In occasione del 75imo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma, vorrei ricordare una delle 335 vittime di questo massacro: lo studente Unico Guidoni.
A paragone di altri che con lui persero la vita il 24 Marzo 1944, Unico Guidoni non è certamente una figura di spicco: la sua vita, troncata tragicamente all’età di 20 anni, fu troppo breve perché la sua grande intelligenza potesse manifestarsi in opere durature.
Ma nella mia memoria questo giovane, la cui storia sono riuscita a ricostruire solo in tempi molto recenti, occupa un posto importante, perché per un fugace periodo fu legato da grande amicizia con mia madre Silvana.
Era la fine degli anni ‘60 e io avevo circa 13 anni quando mia madre mi accennò per la prima volta al suo amico Unico.
Lo spunto era stato fornito da una visita al Mausoleo delle Fosse Ardeatine, che la mia scuola aveva organizzato per l’anniversario.
Lei alle Fosse Ardeatine non c’era mai stata, e per quanto ne so non vi si recò mai in seguito, forse per non risvegliare ricordi che, immagino, fossero molto dolorosi.
Io ero ancora troppo piccola per valutare a pieno una tragedia personale di tale portata, ma una cosa mi colpì subito: il pensiero che mia madre, una donna dedita esclusivamente all’attività domestica e di cura della famiglia, avesse un rapporto personale con un evento significativo della Storia.
E in quanto figlia, mi sentii subito anch’io parte di questa Storia: un esempio di “appropriazione per contatto” dell’evento storico, come lo studioso Alessandro Portelli scrive in uno splendido volume sulle Fosse Ardeatine, “L’ordine è già stato eseguito”. [i]
Desideravo saperne di più. Ma il motivo per cui questo giovane nel fiore degli anni fosse finito ucciso con un colpo alla nuca, vittima della spietata vendetta nazista, era sconosciuto anche a mia madre.
Mi rimase una curiosità che potei finalmente soddisfare solo 50 anni dopo, grazie all’Internet e alle ricerche di studiosi che, in questi ultimi anni, hanno rivisitato il doloroso periodo dell’occupazione nazista a Roma.
Breve storia di una grande amicizia
Unico e mia madre si conobbero nel Giugno del 1942 al Liceo Classico Virgilio di Roma, dove erano candidati alla maturità classica (mia madre da privatista perché, avendo conseguito l’abilitazione magistrale che a quei tempi non consentiva di iscriversi all’università, voleva proseguire gli studi).
Nato a Viterbo il 22 Ottobre 1923, Unico abitava con la madre Pierina Simoni in Via Confalonieri 2 nel quartiere della Vittoria, non lontano dall’appartamento a Piazza degli Strozzi che mia madre condivideva con i genitori e i fratelli.
Il padre Guido era morto ammazzato, non si sa bene come o perché.
Tra Unico e mia madre nacque subito una grande simpatia.
Si iscrissero alla Facoltà di Lettere, e Unico trovò lavoro al Ministero della Marina, in modo da poter mantenere la madre vedova, e se stesso agli studi. Non so di che cosa chiacchierassero quando si incontravano, eccetto che ogni tanto, come preso da un oscuro presentimento, lui diceva a mia madre: ‘Io sono buono come mio padre, e come mio padre finirò ammazzato.’
Era questo un timore che, alla luce delle conoscenze che abbiamo adesso, non era affatto irragionevole.
All’insaputa di mia madre, Unico era attivamente impegnato in attività politiche molto rischiose: era infatti membro di una brigata partigiana rivoluzionaria che operava a Roma, il Movimento Comunista d’Italia, noto come Bandiera Rossa dal nome del suo giornale.
Bandiera Rossa nella Resistenza romana
Di ispirazione marxista e leninista, Bandiera Rossa era un’organizzazione di comunisti dissidenti scaturita nell’agosto del 1943 dall’unificazione di alcuni gruppi socialisti e libertari con il gruppo cospirativo romano ‘Scintilla’, fondato nel 1941 dall’avvocato Raffaele De Luca, ex sindaco socialista di Paola, Francesco Cretara, incisore, Orfeo Mucci, falegname figlio di un anarchico del quartiere San Lorenzo, e Antonino Poce, elettricista del quartiere Ponte.
Bandiera Rossa raccolse consensi tra quelli che non accettavano del Partito Comunista Italiano (PCI) né la politica di unità nazionale con i partiti antifascisti borghesi, né la mancanza di democrazia nei rapporti interni.
Secondo Bandiera Rossa, la Resistenza doveva essere il prologo della rivoluzione socialista: il proletariato avrebbe quindi dovuto parteciparvi in modo autonomo, senza mai nascondere i suoi intendimenti.
Considerata ‘trotskista’ in quanto la critica ‘da sinistra’ più coerente della linea stalinista era venuta da Leone Trotskij, Bandiera Rossa si sviluppò largamente al di fuori del PCI e del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Fu la più importante organizzazione della Resistenza Romana, fortemente radicata nelle periferie proletarie abitate dai ‘diseredati’ cacciati dagli sventramenti edilizi voluti dal duce, dagli immigrati e dagli sfollati.
