, Olga, la mia compagna, che scese di corsa per vedere cosa stesse succedendo e ci trovò ancora a ridere come scemi.
Questa era l’immagine!!
Dopo poco cominciò a prendere forma il personaggio di Tarallo, dapprima sfumato, e via via più netto e delineato: aveva le sembianze di Gene Wilder.
Poi gli altri personaggi: la splendida fidanzata di Lallo, Consuelo, che faceva accendere i lampioni al suo passaggio (impersonata all’inizio da un’immagine di una bella sconosciuta fotografa, trovata da Pier online e successivamente dalle sembianze dell’attrice Amber Heard); l’odoroso giornalista Taruffi (impersonato dall’uomo più sporco del mondo); il Professor Cervellenstein, lo psicologo sempre circondato da belle donne (le cui sembianze sono quelle del regista George Miller); lo stralunato Omar Tressette, che rispecchiava fedelmente tutte le idiosincrasie di Piermario (anche il suo volto preso da una curiosa immagine di Internet) e infine l’odiato Direttore del Fogliaccio Quotidiano, il mellifluo Ognissanti Frangiflutti, impersonato da un anonimo figuro con la faccia da schiaffi.
E ancora mille personaggi che ruotavano attorno ai suoi eroi.
Un’altra volta stavamo cercando l’immagine per descrivere Addoloratina, la perpetua villosa e sensuale di Don Oronzo, il parroco di Santa Abbondanziana Martire. Digitammo su Google “donna pelosa” e… Santi Numi!!! Uscì fuori di tutto e di più! Proprio in quel momento entrò nel bunker Olga che, con tono minaccioso ci chiese cosa stessimo facendo e perchè sui nostri monitor ci fossero immagini di donne irsutissime oscene e pornografiche, e noi due a cercare di spiegarle l’inspiegabile, ridendo a quattro ganasce.
Ormai i personaggi erano diventati talmente vivi, che Pier diceva spesso che costoro avevano preso a dettare le vicende e lui le doveva solo trascrivere.
Poi fummo investiti dal Covid e le riunioni e le correzioni le facevamo attraverso lunghissime telefonate, anche più e più volte al giorno.
Piermario era di una precisione svizzera nello spedirmi i testi di Tarallo, spesso erano sulla mia scrivania il lunedì mattina.
Circa un anno e mezzo fa cominciarono le sue disavventure sanitarie e dopo un incredibile susseguirsi di disgrazie, analisi, cure, “verdetti”, come li chiamava lui, si è arrivati al 20 Luglio.
Ci sentivamo talmente tante volte al telefono, che ormai non facevo più neanche caso alla sua voce che faticava a uscire.
Mi telefonò prestissimo per dirmi che non era riuscito a scrivere Tarallo ma che aveva scritto un’altra cosa, molto personale, e mi chiedeva se fosse il caso di pubblicarla.
“Leggila prima e dimmi che ne pensi” mi disse
Alle 8:15 mi arrivò la sua mail.
Lessi il testo che, naturalmente, mi fece commuovere; lo rilessi tante e tante volte, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello scritto che era il resoconto della propria vita, scritto da chi sapeva di stare per perderla.
Gli telefonai per dirgli che il testo era bellissimo e che: “si, era il caso di pubblicarlo!”
Gli piacque anche la mia idea di non mettere una sua foto in copertina ma un autoritratto di Rembrandt, che mi aveva colpito per il fatto di avere una certa somiglianza con Pier.
Il giorno seguente mi chiamò e mi disse:
– Mi stanno venendo a prendere per ricoverarmi. Devono curarmi in Ospedale!
Il 23 luglio mi arrivò sul telefono un sms da Pier (non avevamo mai usato sms per comunicare) con un testo con molti errori dove diceva che non era riuscito a telefonarmi, forse per sapere come erano andati gli esami clinici che avrei dovuto fare al Gemelli.
Allora l’ho chiamato ma non mi ha risposto, più tardi ho provato di nuovo a chiamarlo ma mi ha risposto sua moglie dicendomi che l’avevano chiamata d’urgenza dall’ospedale e che la situazione stava precipitando.
Ha avvicinato il telefono a Piermario che ha detto, con una voce sofferente, che ci abbracciava forte e che però non poteva parlare per via dell’affanno.
La mattina dopo, alle 6, io, la mia compagna e altri amici eravamo alla stazione di Latina per raggiungere Pier a Modena, saremo arrivati per le 11.
Alle 9:13, mentre eravamo sul treno, ci è arrivato un messaggio:
Piermario non c’era più…
Lui odiava quelli che roteano la tazzina del caffè prima di bere, quelli che guidano la motocicletta, quelli che preferiscono i Rolling Stones ai Beatles, quelli che ascoltano addirittura quelle seghe dei Black Sabbath…
Io sono uno di quelli, ma quando glielo facevo notare lui mi guardava con quel suo sorrisetto dolce e, a parte qualche pippardone, poi faceva finta di niente; al mio compleanno mi regalò perfino un CD degli Stones, immagino come sia stato difficile per lui chiederlo al negoziante…
Queste mattine guardo il telefono, guardo la mail, guardo il messenger di Facebook… niente.
Ancora non so quando mi renderò veramente conto che il mio amico di tante battaglie, discussioni, incazzature, confronti serrati, opinioni diverse, condivisioni, risate, momenti di estrema felicità…
Insomma la “vecchia pentola de facioli” (come lo chiamavo io)
Non sobbolle più
Nato lo scorso millennio in quel luogo che, anche da Jovanotti, è definito l’ombelico del Mondo, Klaus Troföbien alias Carlo De Santis è ritenuto un vero cultore ed esperto di filosofia e costume degli anni 70/80.
È un ardente tifoso della squadra di calcio della Roma, ma non di questa odierna semiamericana e magari presto cinese, ma di quella di Bruno Conti, Ancellotti, Di Bartolomei, di quella Roma insomma che allo stadio ti teneva 90 minuti in piedi e 15 minuti seduto; è inoltre un collezionista seriale di oggetti vintage che vanno dalle cartoline alle pipe, dalle lamette da barba ai dischi in vinile.
I suoi interessi sono la musica pop rock blues psichedelica anni ’70/’80, la fotografia, la cultura hippie, i viaggi, la moto, il micromondo circostante.
Grazie ad una sua fantasmagorica visione è nata Latina Città Aperta, della quale è il padre, il meccanico e il trovarobe.
Politicamente è stato sempre schierato contro.
Spiritualmente, umilmente, si colloca come seguace di Shakty Yoni, space wisper di Radio Gnome Invisible.
Odia rimanere chiuso nell’ascensore.
Da qui la spiegazione del suo eteronimo.
Un pensiero criticabile ma libero, una mente aperta a 359 gradi.
Ma su quel grado è intransigente.