Di tutti gli acquedotti romani solo due non hanno mai smesso di servire l’Urbe, l’Acqua Virgo e l’Acqua Traiana (sotterranei); ambedue si completano con una tra le più suggestive scenografie che l’uomo potesse mai architettare: la fontana di Trevi (1762) e il Fontanone dell’Acqua Paola (1610)
Prima parte
L’ACQUA VIRGO
di Carlo Pavia
L’acquedotto fu costruito da Agrippa, generale e genero di Augusto, e venne inaugurato il 9 giugno del 19 a.C. La sua principale funzione doveva essere quella di rifornire le sue Terme, nella zona del Campo Marzio.
Capta acqua da sorgenti nei pressi del corso dell’Aniene, al km 10,5 (VIII miglio) della via Collatina (nella località nota sin dal secolo XI con il nome di “Salone”). L’intero percorso misurava 14,105 miglia romane (20,471 km), ed era quasi completamente sotterraneo (foto 5)
tranne l’ultimo tratto di 1.835 m. (foto 2) che correva all’aperto o su arcuazioni nella zona del Campo Marzio.
Il condotto sotterraneo è largo in media 1,50 metri, ed è in diversi tratti navigabile.
Poiché le sorgenti si trovano ad un livello basso, la profondità della galleria, nella zona extraurbana, era di circa 30-40 metri (ma in corrispondenza di viale Romania raggiunge i 43 m). Scavato direttamente nella roccia di tufo quando attraversava terreni compatti, in zone meno consistenti il condotto era costruito in muratura.
Attualmente una buona parte delle antiche strutture è stata sostituita da tubazioni in cemento, mentre l’elevata urbanizzazione ha gravemente inquinato sia il canale originario che le falde. Di conseguenza l'”Acqua Virgo” può essere utilizzata solo a fini irrigativi o per l’alimentazione di importanti monumenti romani: la Fontana della Barcaccia, la Fontana di Trevi, la Fontana dei Quattro Fiumi e la Fontana del Nicchione, sotto al Pincio, mostra terminale del prolungamento del 1936.
Un filo conduttore con l’Acqua Virgo è costituito dall’area sotterranea nei pressi di Fontana di Trevi là dove, ad una profondità di oltre 7 metri, si può ammirare un importante complesso di epoca romana (foto 11, 12, 13 e 14), il Vicus Caprarius, detto “Città dell’Acqua”: un vero e proprio quartiere, che comprende un’insula con tabernae, un edificio pubblico e una cisterna.
Il fatto che l’acquedotto Vergine non sia mai andato completamente in rovina è testimoniato dalla bimillenaria stratificazione di costruzioni presente nella zona del Trivium (che era il nome originario dell’area dove oggi sorge la Fontana di Trevi).
Alla fine degli anni ’90, lavori di scavo per ristrutturazione e di consolidamento in un gruppo di immobili presso la fontana, portarono alla scoperta di una vasta e complessa area archeologica, oggi riorganizzata e visitabile con il titolo appunto di “La città dell’acqua”.
Ne riemersero le tracce di un’insula di età neroniana che dava sul Vicus Caprarius, poi convertita in parte in una domus signorile, a metà del IV secolo, e in parte in una grande cisterna di raccolta, per l’appunto, dell’Acqua Vergine (foto 15 e 16).
foto 15 foto 16
Nello stesso comprensorio, e in parte sovrapposti ai precedenti, sono stati portati alla luce anche resti di edifici del XII e XIII secolo; dell’urbanizzazione di quell’epoca sono del resto visibili le tracce nel portico medioevale conservato sul lato della piazza, di fronte alla fontana. I vari reperti plurisecolari sono oggi esposti all’interno dell’area archeologica sotterranea (foto 17 e 18).
foto 17 foto 18
Per saperne di più Carlo Pavia, ROMA SOTTERRANEA, Gangemi Editore.
Carlo Pavia è l’Archeospeleofotosub (definizione coniata dal giornalista Fabrizio Carboni per un articolo sulla rivista Panorama): archeologo, speleologo, sub e fotografo.
Autore di molti libri sulla Roma antica, fondatore delle riviste “Forma Vrbis” e “Roma e il suo impero”.