Achille Campanile, il riso in due battute

Personaggi:
IL SIGNOR PERICLE FISCHETTI
L’ALTRO SIGNORE 

All’aprirsi del sipario IL SIGNOR PERICLE FISCHETTI
Si avvicina all’ALTRO SIGNORE.

IL SIGNOR PERICLE FISCHETTI
(Presentandosi all’altro signore) 
Permette? Io sono il signor Pericle Fischetti. E lei?

L’ALTRO SIGNORE Io no. 

(da “Tragedie in due battute”)



“Un giorno, avendo bisogno di quattrini, mi presentai allo sportello di una banca e dissi al cassiere: “Per favore, mi potrebbe prestare centomila lire?”. Il cassiere mi disse: “Ma sa che lei è un umorista?”. Così scoprii di esserlo”.

Achille Campanile

Così Achille Campanile, nel suo tipico stile, spiegò la sua vocazione.
Scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, giornalista e saggista, Campanile nella memoria dei lettori è rimasto però principalmente come umorista, un mago dello stile, originale ed eccentrico, capace di volgere la realtà in surrealtà, di definirla o di scomporla con mille raffinati giochi di parole. 

Achille Campanile piccolissimo
(© www.campanile.it)

Nacque a Roma il 28 Settembre del 1899, e in qualche modo può considerarsi figlio d’arte perché suo padre, Gaetano, napoletano, fu soggettista e sceneggiatore di film muti e giornalista presso il quotidiano La Tribuna.
Ebbe precoce la vocazione letteraria e curiosamente i suoi primi tentativi di racconto, quelli fatti a scuola, avevano un’impronta malinconica.
Probabilmente dietro suggerimento di qualche insegnante cambiò presto strada e iniziò a produrre pezzi umoristici e parodie di opere allora in voga.
I genitori, nonostante la professione paterna, provarono in ogni modo a contrastare questa sua inclinazione a scrivere, sperando che il figlio si dedicasse ad una professione dalla prospettiva più solida e redditizia.

Così il giovane Campanile si impiegò presso il Ministero della Marina, tentando poi anche altre vie, ma tutto fu presto abbandonato.
Peraltro nel periodo in cui lavorò al ministero, fu spesso rimproverato dai superiori di usare un tono troppo personale e di dare una lettura umoristica dei fatti nel compilare documenti ufficiali, confermando così l’invadenza della sua vocazione più autentica.
Arrivò quindi il momento, siamo nel 1918, appena fuori del primo conflitto mondiale, in cui il padre, arrendendosi all’evidenza dei fatti, lo introdusse, quale semplice correttore di bozze, nel suo quotidiano, La Tribuna.
Passato a segretario di redazione, essendo comunque un tipo originale, non era considerato troppo affidabile dai suoi dirigenti, cauti nell’affidargli notizie da trattare, così Campanile iniziò a proporre articoli in cui affrontava notizie di scarsa importanza riscrivendole in chiave umoristica.

In uno dei suoi primi pezzi raccontò la triste storia di una vedova che tutti i giorni, immancabilmente, andava al cimitero per portare fiori sulla tomba del marito, fino a che una mattina, venne trovata morta, riversa su quella lapide.
Campanile scrisse l’articolo in quello che sarebbe divenuto il suo caratteristico stile e lo titolò:
“Tanto va la gatta al lardo…”.

Silvio d’Amico, il famoso storico del teatro e critico teatrale, era allora il responsabile della pagina culturale del giornale e non riuscendo a decidere se quel giovane redattore fosse un genio o un pazzo, volle comunque dargli la possibilità di assecondare la sua vocazione più autentica, e non ebbe mai a pentirsene.
Col tempo le sue collaborazioni si estesero ad altri importanti giornali come La Stampa, L’Ambrosiano e Il Resto del Carlino.

Copia del Travaso. Febbraio 1924

Dal 1922 lavorò anche al Travaso delle idee, un giornale di pungente satira.
Addentrarsi in un campo più vicino a quello della satira politica in un momento di forte controllo del regime sulla stampa non fu semplice, ma lo scrittore riuscì sempre a mantenere il suo timbro umoristico, anche sfruttando il fatto che suo padre aveva lavorato nell’ufficio stampa di Mussolini.