Bandiera Rossa fu anche quella che ebbe il maggior numero di caduti: 186, di cui più di 50 trucidati alle Fosse Ardeatine.
Dopo l’occupazione tedesca di Roma, Bandiera Rossa si dotò di due comandi militari: le ‘bande interne’ che operavano a Roma, e le ‘bande esterne’ da cui dipendevano vari gruppi partigiani nel Lazio, in Umbria e nel Sud della Toscana.
Il comando delle bande interne fu affidato ad Antonio Poce e Aladino Govoni, capitano dei Granatieri e figlio del poeta futurista Corrado.
Le bande esterne furono poste sotto il comando di Enzio Malatesta, insegnante e giornalista, e Filiberto Sbardella, pittore e mosaicista.
Roma fu poi divisa in sei zone, ciascuna delle quali aveva un suo proprio comando che controllava e dirigeva un numero piú o meno grande di ‘bande’.
A latere dell’organizzazione militare erano le ‘bande speciali’ dei dipendenti dell’Anagrafe, ferrovieri, postelegrafonici, vigili del fuoco, pubblica sicurezza, istituto di statistica e altre.
Esistevano inoltre: un comitato per la stampa e propaganda; un comitato ‘assistenza e finanziamento’, e un comitato ‘servizi tecnici’ che forniva documenti falsi di tutti i tipi.
A dirigere il collegamento delle bande interne fu posto Orfeo Mucci.
Di questo servizio fecero parte, nel tempo, una cinquantina di militanti, tra i quali si trovava Unico Guidoni, nonché una carissima amica di mia made, Leda Spiombi (come rivela un documento dell’epoca, riportato in appendice al volume Bandiera Rossa dello storico Silverio Corvisieri): un’altra doppia vita di cui mia madre era completamente all’oscuro.
La scuola marxista di Grottarossa
Ad Unico faceva capo anche l’organizzazione della ‘scuola comunista’ del nucleo Grottarossa, creata nel novembre del 1943.
Grottarossa era nei fatti il quartier generale di Bandiera Rossa: un insieme di sotterranei cui si accedeva per una ripida scaletta posta nel retrobottega del fabbro Otello Di Diego in Via Carlo Alberto, nei pressi di Santa Maria Maggiore.[ii]
L’opuscolo I nostri martiri, pubblicato dopo la Liberazione, lo descriverà come ‘luogo unico e fatto apposta per coloro che desideravano preparare in silenzio, sconosciuti a tutti, i piani della vittoria del proletariato.’[iii]
Questa segretissima base era fornita di apparecchi radio, armi e una piccola biblioteca marxista per l’educazione politica dei militanti.
Era qui che, ogni tanto, Unico teneva lezioni notturne davanti a studenti, operai, muratori e sottoproletari. [iv]
Filiberto Sbardella (qui il nostro articolo) conserverà il quaderno di appunti che Unico teneva per le lezioni, sempre ricche di citazioni tratte da Nietzsche.
I compagni lo ricorderanno così:
‘Bello e fecondo parlatore. Se si entusiasmava, in una disputa, aveva negli occhi, nel gesto, nella voce, un fascino irresistibile.’ [v]
Arresto e condanna
Ben presto però alcune spie riuscirono ad infiltrarsi nel movimento e a raggiungere anche posti direttivi.
Nel dicembre del ’43 un’ondata di arresti si abbatté sul gruppo, a cui seguirono nuove ondate d’arresti nel gennaio e febbraio del 1944.
Il 25 gennaio 1944, nella Latteria di Via S. Andrea delle Fratte presso Piazza Colonna, Unico fu arrestato insieme ai compagni Aladino Govoni, Uccio Pisino, Ezio Lombardi e Nicola Stame.
Senz’altro ci fu una delazione ma, come suggerisce Corvisieri, questa dovette essere casuale: contrariamente alle regole della clandestinità, Govoni e gli altri si erano riuniti più volte nella latteria, attirando probabilmente l’attenzione di qualche fascista[vi].
Detenuto dapprima in Via Tasso, Unico fu processato dal tribunale tedesco e condannato, come Govoni, a 15 anni di lavori forzati.
Fu poi tradotto al carcere di Regina Coeli, in attesa della deportazione.
Nonostante gli arresti, le eclatanti attività di sabotaggio e di guerriglia intraprese da Bandiera Rossa continuarono senza sosta.
L’attività di sabotaggio delle comunicazioni telefoniche fu veramente impressionante, grazie al nucleo di militanti all’interno della Teti.
Purtroppo non tutti i piani andarono in porto.
Nel marzo del 1944, i militanti Franco Bucciano e Giovanni Lombardi tentarono di organizzare la liberazione di Govoni ed altri militanti dal carcere di Regina Coeli.
