Esterno. Cinecittà. Notte.
Una fila di macchine e camion percorrono i viali degli studi cinematografici, mentre il reparto fotografia sta montando un dolly per riprendere dall’alto il Teatro 5.
Nello stesso istante, un gruppetto di giornalisti giapponesi si avvicinano a Federico Fellini per fargli un’intervista. Nonostante stesse girando una scena onirica, il regista riminese si dichiara disponibile per raccontare il suo rapporto con Cinecittà, iniziato nel 1940, quando faceva il giornalista.
Lo stesso Fellini non si limita al semplice racconto aneddotico, ma decide di girarlo: ad interpretare il suo alter ego c’è il giovane Sergio Rubini, con un finto foruncolo sul naso, che compie un viaggio picaresco in un tram diretto a Cinecittà – in compagnia di un gerarca fascista e di un’aspirante attrice dal volto angelico e provocatore – per intervistare una stella del cinema che lo ha sempre turbato. Tale foruncolo sul naso, in effetti, gli causa molto imbarazzo; ciononostante, rimane estasiato dallo stile di vita della “Hollywood sul Tevere”, salvo imprevisti ed isterie degli addetti ai lavori.
Appena finito di girare il suo ennesimo amarcord, Fellini e il suo aiuto regista mostrano ai giornalisti alcune fasi di lavorazione su un film basato su America di Franz Kafka: la ricerca dei volti in metropolitana; i provini; il reparto di scenografia e costume, ecc.
Durante una pausa, Fellini si ricongiunge con Marcello Mastroianni (vestito da Mandrake per uno spot pubblicitario), e ne approfitta per fargli una sorpresa: entrambi – insieme alla troupe, i giornalisti giapponesi e Rubini – passeranno una serata nella villa di Anita Ekberg!
Dopo ventisette anni, i due attori rivedranno commossi le loro scene (ormai iconiche) de La dolce vita.
Poco dopo la sua uscita nelle sale, alcuni critici hanno considerato Intervista come il “terzo film d’inchiesta” felliniano, dopo Block notes di un regista e I clowns; ma la verità è che nel cinema di Fellini (soprattutto nell’ultima fase della sua carriera) non c’è distinzione tra fiction e documentario; vale anche per questa lunga lettera d’amore per Cinecittà, che ha sempre dato sfogo alla sua creatività.
Questa lunga lettera inaugura anche una nuova collaborazione tra Fellini e il suo nuovo compositore Nicola Piovani (che, come ben sappiamo, vincerà l’Oscar con La vita è bella), dopo l’antecedente Ginger e Fred; oltre a questo particolare, il film è anche un omaggio al compianto Nino Rota, che ha composto le musiche di quasi tutti i film del regista riminese, da Lo sceicco bianco a Prova d’orchestra. Grazie alle sue partiture, e a quella scena deliziosa tra Mastroianni ed Ekberg, l’effetto nostalgia è alle stelle.
Rivedendo questo film ai giorni d’oggi ci sentiamo affascinati e malinconici in egual misura, perché l’addio del nostro benamato Federico alla vita (e al cinema) sembra imminente. Con il successivo La voce della luna, purtroppo, ne ha avuto la conferma.
Nonostante fossero passati quasi trenta anni dalla sua scomparsa, il cinema di Fellini non ha mai smesso di portarci “oltre alla cima dei pini”.