Il primo film hollywoodiano del regista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau (Nosferatu il vampiro, 1922; L’ultima risata, 1924; Tartufo, 1925) racconta la storia di un contadino con moglie, figlio e suocera a carico, e con dei problemi economici che non gli permettono di mantenere la fattoria. Un tempo il contadino e consorte erano giovani, belli e innamorati; ma negli ultimi tempi, il protagonista maschile intrattiene una relazione extraconiugale con una “donna di città”. Quest’ultima gli propone di vendere la fattoria e di fuggire insieme a lei, ma il contadino non ha il coraggio di lasciare sua moglie.
La sua amante gli consiglia di simulare un incidente in barca per farla annegare, e gli prepara anche un fascio di giunchi per permettergli di galleggiare. Il mattino seguente, il contadino propone a sua moglie di fare un salto al lago, e lei accetta con entusiasmo. A metà tragitto, l’uomo tenta di eseguire l’uxoricidio, ma vedendola così spaventata e indifesa non riesce ad andare fino in fondo. Arrivati all’altra sponda, la donna scappa dal marito e sale su un tram; ma lui la raggiunge immediatamente, nel tentativo di farsi perdonare. Appena giunti in città, lei non si fida più dell’uomo che ha sposato, ma poi si riappacificano durante un matrimonio, che spinge il contadino a ricordarsi delle promesse che le aveva fatto durante il loro giorno speciale. Subito dopo, decidono di passare l’intera giornata nel centro cittadino. Non solo si divertono, ma si riscoprono innamorati come un tempo; forse più di prima. Nel frattempo, l’altra donna continua ad attendere l’esito del piano.
Nel dirigere Aurora, Murnau è passato da un genere all’altro – thriller, dramma sentimentale e commedia – in un ordine (de)crescente senza annoiare o confondere lo spettatore. Questa peculiarità ci aiuta a comprendere che, pur avendo girato Nosferatu, il cineasta tedesco amato dagli americani non si è limitato solamente al genere horror; esattamente come molti altri film appartenenti all’espressionismo tedesco e al kammerspiel; cioè la cosiddetta “recitazione da camera”. In realtà, alcuni storici del cinema considerano la poetica di Murnau come un punto di incontro tra i due movimenti: dall’espressionismo, il regista ha “rubato” le sue atmosfere gotiche e l’esaltazione dei mostri; dal kammerspiel invece ha riutilizzato – sempre a modo suo – i primi piani introspettivi e dalle espressioni non sovrabbondanti che definiscono la psicologia dei personaggi senza l’utilizzo eccessivo delle didascalie. In effetti, i loro gesti quotidiani e volti genuini riescono a portare avanti la storia senza sbavature.
Con questo film assistiamo a delle innovazioni visive che avranno sicuramente estasiato gli spettatori del cosiddetto “cinema di ieri”, come ad esempio: le sovrimpressioni, che consistono nel sovrapporre due o più fotogrammi per creare un’immagine a più strati, grazie ad una serie di dissolvenze incrociate; esattamente come la sequenza iniziale di Apocalypse Now (1979).
Oltre a questo, ci sarebbe la liquefazione delle didascalie nel momento in cui l’amante del protagonista gli dice: Couldn’t she get drowned? (Non potrebbe capitarle di annegare?); oppure il loro ingrandimento a tutto schermo quando la stessa donna gli ripete: Come to the city (Vieni in città). In questa pietra miliare del cinema muto sono avvenute persino delle sperimentazioni sonore sui rumori provenienti dalla quotidianità, come applausi, risate, clacson … proprio come avverrà in Tempi moderni (1936) di Charlie Chaplin.
Oltre ad essere il primo film americano di Murnau, Aurora è stato il primo e unico film ad aver ottenuto un Oscar per la categoria “miglior produzione artistica”; da non confondere con quella del “miglior film”, che all’epoca era denominata “miglior produzione”. Di statuette ne ha vinte altre due: una per la miglior fotografia a Charles Rosher e Karl Struss, e un’altra per la miglior attrice protagonista a Janet Gaynor (la moglie del contadino), che con il suo volto innocente ispirerà Walt Disney per la creazione di Biancaneve.
Come autore della sceneggiatura – tratta da una breve storia tedesca – troviamo Carl Mayer, che oltre ad aver collaborato in più di un’occasione con Murnau, ha contribuito all’albore del cinema espressionista tedesco in qualità di co sceneggiatore de Il gabinetto del dottor Caligari (1920) di Robert Wiene.
Pur essendo rivolto ai cultori del cinema muto, Aurora sarà sempre una pellicola intramontabile, esattamente come il suo regista.