(Harper Lee, Il buio oltre la siepe)
Maycomb, Alabama, 1932: l’avvocato Atticus Finch (Gregory Peck) vive in una casetta con i suoi figli Jeremy (“Jem”, Phillip Alford) e Jean Louise (“Scout”, Mary Badham), che – oltre ad essere orfani di madre – vengono accuditi amorevolmente dalla domestica afroamericana Calpurnia (Estelle Evans).
Durante un’estate afosa, i due fratelli stringono amicizia con Dill (John Megna), un ragazzino del Mississippi ospitato da sua zia per le vacanze. I piccoli Finch lo coinvolgono immediatamente nelle loro marachelle; lo invitano persino a scrutare la “casa maledetta” dove risiedono il malato di mente Arthur “Boo” Bradley (Robert Duvall) e suo padre, che lo ha risparmiato dal riformatorio.
Una sera, Atticus Finch riceve una visita dal giudice, che gli affida il caso di Tom Robinson (Brock Peters), un bracciante afroamericano accusato di aver picchiato e violentato la figlia diciannovenne di Bob Ewell (James Anderson), un contadino povero e alcolizzato. Quando accetta di difendere l’accusato, Atticus viene etichettato come “negriero” da alcuni vicini e conoscenti, e i suoi figli, nonostante la loro giovane età, si ritrovano a difenderlo dalle minacce.
Un Gregory Peck da Oscar in un film tratto da uno dei classici moderni più studiati nelle scuole statunitensi. L’autrice del romanzo è Harper Lee (grande amica di Truman Capote, sul quale ha modellato il personaggio di Dill), che con il suo lavoro è riuscita a guadagnarsi un Pulitzer per la narrativa. È stata proprio lei ad approvare l’ingaggio di Peck per il ruolo di Finch, ispirato a suo padre, anch’esso avvocato.
Nonostante Jem e Scout fossero i “veri” protagonisti del film, il ruolo di Peck lo rende degno della sua vittoria agli Academy Awards e ai David di Donatello nella categoria “miglior attore straniero”; soprattutto nella scena dell’arringa finale.
Il giusto motivo per (ri)scoprire questa perla cinematografica (non solo letteraria) è quello di tramandarla alle nuove generazioni, soprattutto per i diversi casi di odio razziale che si verificano ancora oggi.
Negli Stati Uniti (dopo il caso controverso di Via col vento) si spera che questo film non cada nel mirino del politicamente corretto per il solo fatto che si sente la parola “negro” in alcune scene salienti. Questo particolare non impedisce allo stesso film di trattare le minoranze con il dovuto rispetto e di risvegliare la coscienza collettiva.
Qualche parola sul titolo: in realtà il romanzo si intitola To Kill a Mockinbird, che significa letteralmente “uccidere un tordo”. L’autrice si riferisce al “tordo beffeggiatore”, un uccellino innocente che non merita di trovarsi davanti ad un’arma da fuoco. Lo stesso vale per tutti quegli uomini, donne, vecchi e bambini feriti e uccisi da alcuni passanti o poliziotti a causa di alcuni preconcetti legati al colore della pelle.