Tutti sanno che il 21 Marzo ha inizio la Primavera, stagione che tra tutte, con la sua forza inarrestabile, rappresenta il risveglio a nuova vita dopo il lungo inverno; considerata, perciò, vero e proprio simbolo di rinascita, la data del 21 Marzo è stata significativamente scelta per celebrare anche due eventi molto importanti, simbolo della nostra rinascita umana: la giornata mondiale della Poesia e la giornata dell’impegno e della memoria contro tutte le mafie.
Sono due ricorrenze apparentemente diverse ma che invece, ad uno sguardo più attento, rivelano essere connotate da un profondo legame tra loro: la Poesia, e in generale la cultura, è impegno civile e come tale una delle forme più potenti di contrasto alla mafia.
La mafia teme il bello, ha bisogno della bruttezza materiale e morale dove poter crescere prosperando, teme quindi gli ideali e i sentimenti nobili con i quali non può coesistere; perciò la Poesia, in quanto portatrice sana di questi valori, è per sua natura contro la mafia: essa è in grado di incidere nell’animo umano con la forza della Verità, è fonte limpida e richiamo per le coscienze, è materia viva e dirompente, in grado di imprimere forza all’agire, è parola che non si può contenere né fermare.
“Nel mio bisogno di poesia, gli uomini,
la terra, l’acqua, sono diventati
le mie parole.
Non importano i versi
ma in quanto non riesco a illimpidirmi
e allimpidire, prima di dissolvermi,
invece di volare come un canto
l’impegno mi si muta in un dovere”
Questi sono alcuni versi di Danilo Dolci, scelti perché esprimono compiutamente il germe di questa forza, l’impegno che si muta in dovere; essi esprimono un bisogno di poesia che va ben oltre la bellezza estetica di un verso e si fa responsabilità nei confronti del genere umano, interprete del riscatto dei deboli contro ogni sopruso.
La Poesia è il coraggio di una voce levata contro tutti gli abusi del potere e della violenza col quale esso si impone, sta qui l’anelito alla limpidezza del quale parlano i versi di Danilo Dolci: essere uomo nella purezza dei valori prima di “dissolversi” e trascorrere in questa vita, non limitandosi a volare come un canto, ma perseguendo il dovere di mantenere questa limpida integrità verso tutti gli uomini.
La Poesia dunque non vola oltre le cose, ma è segno che si imprime su di esse, la poesia aderisce alla realtà con tutta la forza di cui può essere capace.
E ancora un altro estratto dalle sue poesie:
“Chi è avanti mille anni
lo sputano, lo trascinano in galera,
l’ammazzano se possono …”
…
“Ma chi sputa (anche a lupara), o applaude?
Spesso mi domandano:
“Cosa pensa la gente del vostro lavoro?”
Pochi gli amici attivi
che muovono il mondo dal fondo.
Chi sa pensare guardando avanti
per meglio profittare dell’altrui confusione
è il nemico duro: sono pochi.
Tra gli uni e gli altri la grande massa
degli incerti aspetta di scorgere
chi vince”.
Danilo Dolci nacque a Sesana, provincia di Trieste e a ventisette anni si trasferì nella zona compresa tra Palermo e Trapani, uno dei territori più poveri e dimenticati d’Italia, in un paese poverissimo di pescatori e contadini: voleva partecipare in prima persona alla rinascita del Meridione.
Molte le sue battaglie civili, tra cui vorrei ricordare quella per la costruzione di una diga per raccogliere le acque invernali del fiume Jato, per garantire l’irrigazione delle terre e assicurare quindi il lavoro ai contadini. L’acqua disponibile costituiva l’oggetto dell’odioso ricatto perpetuato negli anni dai mafiosi locali nei confronti degli agricoltori.
Ciò poteva essere evitato valorizzando le centinaia di milioni di metri cubi di acqua, come Danilo e i contadini proponevano, che ogni anno invece di venire raccolte finivano in mare, lasciando i contadini senza lavoro, vulnerabili ai soprusi dei mafiosi.
Una battaglia civile di grande attualità giacché oggi come ieri le politiche attorno all’acqua sono profondamente sentite e rappresentano un tema sensibile vitale per i diritti dell’umanità.
Il 27 febbraio 1963 iniziarono i lavori per la costruzione della diga sul fiume Jato e subito dopo le prime avvisaglie di una lunga lotta con la mafia locale, controllata dall’italoamericano Frank Coppola, porteranno alla costituzione prima di un forte sindacato tra i lavoratori, poi alla nascita del Consorzio Irriguo Jato, un patto fra i piccoli proprietari della zona per gestire «l’acqua democratica» secondo il principio di «una testa un voto», slegandola così dal controllo dell’Ente Acquedotto Siciliano e dei grandi proprietari mafiosi che ne condizionavano l’attività.
Dolci denunciò pubblicamente i rapporti tra mafia e politica locale e guidò la marcia di 200 km “per un Mondo Nuovo”, per chiedere diritti e lavoro. Scrisse anche poesie e testi, come Racconti siciliani, Inchiesta a Palermo, Conversazioni contadine e Poema umano, dal quale è tratta la poesia intitolata Rivoluzione che di seguito vorrei proporvi per celebrare questo 21 Marzo degnamente, con tutta la forza che le parole di una poesia possono contro le mafie di ogni tempo in ogni dove.
Rivoluzione
Chi si spaventa quando sente dire
“rivoluzione”
forse non ha capito.
Non è rivoluzione
tirare una sassata in testa a uno sbirro,
sputare addosso a un poveraccio
che ha messo una divisa non sapendo
come mangiare;
non è incendiare il municipio
o le carte in catasto
per andare da stupidi in galera
rinforzando il nemico di pretesti
Quando ci si agita per giungere
al potere e non si arriva
non è rivoluzione, si è mancata;
se si giunge al potere e la sostanza
dei rapporti rimane come prima,
rivoluzione tradita.
Rivoluzione è distinguere il buono
già vivente, sapendolo godere
sani, senza rimorsi,
amore, riconoscersi con gioia.
Rivoluzione è curare il curabile
profondamente e presto,
è rendere ciascuno responsabile.
Rivoluzione
è incontrarsi con sapiente sapienza
assumendo rapporti essenziali
tra terra, cielo e uomini: ostie sì,
quando necessita, sfruttati no,
i dispersi atomi umani divengano
nuovi organismi e lottino nettando
via ogni marcio, ogni mafia.
Danilo Dolci
Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale
Fresia Erésia, eteronimo di una poeta la cui identità è sconosciuta. Vive in subaffitto nella di lei soffitta, si ciba di versi sciolti, di tramonti e nuvole di panna. Nasconde le briciole dei tetti sotto la tovaglia e i trucioli di limature di strofe sotto il tappeto. Compone e scompone, mescola le carte, si cimenta e sperimenta.