“A volte le storie che non riusciamo a raccontare sono proprio le nostre; ma se una storia non viene raccontata diventa qualcos’altro: una storia dimenticata.”
Anche se è passata una settimana dalla Giornata della Memoria (27 gennaio) è ugualmente doveroso (ri)scoprire una pellicola che illustra una pagina di Storia poco documentata in tempi di guerra: il Rastrellamento del Velodromo d’Inverno.
Tra il 16 e 17 luglio 1942, a Parigi, vennero arrestati più di 13.000 ebrei, soprattutto donne e bambini. Dopo il velodromo, questa parte della popolazione francese venne deportata nel campo d’internamento di Drancy prima di finire ad Auschwitz.
La piccola Sarah (Mélusine Mayance) viveva ne Le Marais, che all’epoca era un quartiere popolare, con la madre, il padre e il fratellino Michel.
Proprio il 16 luglio, la Polizia arrivò in casa loro, e Sarah convinse Michel a nascondersi nell’armadio a muro per salvarlo. Accorgendosi di essere lontana da casa, Sarah, che teneva ancora fra le mani la chiave di quell’armadio, decise di evadere dal campo di transito nella speranza di liberarlo.
Ai giorni d’oggi, Julia (Kristin Scott Thomas), una giornalista americana trapiantata a Parigi, si sta trasferendo nell’appartamento dei nonni di suo marito, Bertrand (Frédéric Pierrot), un architetto francese, insieme alla loro figlia adolescente. Quando lei scopre di aspettare un altro figlio, suo marito non è affatto entusiasta. La donna invece accoglie questa notizia come se fosse un miracolo, dopo tanti aborti spontanei. La situazione familiare si complica ancora di più quando si scopre che in quello stesso appartamento ci risiedeva la piccola Sarah.
Con questo film, basato sull’omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay, la candidata all’Oscar per Il paziente inglese (1996) Kristin Scott Thomas ha interpretato uno dei suoi personaggi più riusciti; sicuramente più legato alle sue origini anglo – francesi.
La piccola Mélusine Mayance – già diretta da François Ozon in Ricky (2009) – con i suoi occhi celesti, il volto spigoloso ma delicato, e la paura e il dolore che richiede la sua interpretazione, è decisamente il cuore palpitante della storia. Una vera fuoriclasse, nonostante l’età di dieci anni.
La chiave di Sara è da (ri)scoprire soprattutto per la sua capacità di raccontare l’orrore dell’Olocausto senza passare per la Germania. Lo stesso orrore che, in effetti, può nascondersi sotto il tappetto. D’altronde, spetta sempre ad altre persone, esattamente come la giornalista americana, il compito ingrato di scoprire la verità.
Da quel che abbiamo imparato dai romanzi e testi scolastici, nessuno è in grado di sopravvivere alla Storia.
Le nostre ferite non smetteranno mai di sanguinare.