Un film da (ri)scoprire: Le lacrime amare di Petra von Kant (1972) di Rainer Werner Fassbinder

Petra von Kant (Margit Carsten) è una stilista di fama mondiale con due matrimoni alle spalle, una figlia in collegio e un’assistente apparentemente muta, Marlene (Irm Hermann), che le prepara i pasti e i drink; le lettere da scrivere e spedire; e soprattutto gli abiti da disegnare e provinare.

Il manifesto del film

Una sua amica le presenta la giovane Karin (Hanna Schygulla), molto bella ma arrivista, e con un marito che vive all’estero. Petra vede in lei un’ideale musa per la sua nuova collezione e se ne innamora perdutamente. Oltre ad essere diventata una modella in ascesa, Karin convive con Petra, ma la tradisce ripetutamente con diversi uomini, e le rivolge parole di sdegno e ingratitudine. Quando la sua amante la lascia definitivamente, Petra cade in una profonda depressione, mentre Marlene, innamorata – ma non ricambiata – della sua padrona, rimane in silenzio e con le lacrime agli occhi.

Il film è tratto dall’omonima pièce teatrale scritta e diretta dallo stesso Fassbinder (Il matrimonio di Maria Braun, Lola, Veronika Voss), che, insieme a Wim Wenders e Werner Herzog, è una personalità di spicco del cosiddetto “Nuovo Cinema Tedesco”, sviluppatosi in Germania tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Oltre a distaccarsi dall’Espressionismo degli anni Venti e Trenta e dal “cinema di regime”, la generazione del Nuovo Cinema Tedesco è influenzata dal Neorealismo Italiano, la Nouvelle Vague francese e il classicismo hollywoodiano, soprattutto con il genere noir – come è accaduto con Veronika Voss (1982) dello stesso Fassbinder e con L’amico americano (1977) di Wim Wenders, tratto dall’omonimo romanzo di Patricia Highsmith.

Rainer Werner Fassbinder (1945-1982), regista, sceneggiatore, produttore cinematografico, drammaturgo, attore, regista teatrale, montatore e scrittore tedesco. Insieme a Werner Herzog e Wim Wenders era uno dei massimi esponenti del “Nuovo Cinema Tedesco”.

Lo stile registico di Fassbinder (soprattutto in questo film) è costituito da un impianto teatrale con dei riferimenti alla pittura, fotografia e musica classica. Questi moderni kammerspiel (cioè i cosiddetti film “da camera” sorti dall’Espressionismo in poi) si evolvono con delle situazioni dialogate, le pose plastiche, la dinamica tra luce e controluce e il colore che si relaziona con il personaggio e la scenografia – esattamente come accade nel cinema di Douglas Sirk (anch’esso tedesco, ma emigrato in America per sfuggire dal Nazionalsocialismo) e Pedro Almodóvar.

Nelle pellicole di Fassbinder non mancano la critica alla borghesia bavarese e la promiscuità sessuale dei suoi personaggi, a metà strada tra la volgarità e la raffinatezza.

Hanna Schygulla (a sinistra) e Margit Carstensen (a destra) in una scena del film

Lo dimostra, fra tanti elementi, l’esaltazione della fisicità statuaria del suo “attore feticcio” Günther Kaufmann (Il matrimonio di Maria Braun, Veronika Voss e La terza generazione) di origini afro americane, con il quale lo stesso regista ha avuto una relazione sentimentale, oltre che professionale. Con Querelle de Brest (1982) ci avviciniamo in un immaginario omosessuale tra Tom of Finland e Oscar Wilde. Vedere per credere!

L’omosessualità femminile in Petra von Kant, tra quei dialoghi infiniti e alcune pose statiche, è rappresentata in maniera innocente; ma nell’immaginario “fassbinderiano” troviamo un’elevata drammatizzazione della disperazione femminile, non tanto estranea a Jean Cocteau, autore de La voce umana.

Margit Carstensen in una scena del film

Tornando allo stile teatrale/cinematografico di Fassbinder, il dramma originale di Petra von Kant è costituito da cinque atti: il primo incontro tra Petra e Karin; l’inizio della loro relazione; la separazione; il compleanno della protagonista; e il finale. Il tutto è ambientato nella camera da letto di Petra – tappezzata di specchi e manichini femminili – e il calar del sipario viene sostituito sullo schermo con della dissolvenza in nero che ci porta direttamente alla sequenza successiva. In parole povere, questo film è un melò dalla fotografia elegante e con una Schygulla magnetica e ammiccante.

In questo mese dovrebbe circolare nelle nostre sale cinematografiche – anche se con un anno di ritardo – un adattamento “maschile” intitolato Peter von Kant (2022) diretto dal francese François Ozon, che ha già portato Fassbinder sullo schermo con il rarissimo Gocce d’acqua su pietre roventi (1999).

Il poster di Peter von Kant di François Ozon (a destra) al confronto con quello di Querelle de Brest (a sinistra) di Fassbinder, illustrato da Andy Warhol.

Al posto di Margit Carstensen c’è Denis Menochet (Bastardi senza gloria, Nella casa e Grazie a Dio) nei panni dell’omonimo protagonista e alter ego dell’autore tedesco. Il personaggio principale, in effetti, è un regista cinematografico che si strugge per amore di un giovane aspirante attore. Oltre a contare le presenze di Menochet e Isabelle Adjani, in questo film torna anche Hanna Schygulla – che ha già lavorato con Ozon in È andato tutto bene (2021) – ma stavolta con un ruolo differente.

Per i cinefili che andranno a vedere questo “remake” è consigliabile (ri)scoprire l’originale il prima possibile.

Disponibilità: In acquisto e noleggio su Chili. In lingua originale con sottotitoli in italiano su YouTube

Lorenzo Palombo si definisce come uno studente cinefilo che ama parlare e scrivere di cinema – e recitare a memoria le battute di film e sitcom – a costo di annoiare amici e parenti.
Per Latina Città Aperta propone una rubrica intitolata “Un film da (ri)scoprire” per invitare i lettori a vedere o rivedere alcuni film acclamati dalla critica e dal pubblico che rischiano di dissolversi dalla memoria dello spettatore. La rubrica accoglie persino alcuni film europei o internazionali che non sono stati distribuiti nelle nostre sale cinematografiche.

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