L’audace piano non poté tuttavia essere realizzato, perché la sera prevista per l’azione, il 18 marzo, Bucciano era a letto con una forte influenza. L’azione fu rinviata, ma il 21 lo stesso Bucciano fu uno dei primi a cadere nella grande retata che privó Bandiera Rossa di quasi tutto il suo vertice dirigente.
Quello stesso giorno i fascisti della banda Koch fecero irruzione nella base di Grottarossa, arrestando gli amici di Unico.
Per Govoni non si poté far più nulla perchè l’attentato di Via Rasella fece precipitare la situazione.
Il 23 marzo un gruppo di militanti dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), unità partigiane del PCI, portarono a termine un attentato dinamitardo contro una colonna di reclute altoatesine che stava transitando per Via Rasella a Roma.
Ventisei uomini morirono nell’immediatezza dell’esplosione, e altri nelle ore successive.
Alle ore 8 del mattino del 24 marzo si contarono 32 morti. Le vittime civili in seguito alla detonazione furono 6.
La risposta del comando tedesco non si fece attendere.
La sera stessa dell’attentato il colonnello Herbert Kappler ed il comandante della Wehrmacht, Kurt Malzer, proposero un’azione di rappresaglia consistente nella fuciliazione di 10 italiani per ogni soldato ucciso.
I due ufficiali suggerirono in un primo tempo di eliminare detenuti in attesa della pena di morte, ma dato che non bastavano, si aggiunsero altri prigionieri che stavano scontando pene di varia lunghezza.
Dopo l’emanazione dell’ordine morì un trentatreesimo militare, così Kappler aggiunse all’elenco dei condannati a morte i nomi di dieci ebrei arrestati quella mattina.
Nell’eccidio delle Fosse Ardeatine furono uccisi così quasi tutti i detenuti nelle carceri di Via Tasso e Regina Coeli.
A morire furono anche 5 individui che erano stati aggiunti alla lista per errore.
Mia madre seppe di Unico qualche tempo dopo il fatto: fu proprio la sua amica Leda Spiombi a darle la triste notizia.
Ma la storia delle Fosse Ardeatine non si chiuse dopo il massacro perchè, come osserva il Portelli,
“le Fosse Ardeatine non sono solo il luogo in cui molte storie finiscono, ma anche quello da cui un’infinità di altre storie si diramano.
Da lì riparte una battaglia per il significato e la memoria, che si svolge sulle pagine dei giornali, nelle aule dei tribunali, nelle lapidi sui muri e nelle cerimonie…
Ma piú dolorosa, piú costante e quasi sempre silenziosa è la fatica e la tensione che attraversa la vita e i sentimenti di quelli che sono rimasti: genitori, coniugi, figli, nipoti, fratelli e sorelle degli uccisi”.[vii]
A distanza di 75 anni, io penso a mia madre e a tutti quelli che con Unico persero un amico caro.
Penso alla madre vedova, a cui venne a mancare non solo il figlio amato, ma anche la sola fonte di sostentamento.
E non posso fare a meno di riflettere, con grande mestizia, che se non fosse stato per l’attentato di Via Rasella, Unico Guidoni sarebbe stato deportato, e forse, forse, sarebbe riuscito a sopravvivere.
Questo articolo è dedicato alla memoria di mia madre Silvana De Santis, scomparsa a Roma il 12 marzo 2019.
Per approfondire
David Broder, ‘Bandiera Rossa: Communists in Occupied Rome, 1943-44’, Tesi di Dottorato, London School of Economics, 2017.
Silverio Corvisieri, Bandiera Rossa nella resistenza romana (Roma: Odradek Edizioni, 2005).
Roberto Gremmo, I partigiani di Bandiera Rossa: il ‘Movimento Comunista d’Italia’ nella Resistenza romana (Biella: Edizioni ELF, 1996)
Alesandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito: Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria (Milano: Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2012)
[i] Portelli, p. 8.
[ii] Gremmo, pp. 135; 143.
[iii] Ibid., p. 136.
[iv] Broder, p. 131.
[v] Movimento comunista d’Italia, I Nostri Martiri, Roma, 1945, Vol. I, pp. 37-48
[vi] Corvisieri, p. 93.
[vii] Portelli, p. 13.
Ornella Moscucci è storica della medicina ed esperta dell’Età Vittoriana, ha al suo attivo alcuni saggi e diverse pubblicazioni per prestigiose riviste accademiche britanniche.
Nata e cresciuta a Roma, da più di 40 anni è residente a Londra.
Una storia terribile. Perdere un figlio a 20 anni è sempre una tragedia.
Perderlo per una spiata di italiani fascisti e collaborazionisti, per un pugno di denaro, conta il triplo…
Davvero un bel sito web. Complimenti. Il racconto e la ricostruzione storica davvero ben fatta.
P
Grazie!!! Può iscriversi alla newsletter per ricevere le informazioni sugli articoli in pubblicazione. Buona giornata