“Come fui sul sedile accanto a Silvestro, nascosi il volto sul braccio, contro lo schienale. E dissi a Silvestro: – Senti. Non mi va di vedere Procida mentre si allontana […] Preferisco fingere che non sia esistita. […] sarà meglio ch’io non guardi là. Tu avvisami, a quel momento.
E rimasi col viso sul braccio […] finché Silvestro mi scosse con delicatezza, e mi disse: – Arturo, su, puoi svegliarti.
Intorno alla nostra nave, la marina era tutta uniforme, sconfinata come un oceano. L’isola non si vedeva più.”
(Elsa Morante, L’isola di Arturo, Einaudi Editore)
In un appartamento di zona Flaminio, a Roma, ci risiede la famiglia Forbicioni, composta da padre libraio, madre casalinga e cinque figli. Il terzogenito, Giorgio, un neo studente del liceo classico e narratore della storia, è il più sensibile ed incompreso.
Un giorno, i Forbicioni ospitano – per una ragione misteriosa – una cugina nata a Parigi, appartenente ai “Forbicioni alti”, che si fa chiamare Mignon; ma secondo Giorgio è “strana, antipatica e con la puzza sotto il naso”. Dopo aver trattato con sufficienza gli altri cugini, la ragazza instaura un legame con il protagonista, grazie alla passione in comune per la letteratura. Nonostante i sentimenti amorosi che Giorgio nutre per lei, quest’ultima accetta le attenzioni di “Cacio”, un amico del fratello maggiore “Tommy”.
Nel frattempo, il signor Forbicioni intrattiene da anni una relazione extraconiugale con una sua dipendente, mentre sua moglie si lascia travolgere da un’unica scappatella con il fratello di sua sorella, da sempre innamorato della donna.
La regista Francesca Archibugi – diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia – contava già una breve carriera d’attrice e una serie di cortometraggi, prima di esordire con questo lungometraggio che ha già catturato l’attenzione della critica e del pubblico.
Tale opera prima si è guadagnata una menzione speciale al Festival del Cinema di San Sebastián e cinque David di Donatello su cinque candidature; fra cui miglior regista esordiente, miglior attrice protagonista a Stefania Sandrelli nei panni della madre, e miglior attore non protagonista a Massimo Dapporto nel ruolo dello zio acquisito dei Forbicioni. Tutti meritati, ovviamente.
Mignon è partita possiede già tutti gli elementi peculiari del cinema dell’Archibugi: uno stile registico invisibile, ma inconfondibile; le famiglie disfunzionali; la differenza di classe; i personaggi maschili pieni di sfaccettature; la capacità di dirigere con naturalezza gli adolescenti e i bambini; i riferimenti e citazioni letterarie sapienti e le partiture musicali del consorte Battista Lena (qui in compagnia di Roberto Gatto), che contribuiscono spesso alla buona riuscita dell’intera filmografia.
Parlando di citazioni letterarie, la scena migliore del film è quella in cui Giorgio legge a Mignon il finale de L’isola di Arturo di fronte al Tevere.
In quei brevi fotogrammi si è già sentita la stima che la cineasta prova nei confronti della scrittrice romana, dalla quale ha appena finito di dirigere un nuovo adattamento de La storia per Rai Fiction, attualmente in post-produzione.
Con il celebre romanzo di formazione morantiano, il film condivide il doloroso passaggio di un ragazzo dall’infanzia alla adolescenza, segnata da un amore non contraccambiato; esattamente come quello di Arturo nei confronti della matrigna Nunziatella. Oltre a questo c’è anche un amore sincero nei confronti della narrazione esternata dal punto di vista innocente di Giorgio.