Questo è l’incipit di un romanzo assolutamente peculiare, “I fiori blu” di Raymond Queneau nella traduzione di Italo Calvino.
In effetti un prosa pirotecnica, sfavillante, piena di giochi di parole, di motti di spirito e di altre trovate linguistiche, come quella dell’autore francese, rendeva forse indispensabile che fosse un altro scrittore a metterci mano per darne una traduzione che rispettasse la statura dell’opera.
Disse poi Calvino: “Appena presi a leggere il romanzo pensai subito: «E’ intraducibile!»… ma il libro cercava di coinvolgermi… mi tirava per il lembo della giacca, mi chiedeva di non abbandonarlo alla sua sorte, e nello stesso tempo mi lanciava una sfida”.
Per i lettori di ogni generazione, quella sfida rimane aperta, con in palio una ricompensa che giustificherà ogni loro sforzo in favore di una lettura che in realtà è tutt’altro che faticosa, illuminata dal riverbero di una personalità complessa e originale.
Nato a Le Havre nel febbraio del 1903 da una famiglia di commercianti, Queneau si dimostrò prestissimo un bambino ricco di interessi, incuriosito da mille suggestioni culturali.
Ai primi suoi studi affiancò subito una discreta educazione musicale, ereditando quella passione dalla madre che amava suonare il pianoforte.
Studiò con profitto al Liceo di Le Havre, interessandosi appassionatamente alla matematica ed al cinema, passioni queste che dureranno per l’intero corso della sua vita. Raymond era un ragazzino particolare: cominciò a tenere un diario dai quattordici anni e rivelò una tendenza compulsiva alla catalogazione, a tenere liste che lo aiutassero nell’inquadrare e nel tenere a mente le tante discipline che erano oggetto dei suoi vasti interessi.
Erano quelli i tempi terribili della Prima guerra mondiale, ben avvertiti in una città come Le Havre, porto fondamentale per i collegamenti tra le due sponde del Canale della Manica.
L’amore per Charlot, per gli aeroplani, per l’archeologia, per l’algebra, per la logica, la geologia e l’egittologia, testimonia dell’ampiezza inusuale delle passioni che il ragazzo riuscì a coltivare perfino in quel periodo così poco tranquillo.
A quell’epoca risalgono anche i suoi primi tentativi di scrivere poesie e romanzi.
Nel 1920 Queneau si iscrisse alla Sorbona. A Parigi fu subito attratto dal movimento surrealista, tanto da abbonarsi alla rivista Littérature, diretta da André Breton, da Aragon e Soupau.
Per lui iniziò un periodo di studi, di giochi e di letture, con la parallela scoperta dell’anarchismo.
Nel 1922 soggiornò per due mesi a Londra e al suo ritorno l’adesione al surrealismo si fece più assidua e convinta.
Tre anni dopo sarà il servizio militare, che lo porterà anche a combattere in Algeria e Marocco, a interrompere la frequentazione di Queneau coi surrealisti.
Ancora prima della laurea in lettere e filosofia, trovò da lavorare presso il “Comptoir national d’escompte de Paris”.
Altri titoli da lui conseguiti riguarderanno discipline come la Storia e la Psicologia.
Dal paesino in cui abitava coi genitori si trasferì a Parigi nel 1927, cominciando subito a frequentare ambienti letterari e culturali, conoscendo Prévert, Desnos, Peret e Man Ray.
Nel 1928 sposò Janine Kahn, cognata di Breton, col quale entrerà in netto dissidio personale.
Negli anni Trenta fece amicizia con Bataille iniziando una collaborazione con la rivista Critique sociale di Souvarine, recensendo libri e riviste, ed interessandosi a diverse teorie filosofiche correnti.
Nel 1933 Queneau, dopo alcuni rifiuti, pubblicò finalmente il suo primo romanzo, “Le Chiendent”, Il Pantano, iniziando una collaborazione duratura con la prestigiosa casa editrice Gallimard e conseguendo un primo premio letterario.
Gli anni successivi saranno segnati dall’iperattività letteraria, dalle frequentazioni con nuovi amici, come il pittore Hélion e lo scrittore americano Henry Miller, e da clamorose rotture, come quella con Bataille, dovuta sia a dissidi intellettuali che al desiderio di spezzare il filo di suoi condizionamenti, sentiti ora come troppo pressanti.
Nel 1934 nacque suo figlio Jean Marie Charles e venne pubblicato “Gueule de pierre”, Fauci di pietra.
Due anni dopo Queneau si stabilì definitivamente a Neuilly-sur-Seine con la famiglia.