Campanile, in virtù delle sue doti di scrittore poco convenzionale e ricercato, non tardò a farsi un nome nel mondo culturale dell’epoca.
Presto, al suo lavoro giornalistico si aggiunse quello letterario con la pubblicazione dei suoi primi lavori: ”Centocinquanta la gallina canta” che apparve nel 1924 e “L’inventore del cavallo”, che è dell’anno successivo.
Montale e Pirandello, due suoi dichiarati estimatori, ebbero una qualche influenza nell’evolversi della sua carriera. 

Achille Campanile con la sua Rolleiflex

Negli anni seguenti, infatti, arrivò il successo vero e proprio, con commedie e romanzi memorabili come ”Ma cos’è questo amore”, “Se la luna mi porta fortuna” e lo spassoso “Agosto moglie mia non ti conosco”, nel quale fa capitare di tutto in una pensioncina turistica della costa romagnola.

Anche la sua immagine di uomo in abiti eleganti col monocolo, di pari passo con la sua affermazione, divenne presto molto popolare.
Alla soglia degli anni Trenta iniziò la collaborazione con alcuni prestigiosi periodici come La Fiera Letteraria e Il Dramma.
Nel 1930 la rappresentazione di una sua commedia, ”L’amore fa fare questo ed altro”, interpretata da Vittorio De Sica, divise il pubblico a tal punto che in sala si scatenò un putiferio.
A questo periodo risalgono anche le sue folgoranti “Tragedie in due battute”, in cui paradosso, senso della surrealtà e giochi di parole, elementi strettamente connaturati al suo stile, raggiungono il culmine dell’espressività.

La prima edizione del romanzo di Campanile

Gli anni successivi videro la sua popolarità aumentare in virtù delle sue cronache dal Giro d’Italia di ciclismo, dalle quali trasse un libro, e dall’uscita di un volume di saggi e riflessioni, “Cantilena all’angolo della strada”, che gli valse il suo primo Premio Viareggio.
Dopo la tragica pausa della Seconda Guerra Mondiale, la sua popolarità ebbe un calo, ma quando l’ancora sperimentale Televisione di Stato Italiana, nel 1953, trasmise alcuni suoi brani e lui comparve di persona sullo schermo, essa tornò a salire.
Tenne su L’Europeo una fortunata rubrica di critica televisiva e nel 1959 pubblicò “Il povero Piero”, uno dei suoi romanzi migliori, nel quale si ironizza sulla morte e sui suoi dintorni, ovvero l’organizzazione delle esequie e il cordoglio, a volte di routine, di parenti e amici.

Negli anni Sessanta aggiunse alle sue già poliedriche attività anche quella di sceneggiatore per uno dei famosi spot di Carosello, che reclamizzava uno shampoo.

Shampoo DOP – Consiglio di famiglia (1963)

Negli anni Settanta alcune sue memorabili raccolte di racconti umoristici tornarono a scalare le classifiche di vendita: “Manuale di conversazione”, che gli valse anche il secondo Premio Viareggio, e “Gli asparagi e l’immortalità dell’anima”.


Sue ultime opere furono il romanzo “L’eroe” col quale vinse il Premio Forte dei Marmi e la spassosa raccolta “Vite degli uomini illustri”, nel quale le biografie di uomini celeberrimi venivano del tutto rilette alla luce di un pungente umorismo.
Campanile, che per molto tempo si era diviso tra Roma e Milano, nei suoi ultimi anni acquistò una casa a Lariano, un centro della campagna romana vicino a Velletri.

Con Palazzeschi al Premio Strega

Qui, assistito fino all’ultimo dalla sua seconda moglie Giuseppina Bellavita, che fu anche sua preziosa collaboratrice, e da suo figlio Gaetano, morì per un collasso cardiaco nel 1977.
Pur apprezzatissimo dal pubblico e amato da alcuni qualificati estimatori, Campanile non ebbe mai un rapporto facile con la critica, scontando probabilmente, cosa di cui si rese perfettamente conto, la sua natura letteraria di autore umoristico.

“Socrate si fece serio serio: «Io», cominciò «non so che una cosa sola …» «È un po’ poco» osservò il professore, rabbuiandosi e scambiando occhiate espressive coi colleghi di commissione, «comunque diccela.» «So», proseguì Socrate con grande serenità, «di nulla sapere.» «È una bella nozione» disse tra i denti uno dei professori che assistevano”.

(da Vita di Socrate in Vite degli uomini illustri)

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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