(Tony Musante ne L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento)
Nora Davis (Letícia Román), una ventenne americana appassionata di libri gialli, ha deciso di passare l’estate a Roma, facendosi ospitare dalla signora Ethel, un’amica di famiglia; ma il viaggio si rivela presto un incubo: la padrona di casa muore nel bel mezzo della notte e la linea telefonica si interrompe a causa del maltempo, perciò Nora scende lungo la scalinata di Trinità dei Monti in cerca di aiuto. Durante il tragitto però viene scippata da un passante e colpita alla testa, ma prima di perdere i sensi assiste casualmente all’uccisione di una donna davanti ad una casa che si trova in quella stessa posizione. Il mattino seguente, Nora viene soccorsa in ospedale, e alcuni medici la credono in preda al delirio a causa della morte della sua amica, e ritengono che l’omicidio sia frutto della suggestione causata dalla frequente lettura dei suoi romanzi preferiti. In quello stesso ospedale lavora anche Marcello (John Saxon), ex medico curante della signora Ethel, che la dimette subito e diventa involontariamente un suo alleato quando lei decide di far luce su quel mistero. Grazie ad alcuni indizi che ha scovato, Nora viene a conoscenza degli omicidi commessi dal “killer dell’alfabeto” che ha già ucciso tre giovani donne con delle iniziali del nome che corrispondevano ad alcune lettere dell’alfabeto. L’ultima vittima fu uccisa dieci anni prima davanti a quella stessa villa in Trinità dei Monti. È possibile che Nora abbia visto con i propri occhi un omicidio avvenuto molto prima del suo arrivo in Italia? La frequente lettura di romanzi gialli può far veramente venire delle strane idee?
Oltre ad essere considerato il capostipite del cosiddetto “giallo all’italiana”, La ragazza che sapeva troppo è anche il quarto film del regista, direttore della fotografia ed effettista Mario Bava, dopo aver girato il gotico La maschera del demonio e i peplum Ercole al centro della terra e Gli invasori.
Il giovane Bava si avvicinò al mondo del cinema grazie a suo padre Eugenio, che fu – fin dai tempi del “muto” – lo scultore, scenografo e direttore della fotografia di alcune pellicole importanti come Quo vadis? e Cabiria. Col passar del tempo, Mario divenne celebre per i modellini in scala e altri trucchi ingegnosi e verosimili – nonostante il budget ridotto – e anche per l’utilizzo di riflettori e gelatine che gli permettevano di ottenere dei contrasti di luci ed ombre e colori indimenticabili. Fu anche direttore della fotografia in altri film come Guardie e ladri di Steno e Mario Monicelli e La famiglia Passaguai di e con Aldo Fabrizi.
La ragazza che sapeva troppo – oltre ad ispirare il giovane Dario Argento per il suo Uccello dalle piume di cristallo – possiede alcuni richiami e citazioni provenienti dal cinema hitchcockiano: ovviamente il titolo proviene da L’uomo che sapeva troppo, mentre lo zoom su una maniglia della porta con la mano che entra in campo per aprirla ricordano gli stessi dettagli mostrati da Hitchcock nel celebre Rebecca, la prima moglie, quando Joan Fontaine scopre la stanza lussuosa e ancora intatta della prima signora De Winter.
È probabile che il maestro della suspence abbia ricambiato i suoi omaggi con il suo penultimo film Frenzy, con il quale condivide con il film di Bava le celebri grida di un uomo innocente che continuano a ronzare nella mente dell’accusatore, mettendo in dubbio il suo giudizio di partenza. Tale particolare verrà riproposto ancora una volta da Argento in un episodio della miniserie antologica La porta sul buio, intitolato Il tram.
Nonostante il cinema di Bava sia noto per l’uso espressionistico del colore, La ragazza che sapeva troppo attrae comunque con il suo bianco e nero che illustra una Roma notturna e alquanto pericolosa, e che si contrappone al suo fascino da cartolina nelle scene diurne. In parole povere è una “commedia con omicidi” abbastanza gradevole per gli occhi dello spettatore e con un tassello narrativo solido, anche se il regista dichiarò spesso di preferire più le atmosfere dei suoi film piuttosto che le storie e la psicologia dei personaggi. Questo sarebbe uno dei motivi per cui Bava non amò questo film quanto La maschera del demonio.
Chi ama ancora oggi il cinema di Argento, Fulci e Margheriti di certo non può non riscoprire questa pellicola; anzi, i veri appassionati dovrebbero riscoprire l’intera filmografia di Bava, giusto per cogliere le origini dei loro film preferiti. Se non fosse stato per il suo cinema probabilmente non avremmo avuto altri grandi registi come Guillermo del Toro, Joe Dante, Tim Burton e Sam Raimi, che sono solo alcuni dei grandi estimatori del regista sanremese.
Oltre all’ottima fotografia curata dallo stesso regista, ci sono altre note positive su questo film: la prima è lo sguardo espressivo di Letícia Román che, con i suoi grandi occhi e con le sopracciglia arcuate, è riuscita ad incutere curiosità e timore allo spettatore; la seconda invece consiste nel ruolo a sorpresa di Valentina Cortese, orgoglio del nostro teatro e cinema.
L’unica nota negativa potrebbe essere quella simpatica voce narrante maschile che, per quasi tutto il film, racconta le gesta e i pensieri della protagonista, sottovalutando però l’intelligenza dello spettatore. Questo non vuol dire che non ci siano stati alcuni punti della trama in cui tale voce abbia mostrato la sua utilità ma, come dice lo scrittore e sceneggiatore Francesco Piccolo, gli scrittori tendono ad usare la voce narrante come pretesto per inserire la scrittura nel cinema; perciò va sempre ricordato che in un’ottima sceneggiatura non si scrive solamente ciò che lo spettatore dovrebbe sentire, ma anche ciò che dovrebbe vedere.
Disponibilità: Negli store online si possono trovare dei DVD con la versione restaurata della pellicola, ma si può anche visualizzarla gratuitamente su YouTube in lingua italiana, con (o senza) sottotitoli in lingue straniere come l’inglese e lo spagnolo.
Lorenzo Palombo si definisce come uno studente cinefilo che ama parlare e scrivere di cinema – e recitare a memoria le battute di film e sitcom – a costo di annoiare amici e parenti.
Per Latina Città Aperta propone una rubrica intitolata “Un film da (ri)scoprire” per invitare i lettori a vedere o rivedere alcuni film acclamati dalla critica e dal pubblico che rischiano di dissolversi dalla memoria dello spettatore. La rubrica accoglie persino alcuni film europei o internazionali che non sono stati distribuiti nelle nostre sale cinematografiche.