Nel 1938 iniziò la sua collaborazione con la rivista L’Intransigeant che durò circa tre anni, con una rubrica quotidiana di domande e risposte.
Nello stesso periodo fece uscire importanti articoli su temi letterari ed entrò a far parte dei comitati di lettura per conto della Gallimard, divenendo in quell’ambito sempre più influente.
Nel 1939 le forze naziste sfondarono in Francia occupandola, Queneau venne richiamato alle armi ma fu congedato meno di un anno dopo.
Nella Parigi sotto occupazione tedesca lo scrittore collaborò alla rivista Nuvelle Revue Francaise, diretta da Pierre Drieu La Rochelle, e strinse rapporti di amicizia con Marguerite Duras.
Scrisse in quegli anni “Pierrot mon amis”, cominciò ad occuparsi della più prestigiosa collana della Gallimard, la “Biblioteca della Pléiade”, e rimase in contatto con gli intellettuali che erano rimasti in città, sotto il tallone nazista: Boris Vian, Albert Camus, Sartre, Picasso ed altri ancora.
Nel 1944 venne eletto membro del direttivo del “Comitato nazionale degli scrittori”, sorto dalla Resistenza e contemporaneamente collaborò al quotidiano clandestino, “Front national”, tenendo una rubrica di critica letteraria che si spingeva però anche nei territori della storia, della linguistica, della filosofia, fino a parlare di sociologia, fisica, teatro e cinema.
Nel dopoguerra Queneau era considerato ormai un pilastro della casa editrice Gallimard e uno scrittore ed intellettuale degno di considerazione. Fu tra quelli che invitarono attivamene la popolazione a votare sì al Referendum sulla Costituzione e divenne sempre più attivo nel promuovere eventi culturali e letterari.
Per il resto della sua vita, la sua straordinaria e sfaccettata personalità, che sfociava in un singolare eclettismo, lo portò a scrivere poesie come a ricoprire cariche in istituzioni scientifiche, esporre suoi quadri nelle mostre e fare da paroliere per canzoni.
Nel 1947, assecondando una delle sue passioni più radicate, con “Candide 47” iniziò anche una carriera di sceneggiatore per il cinema.
Appartengono agli anni Cinquanta altre sue opere come “La piccola cosmogonia portatile” e “La Domenica della vita”.
L’accumulo di esperienze disparatissime continuò a caratterizzare la sua esistenza; si spinse a New York e in Messico per lavorare con Buñuel, entrò nell’Accademia Goncourt e fondò con Boris Vian un’associazione per patiti di fantascienza.
Nel 1959 uscì quello che forse è il suo romanzo migliore: “Zazie nel metrò”, una storia irresistibile che per certi versi anticipa le vivacissime atmosfere familiari e sociali di Daniel Pennac.
Un film con lo stesso titolo e con la regia di Louis Malle, avrà un grande successo, una eco quasi scontata nel periodo della “Nouvelle vague” cinematografica.
Già da tempo Queneau era divenuto direttore dell’Enciclopedia della Pleiade, sempre per conto di Gallimard.
Mai placato intellettualmente, cercò sempre nuove strade da percorrere e nuove teorie letterario filosofiche da elaborare.
Se ebbe una fascinazione per gli elementi dell’inconscio che costellavano l’universo letterario dei surrealisti, finì per pensare alle opere letterarie come possibili costruzioni matematiche, non rinunciando mai, tuttavia, ad una straordinaria vena comico umoristica ed alla capacità di giocare con la lingua.
Il “Laboratorio di letteratura potenziale”, da lui promosso con lo scopo di proporre agli scrittori nuove strutture anche di tipo matematico o di creare procedimenti artificiali e meccanici per aiutare la creatività, ottenne l’adesione di scrittori come Perec e lo stesso Calvino.
Nell’ultima fase della sua vita Queneau sempre di più si dedicò a riflessioni sull’uso letterario della matematica: “Centomila miliardi di poemi” e soprattutto il suo famoso “Esercizi di stile” sono esempi tangibili di questo suo filone di sperimentazione.
Pubblicò infine “I fiori blu”, “L’Icaro involato” e “Une Histoire modale”. Singolari nella sua produzione restano i suoi romanzi “irlandesi”, come lo spassoso ed inquietante “Troppo buoni con le donne” e “Il diario intimo di Sally Mara”.
Nel 1972 morì la moglie Janine.
Tre anni dopo Queneau pubblicò “Morale élémentaire” (64 poesie).
La salute lo stava però abbandonando e il 25 ottobre 1976 Queneau morì a Parigi.
Verrà sepolto al cimitero vecchio di Juvisy-sur-Orge.
Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.